Piccole sirene incomprese si fanno grandi. Proprio così a furia di rimestare nei fondi insondabili di certe sfighe personali e non si finisce prima o poi di farsi le ossa e crearsi il giusto quadrato d’ascolto in cui dilatare finalmente il confine delle righe scritte tra la musica e darle in pasto al vento e agli ascolti di massa. La cantautrice inglese Laura Marling si è fatta donna a tutti gli effetti e in questo Once I Was an Eagle il suo vecchio involucro di eterna adolescente di autrice del “vorrei” scompare dietro le quinte e al su posto arriva una “fragilità fortificata”, perfetta per non far passare più insidie e paure a venire.
Ha vinto la scommessa col mondo intero questa bella artista e mette in mostra una lunga sequenza di brani per stabilire la distanza tra sé e i limiti della creatività figurativa, la sua ora è una musica e una parola cantata profonda ed evocativa, rimangono in qualche pizzo i fantasmi e i diavoletti del suo ieri tristagnolo, ma poi un modo di guardare negli occhi nuovo appare, ripulito e meno chiuso. Magari ci vogliamo soffermare un attimo sul suo sofismo musicale? Siamo sempre sugli equilibri tenere e acidi di un Folk basicamente acidulo, ma le aperture che la Marling offre si sentono eccome, come del resto gli innesti di atmosfere di ricerca che sfiorano il Tibet e certe sue sensazioni “I Was an Eagle”, “Take The Night Off” o l’ancient Folk di casa propria “Once”, “Undine” tutte cose che hanno le tinte inconfondibile del nero notte, quello si che non è mai cambiato, ma rimane il segno distintivo di una donna musicista che nel suo nuovo mattino ascolta ancora quelle voci invisibili, ed è questo il valore intrinseco del tutto.
Chitarra acustica, una Joni Mitchell nel cuore e i Pentagle nei ricordi, gingilli indiani e ambientazioni boschivo/intimo come tele da riempire, offrono una cantautrice in piena forma, una dolcezza screziata sempre sul filo teso della malinconia da ascoltare al buio e accarezzarla con delicatezza, una melodia femmina che rende al massimo se presa nei momenti viola della sera “Little Love Caster”, nei mandala percussivi di “Pray For me” e nel piccolo capolavoro di “Little Bird” un canto in solitaria assoluto che parla, dice e pensa in salsa latin la sua saudade di brezze e forme di donna, quella donna che la Marling orami calza tra cambi di scenario, di arcobaleni ed effetti ricchi di pathos.
Come si cambia, diceva la Mannoia, e al diavolo se non è vero!