One Little Indian Tag Archive
Samaris – S/t
Soffice elettronica Dowtempo, ghiaccioli di piacere etereo e tutta l’Islanda fredda e calda che mai si possa contenere in un disco. È questa la periferica induttiva che il disco omonimo dei Samaris – giovane formazione di Reykjavik – trasmette con una reputazione dolciastra e molto intima, praticamente come vivere e ascoltare l’eco di sé stessi dentro una bolla, un tubo di vetro o che so, un alambicco di cristallo che rimanda cadenze, soffi e sospiri delicatissimi in dodici tracce, un ascolto “moltiplicato” da bagliori bianchi come panna, ben oltre la neve dell’Artico.
E dietro tutta questa esuberanza delicata di suoni, scandagli, rimbombi gommosi e vapori impalpabili. il disco trova la sua dimensione adimensionale, tenero nelle sue esplorazioni elettroniche e fautore di una e più atmosfere dinamiche e rallentate, un ascolto a più livelli di coscienza che non forza nessuna opposizione a questa magia senza peso, tracce (dodici) che arrivano da due precedenti lavori e qui “riassemblati” in una meccanica color perla e prettamente rivolta ai climax che già hanno fatto conoscere al mondo intero i sospiri raggelati e passionevoli di Mum, Sigur Ros, The Knife, e per dirla tutta un disco che scende in verticale in un pathos che fa brividi ed immaginazione oltre le quote delle distanze infinite.
La stupenda voce di Jofridur Akadottir è come una manna che cade lieve su questa stupende ambientazioni sonore, voli e radenti asettici che lambiscono le orge strutturali di ambient e di quelle onde magnetiche che si rimbalzano come swap lunari e che veramente danno la sensazione di non avere più la dotazione della posizione eretta, ma un dolce vacillare, un galleggiare out-weight; illusionistici i bagliori di leggende “raccontati” da percussioni e parole mistiche popolari “Viltu Vitrast”, il basso che detta una linea bluastra a margine di “Goda Tungl”, la cosmicità ritmata dei rimandi “Voggudub” e la dissolvenza di loop, strumenti a fiato e sintetizzatori “Kelan Mikla” che alla fine di tutti i discorsi ed i flash d’ascolto accendono la luce dell’innocenza interiore, quella valvola interna di batticuore silenziato di cui spesso non ci si accorge di averla.
I Samaris vincono la scommessa di stupire e lasciare a bocca aperta molti, la loro è una etera mistica volatile, la nostra è una sorpresa dura a compattarsi. Buon Ascolto e allacciate le cinture di sicurezza, si parte!
Dan Sartain – Too tough to live
Il pazzo allampanato d’Alabama, Dan Sartain, non riesce a stare un minuto fermo dentro le quadrature di un suono che lo faccia riconoscere al primo istante, una ne fa cento ne pensa, un artista schizzato d’argento vivo che odia i vuoti pneumatici della musica, e appena può (sempre) s’inerpica come un muflone in cerca di compagnia sulle carreggiate impervie d’altri suoni e tensioni.
In questo giro si ripulisce la faccina vissuta canagliescamente dentro i suoni laceri del rockabilly a zonzo nei far west Morriconiani e abbraccia la dottrina del taglione garage-punk, comprime in un quarto d’ora tredici urli lamettati in un cd, gli mette un titolo “Too tough to live” e via, nemmeno il tempo di renderci conto, che la nuova creatura di Sartain ha già colpito con velocità inaudita il lettore stereo.
Il Ramones thing e gli anni Settanta – inconfessati amori tenuti stretti dentro ma forse già captati nel 2006 con l’album Join – esplodono come un bubbone elettrico inarrestabile, un caotico bailamme punk.garage, fragore, pogo e sangue caldo che fa festa e nervi tesi, un disco secco, nevrastenico e diretto come tradizione Dee Dee and brothers vuole; la chitarra elettrica di Sartain s’infervora nei tre accordi chiave in maggiore che hanno rivoluzionato una porzione di storia rock che fu, la giugulare gonfia d’invettive e la velocità dell’urgenza fanno il resto a partire dalla traccia 2 “Now now now”che vede al fianco dell’artista americano Jane Wiedlin delle Go Go’s, poi il pulse totale degli anni Settanta prende tutto il corpo sonoro dell’album, senza distinzione di toni e timbriche, un sabbath indiavolato d’ampere e diavoli crestati che a dispetto delle tantissime mode che arrivano a ripetizione, rimane unico e inconfondibile.
Disco non basilare se si vuole, ma importante per tenere viva la fiamma di un momento dove tutti noi, almeno una volta, abbiamo sputato contro qualcosa che ci voleva in silenzio e sottomessi “Rona”, “Fuck friday”.