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Paolo Andreoni & Bussuku Bang!– Un nome che sia vento

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Cantautorato fine, musiche aperte e senza presunzioni, Africa e notti perplesse, esistenze e desideri da afferrare al volo; questo è il chiaro concetto ed il succo del nostro incontro con il nuovo disco del cantautore bergamasco Paolo Andreoni, “Un nome che sia vento”, undici immaginazioni che – per non farsi sgamare – prendono strade diverse, si colorano di mille polverine e si traducono in un fremito che sposta il torpore per far posto ad un ascolto buonaccio.
E’ un registrato diretto, fedele alla nobile tradizione del “volare via con suoni e poesia”, di storie e parole importanti che esprimono idee e calori dreaming veri e virtuali;  si assiste – nonostante tutto – ad un girare musicalmente a random, alla ricerca di una vera identità stilistica, ma mettiamola pure sul conto che sia un girovagare a ricognizione su terreni dove finalmente atterrare e tirar su casa (come direbbe Roberto Ciotti), poi il destino tirerà somme e linee.

Disco di ballate agre sulle ombre liriche di Tenco e Lauzi,Dimentica”, “L’ultima parola”, “Il concerto”, la nuvoletta di passaggio targata 80’s che rilascia atmosfere wave alla GarboAmore, amore, amore”, “Dal carcere”, il pregevole macramè di corde e pathos De AndrèianoUn nome che sia vento”, ottimo il fil rouge acustico che lega mediterraneità, blues piccanti e lidi “calienti” “Sol maior para comandante”, ma il gioiellino che evidenziamo in finale è quello che poi capeggia in cima alla tracklist, sono quei settantatrè secondi di “La rèbellion”,  che ci scaraventano nel deserto del Mali, tra il blues sciamanico di Terakaft, Alì Farka Tourè e Sissoko e che per un battito di ciglia ci stordiscono e “tradiscono” circa la vera vena del disco in generale.

Ad ogni buon tornaconto un prodotto normale, c’è ancora molto da centrare come mira, buona la tecnica di Andreoni e del resto della band, per il momento facciamo andare un altro giro di repeat e proviamo a vedere nel futuro di quest’artista che ci ha fatto fare un piccolissimo tour sonoro – pur restando seduti sul divano –  in lontananza e nelle zone periferiche delle “musiche grandi” che stanno più in la.       

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