La Coconuts Killer Band nasce nel 2010 dalle menti di Mick e “Little Demon Sim”, fratelli e rispettivamente chitarrista e batterista di quella che ben presto diventerà una tipica Rock’n’Roll band. Ma come fare una Rock’n’Roll band senza prima una particolare voce con un carisma non indifferente? Ed ecco che alla formazione si aggiunge il cantante John Ron Carpenter, il bassista Ste Doc, il tastierista El Gringo e le killer babies Jade & Gretha. Il gruppo al completo quindi comincia a girare sulla loro instancabile Lemmy Van per diversi locali e festival, partecipando come gruppo spalla a concerti de Il Pan del Diavolo, Moltheni, Zamboni &Baraldi ecc, e vincendo concorsi come “Sotterranea Rock Contest” di San Benedetto del Tronto e il “B-live alternative” di Cosenza che li porterà a suonare in Germania, Belgio, Olanda, Svizzera e Austria nel 2014.
Insomma tre anni davvero pieni per la band abruzzese che nel 2013 esce con la loro prima Demo. Quattro tracce che in toto rappresentano il loro stile predominante che è quello Rock’n’Roll con una spruzzata di altri generi, soprattutto Garage e Punk, tanto per colorire e rendere più gustosa la modernità. Appena parte la prima traccia “No! No!” non è difficile immaginare l’atmosfera fatta di ciuffi alla pompadour, maniche a giro, coriste in rosso che ciampettano una semplice coreografia e lui, microfono simile a un MS-55 Elvis stile anni sessanta che primeggia davanti a tutti. “Party’n’Fun” si muove invece in quel Rockabilly tipico degli anni Cinquanta-Sessanta, periodo che si respira anche nel quarto brano della demo “Last Day” che riconferma prima di tutto la loro conoscenza del genere e del periodo in questione, certamente come “Running Wild” posto come finale eclettico e ritmato.
Insomma i Coconuts Killer Band con questo lavoro dimostrano qualcosa. La passione per gli anni Cinquanta-Sessanta, la padronanza delle loro intenzioni, la tecnica musicale, la voglia di girare e farsi conoscere; infatti il gruppo nell’arco della sua breve vita artistica ha collezionato più di trecento live che non si fermeranno certamente ora. A tutto questo si aggiunge la peculiarità di genere utile soprattutto in realtà festaiole e goliardiche per ballare, sballarsi e non pensare troppo. Tutto può sembrare positivo, elettrizzante e centrato nel punto. Ed ecco che il punto è proprio questo: troppo centrati in una sola epoca, troppo simili ad uno stampino di Elvis, tutto già sentito, già suonato e già vissuto. Quindi perché non usare questa tecnica e bravura musicale per creare qualcos’altro? Magari è l’inglese a rendere un po’ tutto scontato al contrario dell’italiano che sarebbe probabilmente più interessante. Insomma tutti gli elementi ci sono, manca solo quel quid in più.