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Babbutzi Orkestar – Vodka, Polka & Vina
Written by Salvatore Carducci• 2 Maggio 2014• Recensioni
Dopo il debut album Babbutzi Orkestar (2009) e Baro Shero (2011), oggi presentiamo sulle pagine di Rockambula Vodka, Polka & Vina (2014), nuova fatica discografica per la Babbutzi Orkestar, folta ed irrequieta compagine nostrana composta da Gabriele Roccato (voce), Ivan Lo Giusto (basso elettrico), Ivan Padovani (tromba), Massimo Piredda (tromba), Luca Butturini (chitarra/ mandolino/bouzouki), Mariella Sanvito (violino), Daniele Di Marco (fisarmonica/tastiera/ sintetizzatore) e Fabio Buono (batteria). L’ensemble in questione ama presentarsi come fautrice di una Balkan Sexy Music, sulla scia di Bratsch, Acquaragia Drom, Goran Bregovic e Kusturica; definizione piuttosto azzeccata, dal momento che le sonorità proposte spaziano agevolmente dal classico sound Balcanico al Punk, passando per il Folk, la Patchanka e le radici più intransigenti della Surf Music. Un viaggio alcolico dalle maleodoranti cantine serbe agli affollati mercati d’Israele, dalle maestose profondità del mar baltico alle languide terre orientali, dove ammalianti gitane agitano le proprie forme tra carovane in perenne ricerca di staticità, rischiarate da luci e colori che solo una dimora errante può offrire. Rispetto ai precedenti lavori, Vodka, Polka & Vina (prodotto dallo sperimentato Antonio Polidoro con l’ausilio di strumentazione rigorosamente vintage) segna tuttavia un indiscutibile cambio di rotta, privilegiando sonorità maggiormente orientate verso Surf, Punk Rock ed Elettronica (particolarmente evidente nelle partiture di synth), pur rimanendo saldamente ancorato a classici elementi d’ispirazione balcanica: passioni infinite, quasi al limite della più estrema follia, febbricitanti visioni autodistruttive e blasfema contemplazione della figura femminile (vedi “The Song of Arrapath”, ad esempio). Un album architettonicamente “live”, energico e possente come le vorticose performance del collettivo; un appassionante progetto concepito sulla polvere del palcoscenico, consacrato dal sudore della fronte e dall’indissolubile rapporto con un pubblico licenzioso ed esigente. Da segnalare la geniale rivisitazione dell’italico evergreen “Buonasera Signorina” (Fred Buscaglione, 1958).