Non so se sia mai nato un nuovo David Sylvian in Italia (a parte forse Andrea Chimenti), ma se così fosse indicherei come primo nome il cantautore torinese Cosimo Morleo. Dopo essersi dedicato a lungo alla musica antica e barocca e alla regia teatrale arriva nel 2012 l’attesissimo esordio Geni Dominanti (Controrecords/ NewModelLabel) prodotto da Enrico Fornatto (Alberto Fortis) e che ha visto la collaborazione di Exir Gennari (Tribà, Fratelli di Soledad), Gianfranco Nasso (Mambassa) e Andrea Rosatelli (Simone Cristicchi, Chiara Civello). Oggi torna con Ultreya, disco anticipato dal singolo “Fonteyn (Madame)”, in cui l’artista piemontese affronta il delicato tema del bullismo omofobico. Cosimo Morleo si era già schierato in passato al fianco del movimento Glbt con “Turing”, brano contenuto in Geni Dominanti, ma pur essendo passati alcuni anni la società italiana appare ancora troppo “chiusa” nei confronti degli omosessuali ed ecco quindi che la musica può giocare un ruolo fondamentale a livello di comunicazione per lanciare un messaggio di uguaglianza che si auspica arrivi presto. Ultreya però affronta anche altri temi delicati quali gli amori clandestini con “Kavafis”, che è ovviamente ispirata dal famoso poeta greco (nato e morto però ad Alessandria d’Egitto). Credetemi quando vi dico che qui la raffinatezza è di casa , già dalle prime note della canzone. Tuttavia Morleo raggiunge l’apice sicuramente in “Mr Thoreau”, questa volta dedicata al celebre filosofo statunitense che visse a fine ottocento. Riferimenti quindi anche ai grandi testi letterari, per un prodotto destinato a un pubblico colto che di certo non segue i talent show. Riferimenti anche ai fatti di cronaca e al film documentario “Io Sto Con la Sposa” in “La Sposa”. Un Pop elegante e mai banale, un po’ retrò, un po’ tipicamente anni ottanta ma anche proiettato al futuro. Che siano queste le nuove direzioni da intraprendere? C’è anche una cover fa le nove tracce contenute nel disco, “Per Una Bambola”, brano scritto da Maurizio Manzi, interpretato da Patty Pravo e portato a Sanremo nel 1984. Trent’anni circa quindi separano la versione originale da quella proposta da Cosimo Morleo. Di differenze se ne notano tante, di affinità altrettante, ma anche il fan più incallito della “ragazza del Piper” non rimarrà deluso. “Retròromantico” è pura poesia sonorizzata; un basso alla Mick Karn e chitarre alla Alberto Radius coesistono nello stesso universo intrecciandosi con il violino di Sergio Caputo. Se Mango fosse ancora vivo sarebbe stato invece l’interprete perfetto per il brano “Un film di Godard”. Sarebbe stato interessante se il più grande cantautore lucano di sempre avesse potuto ascoltare il pezzo e magari duettare con Morleo. “Desiderantes” è l’ultimo brano in italiano, uno sguardo verso il cosmo e le stelle, con l’amore come tema ricorrente. Chiude il disco “Leave The Boy Alone”, composta per il film di Giovanni Coda in uscita nel 2016 “Bullied to Death”, scritto a quattro mani con Maddalena Bianchi, che affronta il tema del bullismo. Curiosamente “Ultreya” è un’antica parola usata dai pellegrini durante il cammino di Santiago in epoca medioevale che significa “Vai oltre, sempre più avanti”. Ecco, questo è l’invito che rivolgiamo a Cosimo Morleo. La strada intrapresa è quella giusta. Sarà importante non smarrire la retta via, perché oggi come oggi molti non guardano più al nostro patrimonio artistico e cercano ispirazione altrove. Morleo invece non ha avuto paura di confrontarsi persino con un mito vivente come Patty Pravo e ciò lascia solo ben sperare per il suo futuro.
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Esce il 31 ottobre Siren’Odrome, il primo album degli ‘IF
‘IF è un progetto musicale inedito formato da cinque artisti. Una simbiosi artistica che pone al proprio centro creativo l’esplorazione dei canoni dell’Eleganza e della Modernità.
Nato da un’idea di Michele Bisceglia, ‘IF è un open-space creativo, un allestimento musicale progressivo formatosi attorno ad un concetto: “da tempo continuiamo ad interrogarci sul valore dell’espressività della musica che ci circonda, che ascoltiamo, che subiamo. Quanto spazio creativo è riservato all’estetica musicale, all’eleganza dei suoni, alla ricerca delle suggestioni sonore. E “Se” qualcuno provasse ad esplorare quest’orizzonte artistico? “’IF” dall’inglese, in italiano “SE”, è un progetto artistico che prova a immaginare un nuovo paradigma. Un paradigma musicale che mette al centro della composizione l’Eleganza e la Modernità. Dei suoni, dei segni, nei testi, nelle storie.”
Gli ‘IF sono: Michele Bisceglia (suo il musical inedito Gallo de Panama, autore di tutti i brani dell’album), Alessandro Di Lascia (polistrumentista e produttore artistico,già vincitore durante l’edizione del 2008 del Festival di Sanremo, del Premio della Critica “Mia Martini” nella sezione Giovani ), Veronica Granatiero (talentuosa cantante che vanta collaborazioni con artisti nazionali ed internazionali come Michael Bolton, Ami Stewart, Patty Pravo, Massimo Ranieri ecc..), Cristina Bisceglia (cantante Rock dalle tonalità Black con una spiccata originalità interpretativa), Marcello Strinati (cantante, bassista ed eclettica figura in ambito teatrale nazionale dove opera come autore, interprete e regista).
Siren’Odrome è il primo album firmato ‘IF. Un album composto da cinque brani, quattro dei quali interpretati singolarmente ed una title track finale con un arrangiamento vocale a cinque voci. E come estensione del disco, una suite sonora, un’esperienza d’ascolto inedita, senza voci, interamente musicale. Siren’Odrome è disponibile in pre-order su ITunes a partire dal 12 ottobre e ascoltabile sulle maggiori piattaforme digitali (Spotify, Deezer, Shazam, SoundCloud, ecc.) da sabato 31 ottobre, data di pubblicazione ufficiale del disco.
Il disco vanta collaborazioni importanti, tra cui Igor Imhoff autore dell’artwork di copertina (tra i maggior interpreti europei della video animazione) e il fashion designer Francesco Paolo Salerno.
L’album sarà accompagnato da una serie di showcase promozionali in alcune delle maggiori città italiane con un mini-tour teatrale. La presentazione in anteprima nazionale sarà a Roma, giovedì 19 novembre al Teatro Kopò, con un una esibizione elettro/acustica alla quale seguirà una conferenza stampa. Sono in via di definizione le date di Pescara, Foggia, Bologna e Milano.
Giovedì 5 novembre, sulla pagina di Rockambula Webzine, sarà proiettato in anteprima assoluta il videoclip della canzone Siren’Odrome. Stay tuned.
Marco Parente ha scritto una canzone per Irene Grandi
Marco Parente ha scritto una canzone per il nuovo album di Irene Grandi Un Vento Senza Nome in uscita oggi, 12 febbraio, su etichetta Sony Music. Il brano si intitola “Cuore Bianco” e rappresenta la prima collaborazione di Marco Parente come autore per l’interprete fiorentina. “Conosco Irene da molto tempo – racconta Marco Parente – e oltre che una grande voce la considero una buona amica. Questo ha reso il nostro incontro, che mi vede autore di una canzone per lei, ancor più emotivo e sensibile. Non ho mai avuto pregiudizi verso lo sconfinamento e incontro tra musicisti di mondi differenti (o presunti tali), anzi ne ho sempre apprezzato i vari esperimenti e benefici che da entrambe la parti sono scaturiti: se da un lato ci si rinfresca e inspessisce un po’, dall’altro saltano alcuni paletti dietro i quali spesso ci trinceriamo con un certo autocompiacimento. Mi piace tutto del risultato finale, in modo particolare la passione e educazione col quale ci si è arrivati.” “Cuore Bianco” è la seconda incursione nel mondo del pop di Marco Parente – che nel 2002 scrisse “Farfalla Pensante” per Patty Pravo – e arriva in un periodo di grande fervore creativo. Parente, la cui ultima pubblicazione a proprio nome risale al 2013 (“Suite Love”), sta infatti lavorando in questi giorni ad un nuovo disco e a breve, con Alessandro Fiori e Lorenzo Maffucci, getterà le basi del secondo lavoro dei Betti Barsantini. Nel frattempo porta in giro insieme al musicista sperimentale Vincenzo Vasi il “Paranormal Tour”, in cui i due si scambiano brani e suggestioni sonore, dando vita ad un incontro di visioni musicali decisamente inconsueto.
GramLines – Coyote
Non è di certo una novità che il Veneto sia culla di sana musica. Abbiamo spesso sentito parlare di One Dimensional Man, progetto idea del geniale Pierpaolo Capovilla, dei Non Voglio che Clara, determinati e scuri, degli Artemoltobuffa, simpatici, indipendenti e dal carattere naif. E quanti locali hanno passato “Warp 1.9” del progetto The Bloody Beetroots o il metallo degli Arthemis. E la Patty Pravo che riecheggia per le strade. La lista è sufficientemente lunga e la conosciamo bene, ma oggi siamo interessati ad un nome soltanto: GramLines. Sono in cinque e sono di Padova. Tutta roba italiana, recitata in inglese, che ben si addice allo stile aggressive Alternative che hanno deciso di abbracciare. Nel 2012 esce il primo EP della band, sotto il titolo di Burning Lights EP e due primavere dopo, in maggio sboccia un nuovo lavoro: Coyote EP, suonato su palchi condivisi con nomi del calibro di Linea 77 e Zen Circus. Non male.
Il disco si presenta caratterizzato da tonalità molto impetuose, perfettamente realizzate nella stesura di “The Bone”, capitolo #2. L’orecchio viene inevitabilmente spiazzato da un basso incredibilmente in linea con quanto proposto dai The Strokes ed il paragone è inevitabile, seppur mancante la vena Indie, sostituita da un perfetto stile Alternative. Il risultato è di gran lunga più orecchiabile, caratterizzato da venature a tratti metalliche e a tratti Blues Rock, nulla togliendo ai mitologici newyorkesi. Nell’episodio successivo si fa spazio a tastiere ed arpeggi maggiormente melodici, accompagnati da lievissimi chorus, ma lo stile si afferma e continua a risaltare quella tendenza Blues di cui poc’anzi. Le estroverse chitarre di Stefano Bejor e la camaleontica voce di Francesco Campaioli ben sanno raccontarsi attraverso gli oltre 6’ di “The Road”. Ma Coyote EP sa farsi ben apprezzare e non ha di certo paura di sfoggiare strutture alternative attraverso l’intro Rock’n’Roll di “The Thrill of a Breakdown”, che cede presto spazio al bit bass di Alberto Pavinato. Strutture non di certo banali accompagnano l’intero brano per tutta la sua durata, donando alla traccia un carattere molto più internazionale. L’ultimo episodio dell’EP continua a manifestare lo spirito animalesco dei cari GramLines ed è soltanto a questo punto che si riesce ad apprezzare pienamente il timbro di Francesco e le doti artistiche di tutti i musicisti protagonisti del progetto. Una splendida credit track per uno splendido lavoro.
Nulla da aggiungere, a questo punto, attraverso Coyote EP la vita diviene una strada. È questo il tempo delle bestie? Amano raccontarsi così. Noi intanto raccontiamo le aspettative attraverso un giudizio dal carattere interessante, in attesa di un vero album studio.
All Female Bands (seconda parte)
Continuando il viaggio intrapreso la settimana precedente sull’universo musicale femminile, affrontiamo il discorso sotto un’ottica tra Pop e Rock, tra massa e individuo.
Nonostante le girl-band siano certamente una realtà in crescita anche se comunque una minoranza (e ciò molte volte è dovuto al fatto che risulta troppo impegnativo riuscire a conciliare una carriera musicale con gli obblighi famigliari oppure nella difficoltà spesso di trovare giovani donne che suonino strumenti classicamente Rock come la batteria), bisogna anche riflettere su quanto invece sia estremamente facile trovare voci femminili, e come queste abbiano avuto e hanno tutt’ora potere e spazio nel panorama musicale.
L’interprete femminile, infatti, ha sempre ricoperto un ruolo importante nella musica in generale (ricordiamoci che personaggi come Mina, Patty Pravo, oppure Caterina Caselli hanno cavalcato le classifiche musicali per un lungo periodo) e che la voce raffinata e profonda di Mina sia stata riconosciuta non solo all’interno del panorama musicale nazionale, ma anche oltreoceano: nel 1961 This World we Love in – versione inglese di Il Cielo in Una Stanza – riesce a entrare all’interno della classifica dei singoli più venduti secondo Billboard, e All Music Guidela definisce come “One of the most popular and influential postwar italian artist”. Quindi la donna è stata importante e lo è tutt’ora all’interno della musica mainstream, che comunque rimane la musica maggiormente influente per l’opinione e la visione della donna, non solo nel settore, ma anche nella società.
Ecco dunque che qui si pone un’ulteriore riflessione: spesso la donna viene accusata di utilizzare il proprio corpo come veicolo principale per promuovere la propria arte e di proporre un’immagine troppo ammiccante e non vicina alla realtà di tutti i giorni. Questo è vero? È giusto? È sbagliato? Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma ciò mi permette di ampliare la questione anche alla scena rock femminile. Parlando proprio con una componente di una all female band rock nostrana, le Rocker Pussy Grim, la questione è venuta a galla dopo che la cantante mi ha riferito di aver ricevuto una critica che affermava come il successo dei gruppi Rock femminili non sia dovuto ad un fattore musicale, ma unicamente a una scelta di marketing e d’immagine. Non prendiamoci in giro, le Bikini Kill erano tutte donne, suonavano musica tecnicamente semplice, eppure non hanno avuto successo solo perché erano donne e basta, ma perché erano donne incazzate che gridavano al mondo la loro rabbia verso l’omofobia e i pregiudizi, promuovendo la parità dei sessi. Era una band che trasmetteva messaggi contro lo sfruttamento del corpo femminile utilizzando il corpo stesso. Un ossimoro certo, ma un ossimoro che colpisce, ha un significato profondo e risulta efficace. Anche noi in Italia non siamo stati da meno e avevamo una giovane Jo Squillo che, prima di buttarsi nell’Italo-Disco e successivamente diventare la regina della moda trash televisiva, capitanava un gruppo di donne Punk incazzate dal nome Kandeggina Gang. Non erano molto distanti dalle idee delle Bikini Kill, e nei loro testi l’odio verso l’altro sesso e verso una società perbenista, maschilista e noiosa usciva prepotente senza mezzi termini: “Che lavaggio del cervello tu non pensi che al tuo uccello, che lavaggio secolare tu non pensi che a scopare, orrore orrore mi fai vomitare” cantavano in Orrore del 1979. Insomma: erano delle adolescenti ribelli che al posto di fregarsene delle critiche che in quel periodo venivano rivolte verso la generazione giovanile – definita spesso fannullona e senza ideali – decisero di creare qualcosa di nuovo e forte per scuotere l’opinione della gente. Il futuro era in mano ai giovani e loro erano giovani, contro il perbenismo, e soprattutto consapevoli della loro forza.
Ora, continuando cronologicamente all’interno della storia musicale e arrivando dunque ai primi anni ’90, ecco che l’argomento delle girl-band e rispettivamente delle boy-band entra prepotentemente all’interno dell’immaginario collettivo. Inizialmente uno dei primissimi esperimenti discografici su questo fronte sono stati i Take That (da cui uscirà poi vincitore Robbie Williams) che nel giugno 1993 sfornano il loro primo singolo da top 10: Pray. Questi cinque ragazzi, grazie anche all’utilizzo del proprio corpo, diventano presto gli idoli di giovani teenager e giovani omosessuali sparsi per il mondo. Ovviamente, dopo questo enorme successo, l’industria musicale non si fa scappare l’occasione di investire in questo nuovo mercato, e pensa bene di allargare il cerchio anche alla sfera femminile, lanciando le ormai famosissime Spice Girls. Ora, per quanto siano state e sono per molti un gruppo di bassa qualità Pop e unicamente un prodotto discografico confezionato, le liriche delle Spice Girls,se si ascoltano attentamente, nascondono al loro interno molti messaggi riguardanti l’indipendenza femminile, che presto diventerà parte integrante dello “Spice Brand” (es. il DVD “Girls Power! Live in Istanbul” del 1997 con l’inserto “Girls Talk”). Messaggi d’individualità e del discorso Girl Power gli troviamo anche nella personalità differente di ognuna di loro, infatti ogni Spice ha una propria personalità e una propria collocazione sociale (Geri èquella sexy e determinata, Mel B l’afroamericana piercingata, Mel C la maschiaccia coi pantaloni della tuta, la dolce Emma e la fashion Victoria). Tutto questo,ovviamente, fa parte di una mossa studiata a tavolino per rispondere all’esigenza di aggregare in un unico brand (come una gang) diverse origini culturali. Tirando le somme, queste cinque ragazze hanno lanciato il messaggio che “L’individuo e la sua soggettività sono indispensabili e l’appartenenza ad un gruppo rende questi valori forti e rispettabili”. Ecco spiegato il motivo di tanto successo, le Spice, in fondo, altro non erano che delle figure di riferimento per tutte le giovani teenager che si aggregavano in gruppi di appartenenza mentre passavano la fase intermedia, quella in cui non ci si sente più bambine ma nemmeno ancora donne. Questo era il loro target d’audience, questo era il loro mercato, questo era ciò che rappresentavano. Noi italiani ovviamente ci siamo arrivati dopo, come sempre (quando mai i discografici nostrani sarebbe riusciti a guardare così oltre?!), e nei primi anni 2000 abbiamo fatto lo stesso esperimento con le Lollipop (che, per altro, si sono riunite e sono pronte per un nuovo tour).
Bene, tutto questo lungo blablabla sulle girl-band nel pop è servito a far risaltare ancora di più la potenza che l’immagine ha sulla cultura sociale e dunque quanto possa influenzare il collocamento della donna nella società. Il discorso su cosa sia giusto trasmettere attraverso la musica e in che modo sia opportuno farlo essendo donne potrebbe continuare all’infinito. Concludo dunque ricordando che le donne oggi fanno musica, sono libere di esprimersi, spesso sono consapevoli del potere che il loro corpo ha, spesso lo utilizzano per lanciare dei messaggi e altre volte, invece, per vendere dischi. In fondo il mondo è bello perché vario, ma vorrei che ogni donna potesse avere la libertà di salire su un palco senza preoccuparsi di mettersi una minigonna ed essere additata come una che lo fa per creare audience. Si piace così, e dunque perché non dovrebbe più essere vista come una musicista ma invece come una con due gambe e un paio di tette? Tutto sta negli occhi di chi guarda.