Appena cinquantadue secondi di “Intro Dremong” e si entra nel mondo visionario di Max Manfredi, artista che nel vinse la Targa Tenco Opera Prima con l’album Le Parole del Gatto. In una carriera di oltre due decenni tanti altri sono stati poi gli attestati di riconoscimento ottenuti (ci piace ricordare appena il Premio Regione Liguria come “capostipite della nuova generazione dei cantautori genovesi” nel 1995, il Premio Lunezia, il Premio Lo Cascio e “miglior solista” al MEI di Faenza nel 2005 e poi nuovamente il Premio Tenco come miglior disco dell’anno nel 2009 con l’album Luna Persa). Anche il pubblico ha comunque sempre creduto in lui, tanto da finanziare attraverso la piattaforma Musicraiser questo nuovo album, Dremong, che prende il nome da un orso che, a quanto pare, secondo una leggenda tibetana diedi i natali a quello che più comunemente chiamiamo Yeti. Fiducia incommensurabile quindi verso un artista che non ha mai deluso le aspettative dei propri fan. Del resto anche Fabrizio De André, rispondendo a una domanda sui cantautori italiani, lo aveva dipinto come “il più bravo” (“Gazzetta del Lunedì” il 23/6/1997), mentre Roberto Vecchioni lo ha definito “un capostipite (…), uno che ha bazzicato col romanzo, con la poesia, col dialettale, con la canzone e senza, un capace, uno che non posso nemmeno limitare con il termine di cantautore”. La vetta della qualità si raggiunge già con la titletrack che non a caso è la seconda in ordine cronologico, ma guai a sottovalutare anche l’armonica “Disgelo” o l’inquieta “Notte”. Testi raffinati ed atmosfere inusuali pervadono l’ascolto di questo disco “inquieto” soprattutto quando ci si immerge nella “medievale” “Sangue di Drago” o in “Finisterre” che prende il nome dal famoso comune spagnolo situato nella Galizia. Tredici nuove canzoni per lo più scritte in binomio con Fabrizio Ugas, con cui c’è un rapporto lavorativo che ormai dura da diversi anni e che si adopera anche alla chitarra classica ed acustica, al laud cubano e ai cori. Tante altre però sono le persone coinvolte però in questo progetto (l’elenco sarebbe troppo lungo per poterle menzionare tutte) che spazia dalla musica etnica alla pura contaminazione sonora del progressive anni settanta senza trascurare il lato oscuro del Rock passando per strumenti strumenti tradizionali come il glockenspiel, la concertina, gli orientali gu-qin e go-zen, i flauti, il violino, la batteria, le percussioni e il basso fretless. Se proprio volessimo quindi circoncidere il disco in un solo genere potremmo quasi farlo includendolo nella cosiddetta world music (anche se forse sconfineremmo leggermente). Sicuramente non avrebbe sfigurato se fosse stato pubblicato da una grande major del settore quale la Real World di Peter Gabriel. Una produzione pressoché perfetta curata nei minimi dettagli da Primigenia Produzioni ed un nuovo capitolo aperto da un grande cantautore quale Max Manfredi. Intanto noi aspettiamo già il suo seguito…
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The Rolling Stones – Roma – Circo Massimo 22/06/2014 Sul Palco con gli Stones
The Rolling Stones – Roma – Circo Massimo 22/06/2014 La Photo Gallery
The Rolling Stones – Roma – Circo Massimo 22/06/2014 Il Reportage
The Rolling Stones – Roma – Circo Massimo 22/06/2014 Le (Video) Scalette
Mick Taylor (per sole tre canzoni) – Nato nel 1949, entra a far parte della band di John Mayall a soli 17 anni. Viene notato da Mick Jagger e compagni e si unisce ai Rolling Stones nel 1969 incidendo gli album Let It Bleed (su cui compare però in soli due brani), “Sticky Fingers”, “Exile on Main St.”, “Goats Head Soup”, “It’s Only Rock ‘n’ Roll” e “Tattoo You”. Rimarrà con loro fino al 1974. Ha pubblicato quattro album solisti, Mick Taylor (1979), Stranger in This Town (1990), A Stone’s Throw (2002) e Little Red Rooster (2007). Ha collaborato con la Guido Toffoletti’s Blues Society (apparendo nel disco del 1982 No Compromise) e con Ligabue col quale ha registrato dal vivo la canzone “Hai un momento Dio?”, compresa nel disco Su e giù da un Palco (1997).
Darryl Jones – Nato nel 1961 è soprannominato “The Munch” è noto ai più per essere stato un discepolo del grande jazzista Miles Davis, col quale incide “Decoy” e “You’re Under Arrest”. Col tempo si è fatto apprezzare per le sue collaborazioni al fianco di artisti quali gli Headhunters di Herbie Hancock, Mike Stern, John Scofield, Steps Ahead, Sting, Peter Gabriel, Madonna, Cher, Eric Clapton e Joan Armatrading. Da quando Bill Wyman lasciò il gruppo nel lontano 1992, il bassista è diventato fido collaboratore de The Rolling Stones.
Chuck Leavell– Nato nel 1952 Chuck Leavell, ha fatto parte della Allmann Brothers Band e dei Sea Leel, gruppo di cui fu anche fondatore. Ha girato il mondo e registrato con artisti quali Eric Clapton, Aretha Franklin, George Harrison, John Hiatt, Gov’t Mule, The Black Crowes, Train, Indigo Girls e John Mayer. Collabora coi The Rolling Stones da oltre trent’anni.
Bobby Keys –Nato nel 1943, si avvicina alla musica da giovanissimo. Durante la sua lunghissima carriera ha avuto modo di suonare per John Lennon, Ringo Starr, B. B. King, Warren Zevon, Humble Pie, Lynyrd Skynyrd, Donovan, Graham Nash e tanti altri. Ha inciso due dischi solisti, Bobby Keys, un omonimo disco strumentale pubblicato dalla Warner Bros Records nel 1970 e Gimme the Key per la label personale di Ringo Starr, la Ring O’Records, nel 1975. Ha inoltre scritto un libro dal titolo “Every Night’s a Saturday Night: The Rock ‘n’ Roll Life of Legendary Sax Man Bobby Keys”, la cui introduzione è di un certo Keith Richards. Con I Rolling Stones ha suonato in tuttigli album dal 1969 al 1974 e dal 1980 ad oggi, facendo parte della band di tutti i tour dal 1970 in poi. Memorabili i suoi assoli in brani quali “Brown Sugar”.
Tim Ries– Nato nel 1959, ha lavorato per diverse scuole, la University of Bridgeport (1994), la Mannes School of Music (1994–1996), la The New School (1995–1998), la City College of New York (1995–2000), la New Jersey City University (2003) e la RutgersUniversity (2003–2005). Dal 2007 è professore di studi Jazz alla University of Toronto. La sua produzione conta più di 100 lavori.
Bernard Fowler– Nato nel 1959, è un poliedrico artista americano (è musicista, autore, attore e produttore). Ha collaborato con alcuni dei nomi più grandi della musica mondiale quali il premio Oscar Ryuichi Sakamoto, i Duran Duran, Yoko Ono, Philip Glass, Steve Lukather (chitarrista dei Toto), Alice Cooper e Michael Hutchence, compianto cantante degli Inxs. Ha pubblicato il suo unico album solista Friends with Privileges nel 2006 per la Peregrine Records. Con i Rolling Stones collabora da oltre 25 anni comparendo anche in molti dei dischi solisti dei membri del gruppo.
Lisa Fischer – Nata nel 1958, inizia la sua carriera celandosi sotto il monicker Xēna, sotto il quale pubblica un singolo “On the Upside” e partecipa alla colonna sonora del film “Beat Street” con la canzone “Only Love (Shadows)”. Trova però la fama mondiale come vocalist per artisti quali Billy Ocean, Chaka Khan, Teddy Pendergrass, Roberta Flack, Tina Turner e Nine Inch Nails. Nel 1991 ha pubblicato il suo unico album solista “So Intense” con la Elektra Records sotto gli occhi e le orecchie attente di diversi produttori tra cui spicca il nome di Luther Vandross e il disco riuscirà ad entrare persino nelle Billboard Charts. Con i Rolling Stones collabora sin dal 1989.
Matt Clifford –Forse lo avrete visto nel documentario “Being Mick” o nel “Goddess in the Doorway” di Mick Jagger, ma in realtà Matt Clifford è un collaboratore di lunga data dei Rolling Stones coi quali ha anche inciso gli album Steel Wheels (1989), Bridges to Babylon (1997) e A Bigger Bang (2005). Nel 1989 insieme a Chuck Leavell ebbe pure l’onore di comparire sulla copertina della prestigiosa rivista “Keaboard”. Ha lavorato anche con Anderson, Bruford, Wakeman and Howe coi quali incise il loro (tuttora) unico lavoro in studio che portava il nome degli stessi quattro musicisti.
La società organizzatrice dell’evento
Nel 1987 Mimmo D’Alessandro e Adolfo Galli iniziano la loro collaborazione in occasione del tour italiano di Joe Cocker facendolo esibire insieme a Zucchero, in tre concerti “sold out”. Inizia, così, una proficua collaborazione che li porterà a formare una società,oggi leader nel settore del music business. Adesso la D’Alessandro e Galli organizza tournée’e di successo in tutta Italia ed Europa, toccando le maggiori città fino ai centri più piccoli. Come promotori italiani hanno sempre cercato di cambiare l’opinione che gli agenti ed i manager stranieri avevano in Italia, conquistando la loro fiducia. Fattore di distinzione della D’Alessandro e Galli, rispetto alle altre Agenzie Italiane, è la posizione geografica dei suoi uffici: Viareggio e Brescia.Queste due città sono lontane dai centri principali come Roma e Milano e , come risultato, i due soci hanno un modus operandi completamente diverso rispetto ad altri promoters, focalizzando il loro interesse sugli artisti e sugli spettatori. “Questi sono i nostri clienti e sono per noi importanti. Dobbiamo, quindi, prendercene cura. Loro si fidano di noi, rispettiamo gli accordi. Abbiamo fatto concerti che sapevamo fin dall’inizio essere una rimessa ma li abbiamo fatti perche’ pensavamo che, a lungo termine, ci avrebbero compensato. Naturalmente a tutti fa piacere fare i grossi nomi ma noi vogliamo promuovere e sviluppare anche gli artisti agli inizi o che devono rilanciare la loro carriera: e questo e’ eccitante ed appagante“.
Agli inizi degli anni ottanta, Mimmo D’Alessandro, si occupa della direzione artistica del locale più importante della Versilia -LA BUSSOLA- rafforzando poi la sua reputazione quale promoter locale grazie a concerti come quelli di David Bowie, Eric Clapton, Spandau Ballet, Diana Ross e Iron Maiden organizzati a Firenze. Nello stesso periodo a Brescia, Adolfo Galli,si occupa della direzione artistica del Teatro Comunale ingaggiando piccoli gruppi jazz. Nel giro di pochi anni aumenta la fama e l’importanza del Teatro e di Adolfo Galli all’interno del circuito concertistico nazionale e comincia la promozione di artisti più importanti.
Peter Gabriel, nuovo album di cover e grandi collaborazioni
In uscita il 24 settembre prossimo, l’ultimo album di Peter Gabriel completa il progetto sulle cover imbastito con Scratch My Back: se nel disco del 2010 Gabriel si era impegnato a realizzare versioni personali di brani di altri artisti, in And I’ll Scratch Yours, chiede gli venga restituito il favore. Il disco sarà venduto sia singolarmente, sia in abbinamento al suo antecedente. Ecco la tracklist:
“I don’t remember” David Byrne
“Come talk to me” Bon Iver
“Blood of eden” Regina Spektor
“Not one of us” Stephin Merritt
“Shock the monkey” Joseph Arthur
“Big time” Randy Newman
“Games without frontiers” Arcade Fire
“Mercy street” Elbow
“Mother of violence” Brian Eno
“Don’t give up” Feist feat. Timber Timbre
“Solsbury hill” Lou Reed
“Biko” Paul Simon
Marta Sui Tubi – Cinque, La Luna e Le Spine
Hanno diviso in due come una mela il vasto parterre del loro “fanzinato”, tirati tra la partecipazione a Sanremo e gli ancoraggi nella zona franca dell’underground di stampo indie, due mondi opposti ma che nello stesso tempo sono parte integrante di percorsi o “viottoli” di piacere velocizzato oppure gavette truculente; i siciliani Marta sui Tubi escono con Cinque, La Luna e Le Spine, il nuovo album uscito proprio sotto le serate sanremesi e dove la ribellione degli ortodossi della band si è consumata tra accuse di tradimenti e di “vendite alla facilità mainstream”, un disco – il quinto – che, tra modernità e ponteggi che toccano quasi il progressive, va a scomodare Caino spedito per espiare le sue colpe sanguinarie in un satellite lontanissimo, perso chissà dove.
Undici tracce scoppiettanti, versatilissime in un compendio espressivo che bacia ad intermittenza funk, pop, prog, liriche blues, Peter Gabriel “Vagabond Home”, capricci, tutto complessato in un repertorio sparato, senza tentennamenti e con uno stile subito riconoscibile, svincolato dai soliti modelli, musicalmente originale quanto intensamente consapevole; i MST con dieci anni di carriera alle spalle hanno saputo levigarsi dalla ruvidità fino ad inventare un “lucido” meraviglioso, una completezza d’insieme – prima un duo poi il quintetto dei nostri giorni – che ora li fa protagonisti e questo nuovo lavoro “unlimited”, senza confini di suoni, ne è quasi la condensazione contagiosa del loro essere musicisti in questa era.
Mai atmosfere esagerate, forse il funk tarantolato che scuote “Il Collezionista Di Vizi” e “Tre”, ma la spennata spalancata e folkly “Dispari”, quei sentori melodici Vendittiani “La Ladra”, “I Nostri Segreti”, il passo poetico di archi e atmosfere d’arcadie “Grandine” e le dissonanze etno-acustiche che tremolano in “Polvere Sui Maiali” restano a bilanciare l’intera struttura, tanto che un’altra sensazione d’ascolto si fa avanti tra le pieghe di una graffiata melodia di marca, praticamente l’effetto a catena di un piccola opera d’arte “fuori regola”.
Con un piede sul gradino alto del main stage e l’altro pure, i Marta sui Tubi seguitano a stupire, lo possono fare, è il bello della loro essenza.