Piano Magic Tag Archive
Sique & Petrol – Suono Fantasma
L’Italia pare terreno fertile per l’esplosione di piccole mode spesso destinate a sciogliersi sotto i primi raggi di sole. Questi ultimi tempi, la tendenza che sembra dare maggiori garanzie di successo è il duo Indietronic uomo/donna ed è proprio questa la formula proposta da Sique & Petrol, compagine bresciana composta da Silvia Dallera (SiQue) e Alessandro Pedretti (Petrol) forse ai più fanatici noto per le esperienze con EttoreGiuradei e Colin Edwin dei Porcupine Tree. Dietro la fumosa definizione Indietronic si cela una miriade di mondi sommersi e, anche in questo caso, bisogna scavare oltre a questa densa e spessa nebbia per comprendere cosa sia questo Suono Fantasma. Una commistione di sonorità che vanno dall’Ambient e il Dream Pop di stampo quasi nordeuropeo fino al più classico Alternative Rock passando per l’Elettronica e il Trip-Hop.
Bellissimo il viaggio sonico che s’intraprende negli undici minuti di psichedelia liquida di “Ocean Sky & Moon” (suonata quasi in stile primi Piano Magic), con un basso essenziale e prepotentemente assillante che, quasi richiama alla mente certi Pink Floyd mentre la voce di SiQue alterna fasi soffici ad altre più corrosive, inseguendo il ricordo della straordinaria Elizabeth Fraser (Cocteau Twins) sia nella timbrica sia nell’indole. E proprio lo stile di SiQue, capace di passare agevolmente dal singing più standard e Pop al più ricercato virtuosismo stilistico è una delle armi di questo Suono Fantasma che si avvale anche di un discreto lavoro di ricerca dei suoni, glitch Elettronici che sorvolano lidi di sperimentazione senza mai atterrare ma viaggiando dritti verso piste apparentemente più sicure. Un album che in taluni momenti (“Ocean Sky & Moon” e “Light Tendtrills) affascina sfiorando, se non la perfezione, certo un livello ragguardevole sia per esecuzione, tecnica e composizione sia per intensità emotiva e capacità di trascinare, ma che, nel complesso, non riesce a stupire veramente, né a trovare melodie che lascino il segno; l’indifferenza che resta alla fine dei diversi ascolti è il giudizio più schietto e sincero che si possa dare.
La Band Della Settimana: Christine Plays Viola
La band abruzzese è ormai una vecchia conoscenza per i più affezionati lettori di Rockambula, dopo la recensione del loro ultimo Ep, la video intervista realizzata sempre da Ulderico Liberatore e il live report ad opera di Riccardo Merolli. Chi li ha imparati a conoscere sarà rimasto affascinato dalla loro musica misto di Darkwave, Gothic e Post Punk, tra Depeche Mode, Piano Magic, Christian Death, Bauhaus e Sister of Mercy.
Ora la redazione di Rockambula ha deciso di premiare i Christine Plays Viola freschi del ritorno dall’ennesima data fuori dai confini italiani. Zurigo è solo l’ultima tappa di una serie interminabile di date in cui Massimo Ciampani, Fabrizio Giampietro, Desio Presutti e Daniele Palombizio si sono esibiti in giro per l’Europa. In attesa di assistere alla loro esplosione anche in terra italiana, gustiamoci ancora il sound oscuro dei Christine Plays Viola.
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The Urban Jungle – S/t
Ci ho messo un po’ troppo a mettermi ad ascoltare questo primo disco dei The Urban Jungle ma volevo farlo per bene. L’ho fatto girare nello stereo una volta, due, tre, fino ad annoiarmi. Anzi, ancora non mi sono annoiato e lo riascolto. Un sound molto semplice quello di Liuk, Diego e Mario, i tre giovanissimi (classe 88/89) creatori di questo lavoro eppure nella testa rimbombano mille dubbi. Decido cosi di esternare le mie sensazioni e le mie impressioni e di parlarne con qualcuno, come se dovessi sfogarmi di qualcosa che ho dentro. Non vi dico chi è quel qualcuno, forse è la parte buona di me, la mia coscienza, il mio subconscio; forse è un mio amico, forse qualcun altro; non è importante. Al limite, ve lo dico alla fine. Appassionante questo primo pezzo, “Pray”. Rock alternativo semplice e diretto. Indovinato il giro di chitarra in loop per tutto il brano che dà un tocco di psichedelia. Che ne pensi?
Ricorda un loop quasi Maroon 5 e molto interessante il testo che parla di spazio e di stelle. Ti fa venir voglia di ballare.
Secondo me sarebbe stato ancor più affascinante con un ritmo più veloce, dinamico; magari con una seconda chitarra a mescolare le carte. Non credi?
Sì, certo. Sarebbe diventato un bel singolo se fosse stato più veloce. Ancora più di facile ascolto. Che io sappia nei live viene fatto, infatti, molto più veloce.
Ottimo. Ma non capisco una cosa. Il cantante cerca di imitare in alcuni passaggi il leader dei Placebo o è una mia impressione?
Non credo sia tra i gruppi preferiti dalla band; probabilmente gli è stato consigliato di scandire bene le parole per fare in modo che risultasse facile da ascoltare.
Effettivamente la cosa si sente molto. Niente male anche “Another One”, sound più calmo e delicato rispetto al precedente nella prima parte ma molto energico nella seconda. Ci sono tanti ascolti Grunge dentro.
Moltissimi. Io sapevo che i primi tempi dei The Urban Jungle furono trascorsi a cercare di non imitare Eddie Vedder, purtroppo entrato nelle corde. Canzoni come “Another One” fanno tornare alla mente le prime cose fatte ma sono quasi inevitabili per la band.
“Qualcosa In Cui Credere Ancora” sembra tornare allo stile del primo brano, molto più dinamico e Brit Pop. Ma che succede? Che c’entra il cantato in italiano?
Con l’italiano forse la band cerca di far suo un pubblico, come dire, più vicino. A mio parere usare troppo l’inglese, se vuoi rimanere in Italia o almeno farti conoscere prima qui, non serve a un granché.
Servono però testi con i “controcazzi” altrimenti la gente pensa troppo a quello che dici e poco a quello che suoni.
Vero.
Devo aggiungere una cosa. Se non prendono una seconda chitarra, quella che c’è e il basso devono darsi da fare. Soprattutto le quattro corde sono suonate in modo troppo semplice ed elementare. Non riescono a dare uniformità alla musica.
Effettivamente sì. In pezzi come “Pray” vedrei bene un piano anzi, ancor più un synth.
Ho molti dubbi sul cantato in lingua madre come in “Fragile”. Rende la musica troppo pseudo Pop-Rock all’italiana. Del tipo che non amo.
Una canzone come Fragile però (come struttura) faccio fatica a immaginarmela in inglese, sinceramente. Ma è anche vero che l’italiano a volte può essere quasi un difetto, vai a finire in generi che non ti saresti nemmeno immaginato.
Sì e proprio per questo forse la formula giusta è piuttosto quella di “City Above”.
Bel pezzo “City Above”.
Tanto grunge anche qui, sia nel cantato sia nelle ritmiche. La chitarra alterna momenti eterei a riff più taglienti e aggressivi. Pensi che il pubblico italiano abbia cosi tanta necessità di capire i testi?
Penso che non sia necessario effettivamente che il pubblico comprenda i testi (che poi anche in inglese li comprende, se vuole) ma un live fatto di musica italiana e straniera, in Italia, può come dire,….spezzare.
“Invisibile” chiude l’album. Tralasciando il ritorno all’italiano, dall’intro sembra che The Urban Jungle si rifacciano ancora al Brit Pop classico ma i riverberi chitarristici seguenti ricordano anche i momenti più rock dei Piano Magic. Che te ne pare? Oltre al Grunge che tipo d’influenze hai notato?
Dunque, sento sonorità a tratti molto Muse o U2 ma sono i delay a fare da padrone e in più si sente molta attitudine synth pop.
I dieci secondi finali sono la parte più omogenea, carica e potente di tutto il disco. Spettacolari. Questo è quello che avrei voluto fosse il cuore dell’opera. Può essere un punto di partenza dal quale sviluppare l’album futuro.
Certo!! Può e deve esserlo. Il finale con quel riff di basso che arriva dopo un crescere di batteria per completarsi in una chitarra potente come la voce deve far capire che il trio è unito e omogeneo oltre che potente.
In realtà l’album ha ottime potenzialità, anche perché ci sanno fare con le melodie. Se vogliono restare un trio però, devono sforzarsi e lavorare di più. Le uniche cose che non concepisco sono: perché tanta disomogeneità? Un pezzo che guarda all’Inghilterra, uno a Seattle, ora l’inglese, ora l’italiano. E forse poca originalità. Bisogna mettere in chiaro le idee e trovare uno stile peculiare, non trovi? Ammetto che hanno tutto il tempo per inventare qualcosa.
Giusta considerazione. Credo che sia dovuto ai diversi background musicali di chi compone la formazione. Credo che da un lato possa essere piacevole sentire un gruppo che spazia, ma deve spaziare bene tra le varie sfumature del rock.
Dopo queste esternazioni, penso di aver capito molto di più della musica di The Urban Jungle. Ho rafforzato alcune delle idee critiche che avevo all’inizio, ma sono ancora più convinto che le cose possano palesemente migliorare, col tempo. Hanno il futuro dalla loro parte e l’energia di chi è giovane e ama la musica.