Placebo Tag Archive
Phidge – Paris [STREAMING]
In anteprima esclusiva per Rockambula Webzine eccovi “Paris”, il nuovo singolo dei Phidge, quar tetto bolognese che viaggia tra l’indie rock e l’emo-core 90’s.
Intervista a Mario Sp
Mario D’Angelo, in arte Mario Sp, è un Dj producer di ultima generazione che, nei recenti mesi, sta provando a emergere nel panorama Deep Techno grazie anche a diverse collaborazioni con etichette di rilievo quali Klop Music, Bosom, Cubek Label e Klaphouse Records. Lo abbiamo incontrato per parlare del ruolo dell’Elettronica oggi e di quello che può esserne il suo futuro.
I Giorni dell’Assenzio
Intervista a Mattia De Iure, voce e chitarra de I Giorni dell’Assenzio, Power trio abruzzese che si sta facendo spazio nel grande mondo della musica Indie italiana. Un ringraziamento speciale a Mattia e a tutto lo staff della Ridens Records per la disponibilità e la collaborazione.
Partiamo con una domanda inerente il titolo del vostro primo cd: ma la solitudine è davvero così immacolata?
La prima domanda è sempre la più difficile… Comunque risponderei sì, perché volevamo dare appunto l’idea di questa solitudine “immacolata”, nel senso che non è stata violata, che è pura da un certo punto di vista, la più profonda che ci sia; inoltre c’è anche l’assonanza con l’Immacolata Concezione che è un tema che ricorre, come quello della sacralità, della ricerca del divino, che è ricorrente anche nel disco; un po’ velato, ma c’è… Inoltre era anche il filo conduttore di tutti i pezzi per cui ci è venuto spontaneo intitolare così il nostro primo disco. Che poi è una cosa che mi è sempre suonata in testa, anche dalla canzone “Immacolata”, il singolo, in cui volevo raccontare questa storia di profonda solitudine tramite l’amore, che è la cosa più pura che ci sia.
A chi vi ispirate per scrivere i vostri brani?
Tendenzialmente la nostra ispirazione general un po’ come sound, un po’ anche come scrittura volendo, è un po’ una mediazione tra i gruppi cosiddetti Power trio della scena anni novanta tipo Nirvana ma anche più moderni tipo Placebo, Muse; essendo poi noi italiani ci piace menzionare anche tutti i gruppi della scena indipendente nostrana tipo Teatro degli Orrori, Ministri, Gazebo Penguins e soprattutto Verdena, di cui siamo tutti e tre super fans. E’ quindi una mediazione fra tutte le cose che ci piacciono, che alla fine sono anche un po’ diverse e cerchiamo di tirarne fuori il meglio.
Quindi nel gruppo i gusti sono gli stessi?
C’è il fondo, lo zoccolo comune che è quello che ti ho appena detto, ma poi in realtà tutti ascoltiamo tantissime altre cose, il batterista spazia dal Metal all’Elettronica, la bassista dal Reggae al Dub e io più o meno la stessa cosa.
Domanda provocatoria (riferito a un verso di “Immacolata Solitudine”): ma le borse finanziarie sono davvero morte o c’è speranza per la nostra economia?
Per la nostra economia non credo che ci sia speranza; ho voluto mettere proprio le borse finanziarie perchè secondo me sono l’emblema della decadenza della società; la finanziarizzazione dei mercati secondo me è stata la cosa più stupida che l’uomo abbia mai fatto (ma questo è un mio commento personale).
Le canzoni si dice che siano come figli… voi avete il vostro prediletto?
Non in particolare; diciamo che ci piace tutto il disco; io personalmente sono legato particolarmente a una canzone che è “Rivoluzione”, che la sento un po’ di più anche quando la suoniamo live.
Il Power trio è una formazione abbastanza insolita in Italia… Non vi sentite penalizzati nei live a non avere per esempio un altro chitarrista con voi sul palco (è chiaro che magari sul disco si possono fare anche sovraincisioni, ma live no…)?
Secondo me la cosa che ci è piaciuta di più da quando è iniziato il progetto è stata proprio questa, sperimentare mentre si suona in tre, poi su disco è ovvio che ci sono più chitarre ed arrangiamenti diversi; ci piace molto giocare sugli arrangiamenti nei live che sono tutt’altra cosa pur mantenendo la stessa base sonora.
La dimensione live vi appartiene… ma in studio il disco suona davvero bene… ha degli arrangiamenti davvero ben curati… Voi dove vi vedete meglio sul palco o in studio?
Innanzitutto grazie del complimento! Sinceramente ci vediamo meglio sul palco; fare dischi è bellissimo perché vedi la dimensione finale delle canzoni, forse è pure un po’ più complicato, ma devi solo entrare un attimo nell’ottica, perché è difficile da fare subito ma per fortuna ci hanno aiutato molto i ragazzi dell’etichetta (la Ridens Records), soprattutto il produttore Paolo Paolucci.
In “Radioattività” la voce principale è quella di Tania… Nel futuro potrebbe esserci anche più spazio per lei alla voce? Per quanto mi riguarda ha superato a pieni voti la prova…Tu che dici?
Sì decisamente… Tra l’altro quel testo l’ha scritto anche lei; quindi se lei deve cantare un pezzo è meglio che canti le sue cose perché sono più sentite.
Avete aperto per gruppi importanti quali Meganoidi e Lo Stato Sociale (per menzionarne alcuni)… cosa pensate della musica indie in Italia?
Abbiamo fatto tantissime aperture e con alcuni gruppi si è creato anche un rapporto umano (mi viene da aggiungere a quelli menzionati almeno Gazebo Penguins, Tre Allegri Ragazzi Morti e Teatro degli Orrori); la cosa che più mi piace dell’Indie italiano è proprio che con la maggior parte di loro riesci anche a legare.
Nel disco ci sono anche ospiti quali Ivo Bucci dei Voina Hen, Luca Di Bucchianico del Management del Dolore Post Operatorio, Monica Ferrante dei Mom Blaster (altro gruppo prodotto da Ridens Records). Come sono nate queste collaborazioni?
Sono tutti amici nostri che conoscevamo anche al di fuori dell’ambito musicale; inoltre volevamo fare un disco che coinvolgesse un po’ tutta la scena locale anche perché suonando da un paio di anni nella scena frentana ci è sembrata una cosa naturale che collaborassero anche loro.
Dove vi vedete fra dieci anni?
Spero a suonare il più possibile.
Sempre con la stessa formazione, con tanti dischi e tanti live alle spalle?
Sicuramente! La stessa formazione? Beh, la base spero rimanga sempre quella ma non escludo l’aggiunta di qualche elemento in futuro… Dipenderà da quello che scriveremo…
Progetti in cantiere?
In primis il secondo singolo , che dovrà tra l’altro uscire fra poco, poi un secondo disco in studio (siamo già in fase di scrittura io e gli altri) ed infine stiamo cercando di continuare a preparare e, perché no, a migliorare i nostri live perché è una cosa a cui teniamo molto.
Qualche data importante?
Sì, abbiamo suonato di recente a Parma il 31 luglio, ma il calendario è sempre in continua evoluzione per cui seguiteci sul nostro sito ufficiale e sulla nostra pagina Facebook!
Lo Sziget prende forma
Svelati tre nuovi nomi per il cartellone della 22esima edizione del Sziget Festival: Outkast, Manic Street Preachers e The 1975 si affiancano agli artisti già annunciati, tra cui si segnalano Queens of the Stone Age, The Prodigy, Macklemore & Ryan Lewis, Bastille, Skrillex, Placebo, The Kooks ed Imagine Dragons.
“Una Vita Diversa” è il nuovo singolo dei VELVET
A distanza di pochi mesi i VELVET tornano con un nuovo singolo e un nuovo disco. Il primo brano estratto è “Una Vita Diversa”: chitarre spigolose, grandi Basslines e suoni che rimandano alla migliore tradizione Electro Wave dei New Order e dei Placebo, band che hanno segnato una parte importante nella formazione musicale dei Velvet. L’apporto melodico di Federico Dragogna dei Ministri si fonde alla perfezione con la naturale predilezione della band romana verso emozionanti aperture melodiche regalando al pubblico una nuova grande canzone.
Oltre al contributo di Federico Dragogna, nell’album STORIE, che sarà in vendita nei negozi di dischi e nei principali digital store dal 4 marzo, saranno presenti collaborazioni con Alberto Bianco e Fabrizio Bosso.
Un vecchio famoso video.
Analisi di un disatro annunciato! La classifica dei dischi più venduti nel 2013.
Quello che trovate subito sotto è il risultato di una piccola analisi che ho voluto fare dopo aver letto le classifiche di vendita degli album in Italia nel 2013. Andiamo per ordine e cerchiamo di capire di che cosa si tratta. Qualche giorno fa sono stati resi pubblici i dati concernenti la vendita dei dischi nell’anno solare appena passato sul territorio italiano e in testa troviamo Ligabue con Mondovisione seguito da Modà e Jovanotti. A fine articolo trovate la lista delle prime cinquanta posizioni. Senza troppi giri di parole, la domanda è una sola: dove sta la nostra bella musica indipendente? Dove si sono ficcati quei nomi “giganteschi”, almeno per noi e probabilmente per chi ci legge, come Arcade Fire, Placebo, Low e via dicendo? Scorrendo la classifica, il primo nominativo sul quale vale la pena soffermarci è quello dei Daft Punk al diciassettesimo posto, tallonati dai Depeche Mode; poi abbiamo i Pearl Jam al trentesimo e più staccati David Bowie e i Muse. Andando oltre la posizione numero cinquanta, scopriamo il primo e unico nome tutto italiano del panorama Indie (passatemi il termine che mi permette di sintetizzare) e cioè quello dei Baustelle. La cosa che pare chiara, dunque, è che c’è una spaccatura netta tra il pubblico musicalmente “colto” o meglio quello che si pone con più attenzione alle uscite underground (in linea di massima le stesse proposte da webzine come Rockambula ma anche dai giganti Ondarock, SentireAscoltare o Rockit o le riviste cartacee come Rumore, Il Mucchio e via dicendo) e chi effettivamente i dischi li compra.
O quantomeno, il pubblico che ascolta e apprezza le band che questi magazine o webzine come la nostra promuovono, non è evidentemente abbastanza numeroso da far sì che i loro artisti preferiti possano entrare nelle classifiche riguardanti gli album più venduti, al fianco dei sopracitati re (con la minuscola) del pop/rock (con la minuscola) tricolore. In quest’ottica poco stupisce che gli Arcade Fire vendano circa seimila copie e i Marlene Kuntz appena settemila e comunque mille in più dei canadesi, che invece, nei nostri discorsi da musicofili, collezionisti di vinili, talent scout dell’Indie Rock, insomma, nelle chiacchierate tra noi Indie Snob che al concerto degli U2 se ne vanno dopo aver ascoltato il gruppo spalla, sembrano il non plus ultra del panorama mondiale. Partendo da questo presupposto e visto che il mio ruolo mi permette di affermare la scarsissima qualità delle classifiche di vendita nostrane, una domanda sorge spontanea ed è una questione che in molti hanno sollevato in questi giorni. Quando esattamente ci siamo ridotti cosi e cosa ci ha portato a questo? L’avvento dei reality show, l’affermarsi della Tv come principale strumento d’informazione, l’arrivo degli mp3, il download illegale, il generale impoverimento culturale? In quale anno, in quale preciso istante l’Italia è caduta nel baratro? Per cercare di dare una risposta a queste domande ho deciso di realizzare questo piccolo studio da cui scaturisce il grafico che trovate di seguito.
Semplicemente ho considerato tutte le classifiche di vendita degli album, anno per anno, dal 2009 al 1964 (dati www.hitparadeitalia.it) e ho analizzato i dischi che si trovano nelle prime posizioni. Poi ho esaminato il gradimento di quei dischi, attraverso un portale che avesse un pubblico quanto più variegato possibile (www.rateyourmusic.com), usandolo come strumento quanto più oggettivo possibile per valutare la qualità (o meglio la percezione qualitativa di un dato pubblico) degli album analizzati. Ovviamente, parlando di giudizi su album, ci sarà una miriade di variabili da considerare (dal tipo di pubblico del sito, alla preparazione dei votanti e cosi via) tanto che una qualsiasi valutazione oggettiva è pressoché impossibile, ma ho cercato di usare gli strumenti più adatti allo scopo, tentando di non influenzare il risultato. Quello che ho cercato di capire è quanto la qualità media dei dischi più venduti è variata nel tempo e se c’è un momento storico in cui la spaccatura si è fatta più evidente.
Nel grafico dunque trovate tutti gli anni sull’asse orizzontale mentre in verticale è presente la valutazione qualitativa che, attraverso il mio sistema, va da un minimo di zero a un massimo di quindici. Tanto per capirci, i tre album con il voto più alto presenti nel sito arrivano a 12,84. Quello che emerge chiaramente è che (sempre considerando la presenza d’infinite variabili che rendono l’analisi interessante più come curiosità) pare esserci effettivamente un peggioramento nel pregio dei dischi che si trovano nella parte alta della classifica, ma, nello stesso tempo, non c’è apparentemente un momento preciso cui sembra corrispondere questo calo. La cosa lascerebbe supporre che nessun motivo unico scatenante debba riscontrarsi in questa spregevole inclinazione ma che anzi, inevitabilmente, una serie di concause, ci stia portando ad allargare il divario tra album di qualità e album più venduti. Allo stesso modo, sembra anche esserci una sorta d’inversione di tendenza dagli anni 2000/2001 ma si tratta di un periodo troppo breve perché si parli di vera ripresa in tal senso, anche perché, spostando tali considerazioni oltre il 2006 e analizzando proprio i dati 2013, potremo notare come l’anno appena passato, si piazzerebbe nel grafico sugli stessi bassissimi livelli d’inizio millennio.
Che cosa dire dunque. Noi continuiamo per la nostra strada, proseguiamo a promuovere e ascoltare quella musica che riteniamo essere veramente di qualità con la consapevolezza che sarà solo una minoranza a seguirci, quella stessa minoranza che però ci piace incontrare ai concerti dei Massimo Volume o, tra qualche mese, dei Neutral Milk Hotel. Probabilmente non ha senso cercare un solo e unico colpevole e probabilmente, quest’analisi andrebbe raffrontata con altre che rivelino la situazione culturale generale del paese e la sua involuzione. Allo stesso modo non possiamo che ridere di chi ancora è riuscito a stupirsi di questi dati, che trovate di seguito. Cosa vi aspettavate di vedere? I These New Puritans in vetta?
Pos. Att. | TITOLO | ARTISTA | ||
1 | MONDOVISIONE | LIGABUE | ||
2 | GIOIA … NON E’ MAI ABBASTANZA! | MODÀ | ||
3 | BACKUP 1987-2012 IL BEST | JOVANOTTI | ||
4 | STECCA | MORENO | ||
5 | SCHIENA VS SCHIENA | EMMA | ||
6 | SIG. BRAINWASH – L’ARTE DI ACCONTENTARE | FEDEZ | ||
7 | #PRONTOACORREREILVIAGGIO | MARCO MENGONI | ||
8 | MIDNIGHT MEMORIES | ONE DIRECTION | ||
9 | 20 THE GREATEST HITS | LAURA PAUSINI | ||
10 | MAX 20 | MAX PEZZALI | ||
11 | AMO | RENATO ZERO | ||
12 | NOI DUE | EROS RAMAZZOTTI | ||
13 | SONG BOOK VOL.1 | MIKA | ||
14 | MARIO CHRISTMAS | MARIO BIONDI | ||
15 | L’ANIMA VOLA | ELISA | ||
16 | AMORE PURO | ALESSANDRA AMOROSO | ||
17 | RANDOM ACCESS MEMORIES | DAFT PUNK | ||
18 | DELTA MACHINE | DEPECHE MODE | ||
19 | LA SESION CUBANA | ZUCCHERO | ||
20 | INNO | GIANNA NANNINI | ||
21 | UNA STORIA SEMPLICE | NEGRAMARO | ||
22 | SENZA PAURA | GIORGIA | ||
23 | BRAVO RAGAZZO | GUE PEQUENO | ||
24 | GUERRA E PACE | FABRI FIBRA | ||
25 | SUN | MARIO BIONDI | ||
26 | CONVOI | CLAUDIO BAGLIONI | ||
27 | TAKE ME HOME | ONE DIRECTION | ||
28 | MERCURIO | EMIS KILLA | ||
29 | AMO – CAPITOLO II | RENATO ZERO | ||
30 | LIGHTNING BOLT | PEARL JAM | ||
31 | PASSIONE | ANDREA BOCELLI | ||
32 | CHRISTMAS SONG BOOK | MINA | ||
33 | L’AMORE È UNA COSA SEMPLICE | TIZIANO FERRO | ||
34 | A TE | FIORELLA MANNOIA | ||
35 | THE TRUTH ABOUT LOVE | PINK | ||
36 | MIDNITE | SALMO | ||
37 | TO BE LOVED | MICHAEL BUBLE’ | ||
38 | THE NEXT DAY | DAVID BOWIE | ||
39 | BELIEVE | JUSTIN BIEBER | ||
40 | UN POSTO NEL MONDO | CHIARA | ||
41 | LORENZO NEGLI STADI – BACKUP TOUR 2013 | JOVANOTTI | ||
42 | LIVE KOM 011: THE COMPLETE EDITION | VASCO ROSSI | ||
43 | SOTTO CASA | MAX GAZZÉ | ||
44 | ORA | GIGI D’ALESSIO | ||
45 | SWINGS BOTH WAYS | ROBBIE WILLIAMS | ||
46 | THE 2ND LAW | MUSE | ||
47 | LA TEORIA DEI COLORI | CESARE CREMONINI | ||
48 | IN A TIME LAPSE | EINAUDI | ||
49 | UNORTHODOX JUKEBOX | BRUNO MARS | ||
50 | ARTPOP | LADY GAGA |
NON HO TROVATO UNA CANZONE PIU’ ADATTA!!!
Soviet Soviet – Fate
Ascolto: in una latitudine del mondo comunque sbagliata
Umore: come di chi si presenta in montagna con la muta da sub
Ci sono lavori come questo che un recensore fatica a recensire. Perché è immensamente più facile spiegare le motivazioni per cui una cosa non ti piace o ti sta sul cazzo che scovare nel dizionario le parole all’altezza di spiegare una cosa che ti piace. Se non ti piace un disco, non dosi le parole, non le scegli accuratamente; ti vengono spontanee, sarà anche per un umanissimo desiderio di lasciar fluire i giudizi negativi che non puoi dare vis à vis nella tua giornata al cliente o al vigile urbano che ti ha appioppato la solita 40 euro di multa per divieto di sosta per trenta centimetri sulle strisce pedonali. Ecco perché sul secondo lavoro dei Soviet Soviet non voglio soffermarmi molto di più di quello che può essere spiegato in poche parole dall’espressione “ Gran bel disco” oppure “Destinati al riscontro pieno e deciso anche fuori dai confini italiani”. Il voto è un bel sette e mezzo come nell’italianissimo gioco delle carte.
Fate è ipnotico, avvolgente, straniante, di quei dischi in cui perfino le imprecisioni ti sembrano messe ad arte. I Soviet Soviet dimostrano appieno di aver digerito la lezione New Wave e Punk, dimostrano di aver pasteggiato con il Post Rock e aver accompagnato il tutto con bicchierate di Dark con abbondante ghiaccio. Il basso suonato sempre con il plettro e costantemente effettato caratterizza non solo le ritmiche ma anche il colore complessivo del disco, finalmente. È piuttosto raro infatti che a livelli underground ci sia un apporto così deciso e caratterizzante del basso. Le linee melodiche sono riproducibili ma mai paracele con un timbro di voce a volte nasale e a volte slabbrata; si appoggia (o a me dà quell’impressione) nell’interpretazione a qualcosa che ricorda i Placebo ma senza che risulti un’imitazione. Probabilmente ed in maniera in fondo fisiologica e salutare si tratta solo di aver respirato nella stessa aria musicale e di aver mangiato allo stesso piatto. Chitarre dal riverbero talmente figo che non ha solo il potere di valorizzare i temi o le ritmiche, ha anche il potere di teletrasportarti in un altro posto fisico del mondo e in un’altra era, come in “Gone Fast” , pezzo già pronto per uno spot di macchine e di paesaggi ripresi dall’alto. Stop, la mia recensione finisce qui, non c’è bisogno di altre inutili parole per descrivere un bel disco se non “ è un bel disco”. Ad una donna che le devi dire di più di “Ti amo” per spiegarle l’amore?
Anzi no, ci ho ripensato: scendo a capo e riapro il file word per affrontare una considerazione pensata in extremis forse più interessante che mi ha suggerito l’ascolto di questo disco: lo straniamento geografico. Ci sono dei dischi o delle band che ti fanno immaginare anche un intorno fisico e temporale oppure, al contrario, intorni fisici e temporali che se non li incroci non capisci perché quella musica può venire solo da quella latitudine e da quei paesaggi. I Soviet Soviet hanno questo dono: li ascolti e pensi alla pioggia di Berlino raccolta in pozzanghere che sbuffano tremolanti l’immagine riflessa del cielo di piombo; ti immagini a camminare, mani in tasca, con una bella tipetta bionda tinta con il chiodo, piercing vistosi sul naso e faccia pallida per Mühlenstrasse, la strada che corre di fianco il muro. Ti immagini di andare a trovare David Bowie nel suo studio mentre sta registrando un nuovo disco Glam Rock. Ti immagini di calciare lattine vuote di birra abbandonate dagli sbandati che si trascinano in zona. Ti immagini il freddo che ti sega le orecchie e i tuoi guanti di lana tagliati sulle dita e le bottigliette di vodka dentro le tasche del cappotto scuro comprato in un mercatino a Kreuzberg. Ti immagini diverso e trasandato; e più figo, magari anche più alto e con più capelli. Poi mentre continui ad immaginarti, distrattamente leggi la biografia dei Soviet Soviet e vedi che arrivano da Pesaro. Ti ricordi che l’unica volta che hai visto Pesaro era in un’estate torrida mentre sgambettavi sul sedile di un risciò sul lungo mare con una palma ogni venti metri; le signorone dell’est con i costumi variopinti e i loro visi resi paonazzi dal primo sole. Non arrivavi nemmeno ai pedali. Eri un bimbetto di undici anni occhialuto, un po’ paffuto e con i calzoni corti. Per niente scafato.
Ho sempre pensato che le biografie non servano ad un cazzo.
Cazzo.