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Le Pinne – Avete Vinto Voi
Il duo milanese formato da Irene Maggi (voce) e Simona Severini (voce e chitarra acustica) torna, a cinque anni da Le Cose Gialle, con un nuovo lavoro nel quale troviamo la partecipazione del produttore del disco Chris Costa alla drum machine, al basso ed a vari aggeggi più o meno elettronici.
Il suono nella sua semplicità, volontaria e disarmante, si fa dunque più corposo rispetto al primo lavoro ed i vari strumenti utilizzati da Costa conferiscono alle parole una maggior energia con le ragazze che confermano la loro capacità di scrittura con testi che in alcuni frangenti possono far ricordare nei modi (per quanto con una minore e più leggera profondità d’intenti) una certa Vivian Lamarque, trattando in modo lieve, ironico ed infantile gli amori, i sogni e i dolori portati dal vivere come la voglia di fuggire da questa società e dai suoi uomini alieni che contagiano anche le nostre vite.
Il breve lavoro (8 brani per 22 minuti) si apre con il pulsare quasi dance e la voglia di evasione con smania di grandezza di “Voglio un Jet”, voglia di evasione che ritroviamo anche in “Vita Subacquea”, brano bonario e giocoso, lieve e teatrale, dal ritmo scandito da glockenspiel, kalimba e campanelli, sul dolce far niente, su una perenne vacanza lontano da tutto (uno dei migliori momenti del disco).
Troviamo poi i cento problemi e le mille domande dell’istrionica “Il Genio” e la frenetica e divertente “Il Prete”, basata su uno spassoso fatto di cronaca purtroppo poi smentito (un prete di un paesino toscano durante una processione inciampa e cadendo, mentre in mano tiene un megafono, bestemmia!), un minuto e mezzo scarso di elettronica semplice e concitata, da videogioco anni 80, nella quale le Nostre raccontano l’episodio sfoggiando un comico rigore canoro fino a giungere alla conclusione che in Veneto, forse l’unica regione dove si impreca più che in Toscana, il prete avrebbe potuto essere perdonato.
Immancabilmente trova spazio anche l’amore con la gelosia effervescente di “Tu Mi Piaci”, primo singolo estratto, dedicata ad un ragazzo timido e indeciso, e con le curve melodiche, tra Soul, R&B e Trip Hop, che disegnano il racconto di un amore finito nei confronti di un maniaco dei muscoli e della pulizia in “Centro Commerciale” (altro brano tra i più riusciti del lotto).
Cabarettistico, semplice ma efficace, comunicativo e dotato di un proprio stile, Avete Vinto Voi rappresenta perfettamente questo duo che fa della leggerezza e dell’ironia la propria brillante arma, usandola con grande naturalezza. Un’arma che fa risultare Irene e Simona, il loro Pop Marino ed il loro look da Pin-Up, più ribelli e indipendenti di tante loro colleghe che (pre)tendono ad esserlo ben più di loro con risultati non sempre dei più convincenti.
Sara Velardo – 3
Sara Velardo è una giovane cantautrice con un carattere forte, pochi peli sulla lingua e una quantità di energia e passione davvero invidiabili. Dopo due album di matrice prevalentemente acustica il suo terzo lavoro in studio, intitolato 3, evolve verso un sound più elettrico e Rock, riuscendo a trasmettere tutta la necessità espressiva dell’autrice, con ancora maggiore enfasi e impatto. Questa svolta elettrica la avvicina ancora di più e per molti versi a cantautrici Rock come Carmen Consoli e Paola Turci.
Sara Velardo, però, con il suo personale stile diretto, ma al tempo stesso carico di sensibilità, ci parla dell’attualità che spesso fingiamo di non vedere, raccontando dal suo punto di vista storie che si legano a doppio filo con tematiche sociali e di degrado, che includono riflessioni sull’immigrazione e sulla violenza sulle donne. Potremmo definirla come una dolce violenza, spesso enfatizzata dalla voce di Sara, dal cambio di registro linguistico e dall’uso del dialetto calabrese , che attraverso i suoi suoni ruvidi e incalzanti, come in “Trageriaturia” e “Migranti”, riesce a superare la barriera linguistica. In generale lo stile del disco non cede mai il passo a frivolezze e mode passeggere e richiama suoni e sapori antichi, senza suonare vecchio e polveroso. Tra i nove brani si spazia molto: dal cantautorato americano un po’ sixties, che porta con sè tutta l’aria delle strade metropolitane ad episodi in cui la vena femminile e leggiadra prende il sopravvento per brani dalle atmosfere sospese, fino al Pop e agli spunti ritmici tribali.
Possiamo dire che 3 è sicuramente un disco sincero e vissuto, un racconto lucido e moderno in cui c’è spazio per una cover dei Beatles (“Tomorrow Never Know”), per un quasi Rap sperimentale de “I Confini Di Casa Mia”, fino alle ballate struggenti “Come Una Poesia”, senza sembrare contradditorio ne’ confusionario, anzi.
Recensioni | Giugno 2016
Never Trust – The Line (Alternative Rock) 6,5/10
Energico Punk’n’Roll influenzato dai Paramore degli inizi e dalla melodia acida dei Guano Apes. Il timbro camaleontico di Elisa Galli conferisce ai brani una marcia in più. In “Turmoil” aleggia lo spettro dei Lacuna Coil, aprendo le porte ad influenze Gothic che hanno un senso compiuto nel contesto del brano. Peccato che le cartucce più spinte vengano sparate tutte nell’arco dei primi pezzi, ammorbidendo troppo il sound col passare dei minuti.
[ ascolta “A.I.M.B.” ]
Anadarko – Tropicalipto (Post Rock, Noise) 4/10
Gli Anadarko sono un trio di Trieste e propongono un Post Rock molto spigoloso, fatto da riff netti e decisi ripetuti in loop, vitalizzati ogni tanto da influenze Jazz. Quasi tutti i brani hanno lunghi momenti di ripetizione, ma risultano monotoni non avendo molte stratificazioni sonore e cambi di ritmo. Questo fa si che non si riesca mai a catturare l’ascoltatore e trasportarlo nel mondo raccontato. La ripetizione non genera ossessione, i suoni non ti lanciano nel cosmo o ti rinchiudono in un quadro post apocalittico. La sensazione e che ci si trovi davanti a brani figli di sessioni di improvvisazione piuttosto che a lavori rifiniti e cesellati da sofisticati incastri sonori. Le basi ci sono ma andrebbero esplorate e ampliate.
[ ascolta “Aterfobia” ]
Hoax Hoax – Shot Revolver (Post Rock, Noise) 4/10
L’ambizione di questo progetto è strettamente legata alla dimensione live, perchè è quella di creare un palcoscenico globale dove ciò che viene offerto per l’esperienza è al punto di incontro tra la musica degli Hoax Hoax, le video proiezioni e la luce. Nel loro Post Rock ci sono tanti sconfinamenti, come col Noise di “Huacos”, ma talvolta nettamente fuori contesto. Nel complesso quello che manca non è un senso logico ed organico, ma è un lavoro che senza il contesto multimediale non può essere apprezzato a pieno.
[ ascolta “Ablution” ]
Light Lead – Randomness (Dream Pop) 6/10
I bresciani Davide Panada, Beppe Mondini e, soprattutto, la voce di Michael Israeli confezionano questo Ep d’esordio dal sapore vagamente Beach House, anche nello stile vocale molto simile a quello di Victoria Legrand, ma con una maggiore semplicità e, purtroppo, decisamente meno talento. Eppure le cinque tracce di Randomness rapiscono già ai primi ascolti, grazie a suoni incastonati alla perfezione tra i vuoti delle corde vocali e a melodie eteree e rilassanti. Assolutamente da rivedere sulla lunga distanza, partendo dalla straordinaria opening “We Won’t Get Lost”.
[ ascolta “We Won’t Get Lost” ]
Rufus Party – Connections (Alternative Rock) 3/10
Gli emiliani Rufus Party gonfiano il proprio ego ri-presentandosi con un’opera che vuole essere una sorta di concept sul collegamento che intercorre tra gli uomini e la realtà attuale, sulla saldezza dei rapporti e delle relazioni che si instaurano tra i diversi attori che solcano il palco della vita. Una sorta di concept che però concept non è e che, dal punto di vista musicale, miscela Blues, Soul, Grunge in un miscuglio informe, banale, mal costruito e dal sound che oscilla tra inutilità e mediocrità. Cantato interamente in inglese, Connections è tutto quello di cui non avevamo bisogno, gradevole come una rassegna di band locali a costo zero alla sagra della birra di un paesino di provincia.
[ ascolta “Mothership Connections” ]
Mandela – Paint-sweating Hands (Alt Jazz) 7/10
Ottimo e purtroppo breve concentrato di Alt Jazz sinuoso e avvolgente come le spire di un grosso, lucido serpente. I cinque Mandela ci trasportano sul fondo di un oceano che si agita maestosamente e con placida grazia, tra il torrido di richiami esotici e il rarefatto di atmosfere nebbiose. Tastiere e synth mai fuori luogo, batterie che sanno venire in primo piano per poi arretrare, chitarre frizzanti e inserti di fiati che pennellano sapienti. Più cool di così si gela.
[ ascolta “Massive” ]
Weird Black – Hy Brazil (Psych Pop) 7/10
Italianissima formazione dedita a esperimenti lisergici ma senza prendersi troppo sul serio, che alla lezione Neo Psych dei C+C=Maxigross applica l’approccio scanzonato e Lo Fi di Mac DeMarco e una mollezza Folk da menestrelli d’altri tempi, elettrificata nei momenti opportuni, ad aprire parentesi sinistre (“In The Grave Of Lord”) oppure semplicemente a ricondurci nel presente, evitando abilmente di cadere in mere citazioni.
[ ascolta “Despite The Gloom” ]
Leave The Planet – Nowhere (Dream Pop, Synth Pop, Nu Gaze) 6,5/10
Duo londinese dalle origini italiche, i Leave the Planet sono Jack ai riverberi e Nathalie ai sussurri Shoegaze. Il Dream Pop del loro EP di esordio cavalca l’onda sintetica revivalista à la Slowdive, per sei gradevolissime tracce fatte di molti layer, soffici e giustapposti. L’assaggio stuzzica il palato, non resta che augurarsi che alla prova in full-length i due arrivino con qualche elemento in più a personalizzare la propria cifra stilistica.
[ ascolta “Forever” ]
Femme – Debutante (Pop, Dance, EDM) 6,5/10
Un pixie cut rosa candy che campeggia sulla copertina del suo debut, ritmi easy da dancefloor sempre al limite del pacchiano e voce squillante e zuccherosa che ogni volta salva il tutto, specie quando si placa nelle ballad: è questa la formula di Femme, che si va a collocare nel folto esercito delle eroine del Pop danzereccio internazionale, per portarci una manciata di singoli appiccicosissimi, un’estetica accattivante e una buona dose di ironia.
[ ascolta “Light Me Up” ]
23 and Beyond the Infinite – Loath: Insane Mind Festival (Noise, Psych) 5,5/10
Quella della formazione beneventana è una psichedelia che deve molto alle origini del genere, chitarre distorte che si afflosciano narcotizzate, le liriche in inglese del cantato allucinato, esotismo quanto basta per catapultarsi nei mitologici 60’s. “From The Future to You” si sbilancia verso un Garage Rock oppiaceo ma è una promessa ingannevole: ci si gode il trip ma si resta insoddisfatti quando al termine dell’album appare chiaro che il viaggio è verso il passato, ed è di sola andata.
[ ascolta “From The Future to You” ]