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Paura di Tutto è il nuovo Ep de Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere

Written by Novità

È un vero e proprio prologo al concept album di prossima pubblicazione.

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Raniss – “Neve” [VIDEOCLIP]

Written by Anteprime

“Neve” è un brano diretto, in stile grunge anni ’90. Una visione decadente che è una delle marce di questo EP: una contrapposizione di idee tra la rinascita e l’abbandono sulle tematiche che toccano tutti, più o meno direttamente, ogni giorno.

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Oddu – Genealogia delle Montagne

Written by Recensioni

Li si conosceva già, e non solo nell’underground piemontese, quando erano i Baroque. Sonorità Pop anni ’80, tastiere tastiere tastiere, smalto scuro sulle dita e declamato teatrale. Molto del progetto Baroque è rimasto negli Oddu, per quanto la formazione sia cambiata e siano cambiate anche le influenze, le matrici, l’età anagrafica (che comunque non è un dato trascurabile) e l’intenzione.

“Quattro Inverni” ha un’intro fresca, che dall’Indie americano scende nel cantautorato nostrano alla Tozzi, mentre “Nella Prossima Vita” strizza l’occhio al Folk Pop dei Mumford and Sons. E in due sole tracce gli Oddu sono riusciti a farci capire la babilonia di ispirazioni che sottostanno alla fase compositiva. “Atlanti Perduti” è figlia dell’esigenza di raccontare e raccontarsi, con quelle liriche impegnate e il cantato che piega il virtuosismo alla narrazione semplice e lineare; “Mostro Cammina” sa di pioggia e Francia, per dirla con Paolo Conte. Personalmente, poi, mi ha ricordato tantissimo La Rue Ketanou (se non li conoscete sarebbe più che opportuno rimediare). Con “I Buchi sul Sedere” sbucano le ceneri dei Baroque, gli anni ’80, una certa nostalgia Glam. “Un Cuore Buono” apre in maniera molto intima e introversa, con la delicatezza del piano che tratteggia un’atmosfera un po’ cupa, che si trasforma, di nuovo, in Popular, in Folk.
E gli Oddu sembrano, fin qui, averci fatto vedere tutto quello che sanno, pure forse in maniera un po’ troppo articolata e complessa. Eppure non abbiamo ancora sentito tutto: “Battisti” è una sorta di scherzo elettronico citazionistico, da Battiato (più che da Battisti) a “Jump” di Van Halen, dai Bluvertigo dei tempi d’oro a contrappunti Jazz.
L’unico leitmotiv che sembra davvero omogeineizzare la produzione degli Oddu è la nostalgia per un passato musicale glorioso, come sembra confermare anche “Non Fate Mai la Carità”: a tutti gli effetti un semplice brano cantautorale, dove però (e forse, per i tempi che corrono, stranamente), non si guarda a Capossela o Mannarino, ma più indietro, a Rino Gaetano e De Gregori, senza neppure pensare di scomodare l’inflazionato De Andrè. E’ una scrittura complessa quella degli Oddu, elitaria, macchiata dalla saudade aristocratica per i bei tempi che furono, più che animata dall’entusiasmo borghese.
“Savona 12 dicembre 2011” completa il quadro dell’eclettismo della band. Troviamo tutto: la formazione accademica, lo studio del pianoforte, il litigio con le maglie larghe del Pop-Rock. La chiusura di “Genealogia delle Montagne” è aulica e imponente sul piano fonico, un tributo al Progressive Rock, per tornare al principio.

Non è un disco semplice. Affatto. Manca qualcosa che guidi l’ascoltatore in un percorso, manca un’unità di intenti e narrazione, ma, lasciatemelo dire, è forse uno dei più interessanti lavori indipendenti che mi sia capitato di ascoltare. Un grande potenziale che spero gli Oddu sappiano incanalare nella giusta direzione comunicativa e sviluppare.

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Landlord – Aside

Written by Recensioni

Scrivere dei Landlord senza citare la loro partecipazione ad X-Factor sarebbe inutile e controproducente, nonché sintomo di incoerenza intellettuale. Se spesso queste “fortune” si rivelano in realtà controproducenti per artisti e band, stavolta stiamo assistendo ad un’interessante eccezione.
Portatori di un sound pulito e preciso, di soluzioni melodiche interessanti – anche se non rivoluzionarie – e di una delicata voce femminile (Francesca Pianini), i quattro di Rimini hanno potuto, grazie alla enorme cassa di risonanza della prima serata, portare nelle case degli italiani un sound diverso dal solito prodotto impacchettato e pronto all’uso da consumarsi in pochi mesi. I Landlord hanno davvero qualcosa da dire e cominciano a scrivere la loro storia con un EP dal titolo sibillino Aside fuori per INRI (e scusate se è poco).
Cinque tracce per poco più di venti minuti sono sufficienti a scrollarsi di dosso la pesante eredità televisiva: Let me tell you I don’t care about it / Leave it behind, get by, get by è il ritornello dell’opener “Get by” e sembra ribadire più volte questo concetto. I Landlord confidano nella bontà del proprio progetto e non abbandonano la strada maestra (in “Still Changing” il termine “stay” è ripetuto molte volte) facendo di un’elettronica sapientemente addolcita il proprio marchio di fabbrica. Royksopp, Arcade Fire e The National sono tra gli ispiratori del quartetto ma nessuna di queste influenze è così evidente da risultare sgradevole o troppo presente, tutto appare in perfetto equilibrio.

Aside è solo un assaggio di qualcosa che si preannuncia esplosivo, nonché il perfetto compromesso tra Electro, Trip-Hop e Pop, laddove quest’ultimo fa rima con ricercatezza e distinzione.
I Landlord preferiscono restare, almeno per ora, volutamente Aside e far leva sulle proprie possibilità, forti di una capacità compositiva superiore alla media e di un’attitudine elegantemente Pop che li rende padroni di un linguaggio di respiro internazionale.

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Calavera – Funerali alle Hawaii

Written by Recensioni

Valerio Vittoria, già Froben e Matildamay, oltre che chitarrista live di Colapesce e Alessandro Fiori, esordisce solista col moniker Calavera in questo colorato, agrodolce, liberatorio Funerali alle Hawaii. Il titolo è adattissimo: chitarre riverberate, tastiere, ritmi rotolanti si appoggiano ad armonie di un Pop malinconico, chiaroscurale, in un serpeggiare che è amaro e sereno insieme, come le cerimonie floreali sul Pacifico in cui si dà l’ultimo definitivo saluto alla vita sotto il sole, fra le onde, tra mosaici di petali. Il risultato di questo mix esotico e appassionato si misura in gradazioni di colore morbide, mai pastello: una vivacità sommessa, equilibrio nell’ossimoro tra una nuova libertà e la solitudine del viverla, tra il raccontarsi “senza finestre sul mondo” e un cambiamento anche esteriore: “una nuova città, un nuovo amore ed una nuova vita”. Funerali alle Hawaii è adatto alle mattine piovose ma anche ai tramonti sereni e nostalgici; suona lontano e vicino insieme, peculiare in certi toni antitetici, contraddittori, dove la luce, leggera, si mescola a ombre grigiastre, non ancora tragiche. La pasta sonora riempie ogni spazio intorno a una voce sussurrata che snocciola epifanie semplici ma taglienti, attimi di consapevolezza ritti spalla a spalla con dubbi e ripensamenti, il tutto immerso in un cangiante universo che è veramente, profondamente Pop, dove i ganci si sprecano e le canzoni si susseguono come pillole balsamiche per le orecchie grazie al talento di Calavera per il tocco giusto al momento giusto. Un disco fatto di contrari, di opposizioni, che ricorda certamente molto altro e magari non stupisce, ma che non arriva alla fine senza regalare una scintilla, un brillio di curiosità. Cullante e variopinto.

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Recensioni | maggio 2016

Written by Recensioni

Jenny Penny Full – Eos (Dream Pop, Folk, Psych) 7/10
Misurati e cullanti come la migliore delle ninne-nanne. Un’incantevole voce femminile e tappeti sonori che stregano senza mai eccedere, forse peccando, qui e là, di troppa linearità, ma recuperando altrove in piccole fughe eteree, fumose ascensioni improvvise. Prodotto dalla Vaggimal dei C+C=Maxigross, Eos è un debutto sussurrato, ma convincente.

[ ascolta “Far Continents” ]

Echoes of the Moon – Entropy (Doom Metal, Ambient, Post Rock) 4,5/10
Prolisso e noiosetto concentrato di batterie finte, distorsioni acide, urla distanti e cupezza senza fine. Troppo immerso nei cliché per poter sostenere brani da 10 minuti senza evocare sbadigli o prurito al tasto “skip”. Solo per fan del genere, sfegatati al punto da sfiorare il masochismo (ce ne sono).

[ ascolta “Entropy” ]

Foxhound – Camera Obscura (Alt Pop, Funk) 7/10
L’ex quartetto torinese sembra muoversi con più disinvoltura in questo EP, che in cabina di regia ospita Mario Conte (Meg, Colapesce). Rimasti in tre, i Foxhound continuano a muoversi in territori Funk ma si lasciano andare a sperimentazioni analogiche che li rendono soffici e gradevolmente retrò. Ora che la nuova rotta è fissata e funziona attendiamo la prova in long-playing.

[ ascolta “My Oh My” ]

Blackmail Of Murder – Giants’ Inheritance (Metalcore) 6/10
I bresciani, freschi di contratto con la label Indiebox, ci presentano il loro secondo disco: Metalcore indiavolato come da tradizione Killswitch Engage, Caliban e compagnia bella. Il confronto con i mostri sacri del genere regge bene, compresa la ballata “Whisper”, unica variante di un lavoro che ha come punto debole la troppa somiglianza tra i singoli pezzi, risultando, alla fine, impossibile distinguerne uno dall’altro.

[ ascolta “Never Enough” ]

Oaken – King Beast (Dark Ambient, Post Hardcore) 5,5/10
Gli Oaken da Budapest hanno il coraggio di osare, influenzando il Death Metal con una massiccia dose di Dark Ambient e degli inserti Melodic Hardcore. Immaginatevi dei Converge fatti andare a briglia sciolta e calmati con forti scosse elettriche. I brani sono solo quattro ma durano un’eternità, allungati da contaminazioni a profusione. Si salva la voce femminile che impreziosisce “The Hyena” e poco altro.

[ ascolta “The Hyena” ]

Kai Reznik – Scary Sleep Paralysis (Elettronica, Ambient) 4,5/10
Dalla Francia, un’elettronica cupa e retrò che non stupisce per ricerca sonora né per maestria compositiva, tra arpeggiatori ossessivi e synth poco a fuoco. Un poco più interessanti le voci di Sasha Andrès degli Heliogabale su “Post” e “Nails & Crosses”. Se le atmosfere claustrofobiche sono volute, ci sarebbe da lavorare sui suoni per renderle masticabili e non distrarci troppo con gli spigoli grossolani dell’impianto strumentale.
[ ascolta “Post” ]

HUTA – How To Understand Animals (Alternative, Post-Grunge, Shoegaze) 6/10
Un mix saporito di sporcizia echeggiante attitudine Grunge e tappeti sonori e rumoristici da trip oscuro e nervoso. Il trio di Cuneo sforna un album che non delude dal punto di vista strumentale, abbastanza muscolare e ipnotico da convincere nonostante la voce non eccelsa e i suoni a cavalcioni del confine tra frizzone Noise controllato e amalgama poco riuscito, ribelle, fastidioso. Un equilibrio in bilico che mette in luce una qualche potenzialità senza però esplicitarla compiutamente.

[ ascolta “Hone” ]

Guns Love Stories – The Beauty of Irony (Alt Rock) 6/10
Unite il cantante degli Hardcore Superstar ad una qualsiasi band del filone Emocore stile Silverstein o Emery, per fare due nomi a caso, e avrete ben presente come suonano gli svizzeri Guns Love Stories. L’album gode di una produzione ottima che tira a lucido dieci canzoni ad alto tasso di infiammabilità. Eppure, nonostante ciò, il senso di incompiuto è perennemente dietro l’angolo.

[ ascolta “Predigested Hollywood” ]

Xayra – Resilience Blues (Pop) 5,5/10
Se questo disco fosse stato pubblicato più o meno vent’anni fa si sarebbe potuto tranquillamente gridare al miracolo: sarebbe stato un mix perfetto fra Silencers, Smashing Pumpkins, Ellis, Beggs and Howard e il primo Brit Pop. 
Tuttavia la musica negli anni si è evoluta ed è forse giunto il momento per gli Xayra di aggiornarsi e di adeguarsi ai giorni nostri. Certamente un bel lavoro ma fuori tempo massimo.
[ ascolta “Worries+Faults” ]

Filippo Dr Panico – Tu Sei Pazza (Punk, Cantautorato) 6,5/10
Si può descrivere il rapporto di coppia in musica senza mai delineare troppo il confine tra Punk e Cantautorato? Per Filippo Dr Panico è impresa fin troppo facile. Il suo valore lo aveva già dimostrato con il precedente lavoro, ora però ascoltatevi con attenzione “Bravo a Parole” e la title track meditando sui testi, chissà che non vi identifichiate nelle medesime situazioni. Da segnalare inoltre “Ci Vorrebbe Una Notte”, scritta assieme a Calcutta.

[ ascolta “Ogni volta che te ne vai” ]

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evoL | Intervista al Pop Rapper dalla provincia alla conquista di Milano

Written by Interviste

Cosimo Morleo – Ultreya

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Non so se sia mai nato un nuovo David Sylvian in Italia (a parte forse Andrea Chimenti), ma se così fosse indicherei come primo nome il cantautore torinese Cosimo Morleo. Dopo essersi dedicato a lungo alla musica antica e barocca e alla regia teatrale arriva nel 2012  l’attesissimo esordio Geni Dominanti (Controrecords/ NewModelLabel) prodotto da Enrico Fornatto (Alberto Fortis) e che ha visto la collaborazione di Exir Gennari (Tribà, Fratelli di Soledad), Gianfranco Nasso (Mambassa) e Andrea Rosatelli (Simone Cristicchi, Chiara Civello). Oggi torna con Ultreya, disco anticipato dal singolo “Fonteyn (Madame)”, in cui l’artista piemontese affronta il delicato tema del bullismo omofobico. Cosimo Morleo si era già schierato in passato al fianco del movimento Glbt con “Turing”, brano contenuto in Geni Dominanti, ma pur essendo passati alcuni anni la società italiana appare ancora troppo “chiusa” nei confronti degli omosessuali ed ecco quindi che la musica può giocare un ruolo fondamentale a livello di comunicazione per lanciare un messaggio di uguaglianza che si auspica arrivi presto. Ultreya però affronta anche altri temi delicati quali gli amori clandestini con “Kavafis”, che è ovviamente ispirata dal famoso poeta greco (nato e morto però ad Alessandria d’Egitto). Credetemi quando vi dico che qui la raffinatezza è di casa , già dalle prime note della canzone. Tuttavia Morleo raggiunge l’apice sicuramente in “Mr Thoreau”, questa volta dedicata al celebre filosofo statunitense che visse a fine ottocento. Riferimenti quindi anche ai grandi testi letterari, per un prodotto destinato a un pubblico colto che di certo non segue i talent show. Riferimenti anche ai fatti di cronaca e al film documentario “Io Sto Con la Sposa” in “La Sposa”. Un Pop elegante e mai banale, un po’ retrò, un po’ tipicamente anni ottanta ma anche proiettato al futuro. Che siano queste le nuove direzioni da intraprendere? C’è anche una cover fa le nove tracce contenute nel disco, “Per Una Bambola”, brano scritto da Maurizio Manzi, interpretato da Patty Pravo e portato a Sanremo nel 1984. Trent’anni circa quindi separano la versione originale da quella proposta da Cosimo Morleo. Di differenze se ne notano tante, di affinità altrettante, ma anche il fan più incallito della “ragazza del Piper” non rimarrà deluso. “Retròromantico” è pura poesia sonorizzata; un basso alla Mick Karn e chitarre alla Alberto Radius coesistono nello stesso universo intrecciandosi con il violino di Sergio Caputo. Se Mango fosse ancora vivo sarebbe stato invece l’interprete perfetto per il brano “Un film di Godard”. Sarebbe stato interessante se il più grande cantautore lucano di sempre avesse potuto ascoltare il pezzo e magari duettare con Morleo. “Desiderantes” è l’ultimo brano in italiano, uno sguardo verso il cosmo e le stelle, con l’amore come tema ricorrente. Chiude il disco “Leave The Boy Alone”, composta per il film di Giovanni Coda in uscita nel 2016 “Bullied to Death”, scritto a quattro mani con Maddalena Bianchi, che affronta il tema del bullismo. Curiosamente “Ultreya” è un’antica parola usata dai pellegrini durante il cammino di Santiago in epoca medioevale che significa “Vai oltre, sempre più avanti”. Ecco, questo è l’invito che rivolgiamo a Cosimo Morleo. La strada intrapresa è quella giusta. Sarà importante non smarrire la retta via, perché oggi come oggi molti non guardano più al nostro patrimonio artistico e cercano ispirazione altrove. Morleo invece non ha avuto paura di confrontarsi persino con un mito vivente come Patty Pravo e ciò lascia solo ben sperare per il suo futuro.

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Amarcord – Vittoria

Written by Recensioni

Gli Amarcord, sono cinque fiorentini che ispirati probabilmente dall’omonimo lavoro del maestro Federico Fellini, hanno scelto questo nome per il loro gruppo. Vittoria è il titolo del loro album d’esordio. Amarcord è una parola di origine romagnola, la contrazione di un’espressione che in italiano suonerebbe più o meno come “io mi ricordo”.  Una decisione che assomiglia a una scelta di campo, di fare del ricordo e della memoria temi importanti per l’album. Il legame con l’immaginario retrò si limita però, solamente ai testi, la parte musicale, i suoni e riferimenti sono, invece, privi di qualsiasi patina temporale e si mostrano molto moderni. Vittoria, infatti, è un album al 100% contemporaneo, che professa un Pop – Rock melodico, immediato, che li avvicina nello stile e nell’approccio a gruppi come Negramaro, Nobraino e Marta Sui Tubi. Di questi ultimi colpisce immediatamente la somiglianza nel timbro della voce del cantante Francesco Mucè con quella di Giovanni Gulino. In generale i brani sono molto simili tra loro con soluzioni e scelte musicali omogenee, rasentando spesso momenti di monotonia. Ci sono però, tra le undici tracce, alcuni brani che spiccano: “Balene” e “Vittoria” tra tutti, la prima per il ritornello killer e la seconda per l’improvvisa vivacità poiché spezza la spirale di uniformità dei primi quattro brani. Meritano di essere citati anche “Sulle Mie Spalle” per la pulizia e l’immediatezza e “Lucifero e Beatrice” ariosa ed evocativa con vaghi richiami jazz.  In tutto l’album prevale un’aurea molto commerciale, nonostante i testi siano sempre ben strutturati e mediamente superiori a quanto si ascolta nel genere di riferimento. Le melodie e i ritornelli orecchiabili sono un ottimo punto di forza, anche se manca il piglio, la giusta dose di rabbia e cattiveria, che si vorrebbe sentire quando si parla di tematiche forti, come nel brano “ I Nostri Discorsi”. Vittoria è un disco d’esordio con molti aspetti positivi, mostra il lavoro di un gruppo strutturato e maturo, ma che ha preferito una soluzione stilistica intermedia tra il commerciale e l’indie. Un insieme di contenuti potenziali e interessanti che musicalmente si muovono e si mantengono in una zona sicura e confortevole già percorsa ampiamente da altri e  spesso poco appassionante.

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Perturbazione – Le Storie che ci Raccontiamo

Written by Recensioni

I Perturbazione sono eterni outsider. Riescono a rimanere sempre nel limbo, pronti a fare il grande salto ma senza arrivare ad acciuffare un posto fisso tra le stelle. La loro carriera (ormai sono quasi trent’anni!) è una continua montagna russa e poi questo disco arriva dopo quelli che sono stati indubbiamente il momento più alto e più basso della giostra. Prima il boom de “L’Unica”, di Sanremo e del tour nelle piazze, poi il terremoto che ha visto Gigi Giancursi e Elena Diana uscire dal gruppo. Le Storie che ci Raccontiamo esce a quasi due anni di distanza da tutto questo e aspetta la quiete dopo la tempesta, ma i fantasmi del passato sono dietro l’angolo pronti a ghignare e a trovare tutte le piccole mancanze del presente. C’era dunque l’aria di un disco che lottasse con le unghie e coi denti alla salvezza. Ma i Perturbazione, si sa, colpiscono nel segno proprio quando le aspettative intorno a loro sono basse. E così l’inizio col singolo “Dipende da Te” è una falsa partenza, quasi a dire: “guardate che non siamo solo un fottuto singolo”.  L’album cresce subito con un pezzo travolgente come “Trentenni”, ruffiana, dal titolo che puzza di banalità ma con un testo per nulla scontato, Elettro Pop di alta qualità. Si perché senza i ricami della chitarra di Gigi e l’eleganza del violoncello di Elena la virata Elettronica era sicuramente la scelta più ovvia. A volte l’elettronico diventa anche più elettrico, succede in “Ti aspettavo Già”. I Perturbazione hanno ben più di quarant’anni e bisogna dire che scrivono canzoni fresche e mature allo stesso tempo. Raccontano di amori adolescenziali, dei bei tempi, di stupida gioventù ma puzzano di consapevolezza. Qui la voce di Tommaso è alta, decisa ma trema quando si avvicina a parole chiave come “dolore, gioia e tradimento”. “Cara Rubrica del Cuore” è in pieno stile Perturbazione e avere un proprio stile nella musica leggera italiana vuol dire aver ormai lasciato un segno indelebile nel panorama. La canzone è poi impreziosita dalla voce Andrea Mirò, che sarà pure la musa che accompagnerà il gruppo in tour. “Cinico” invece ha un arrangiamento facile facile (anche se dietro il mixer c’è un colosso come Tommaso Colliva) ed è terribilmente orecchiabile. “La Prossima Estate” forse esagera, Pop troppo banalotto e semplice per una band di tale spessore. Il ritornello è decisamente da dimenticare, come tutti gli ultimi brani del disco. Suonano tutti un po’ come riempitivi con l’unica eccezione per “Le Storie che ci Raccontiamo”. Lunga ballata da sei minuti che ricama l’ennesimo arrangiamento facile e puntato su di un beat ben scandito sotto cui la band suona e ci spiega per bene che l’evoluzione non è semplicemente aggrapparsi agli scogli. Questo album è quello che ci aspettavamo in fondo, ma ben curato e apparecchiato. Con canzonette che entrano di prepotenza nella storia della band. Certo, non sarà il loro capolavoro ma lascia i Perturbazione ben saldi nella Serie A della musica italiana.

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Luprano – Sognavo Sempre

Written by Recensioni

“Sognavo Sempre” è il titolo del disco d’esordio di Ivan Luprano, in arte Luprano. Un album che arriva dopo l’esperienza musicale con La Teoria dei Giochi.  Le undici tracce che compongono l’album ci raccontato un mondo popolato da persone sensibili, che affrontano amori difficili, esperienze al limite, in continuo scontro con un ambiente emotivamente sterile. Fuggire da questa dimensione dolorosa di conflitto attraverso il sogno è un buon espediente, che consente all’autore una narrazione leggera, fatta di melodie impalpabili, suoni delicati e ricchi di effetti che ovattano i contenuti. In questo grande sogno predominano le tastiere e i synth che creano atmosfere a cavallo tra gli anni settante e ottanta. Un filone già consolidato e molto in voga attraverso artisti come i TheGiornalisti o Nicolò Carnesi, non mancano, però anche richiami a un tempo meno recente e in molti brani si riesce a percepire l’influenza di cantautori come Alberto Camerini e Rino Gaetano, al tempo di “Forse Sfiorivano le Viole”.  Tra gli undici brani alcuni svettano rispetto agli altri emergendo da una generale monotonia: “Spesso” è il singolo, quello con la melodia più accattivante e cathcy, “Sognavo Sempre” che mostra la grinta degli anni 70 e “Quanto ne è Rimasto” per il ritmo più deciso e vivo, che ricorda vagamente la Caselli e la sua “Sono Bugiarda”. Tra tutti però, Il brano di chiusura “Voglio i Tuoi Occhi” è sicuramente quello che riesce a spingersi un passo oltre, azzardando una struttura meno standardizzata, suoni più puliti, cori evocativi e un arrangiamento più arioso, anche se il testo è limitato a una sola frase. Sognavo Sempre è un lavoro molto equilibrato, dove contenuti spesso forti, che raccontano di un mondo senza felicità, non vengono valorizzati attraverso la musica. Gli effetti ammorbidiscono l’efficacia dei testi, i suoni, fatta eccezione per alcuni felici episodi, tendono a essere omogenei. Un disco orecchiabile com’è giusto che sia un lavoro Pop, ma non decisivo e memorabile. Un passo positivo ma poco audace per un primo disco da solista.

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Nails&Castles – “Dr. Feelgood” [STREAMING]

Written by Anteprime

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“Dr. Feelgood” é un brano lento in cui basso, contrabbasso e ukulele ricreano un mood nostalgico e malinconico che accompagna una melodia vocale leggera e sussurrata. Il sound ricreato é molto personale e volutamente lo-fi. Il titolo del brano rivela uno dei possibili significati del testo, formato da poche frasi che possono essere liberamente interpretate. Nails&Castles è un duo indie pop milanese, le cui sonorità mischiano strumenti analoghi e all’apparenza contrastanti come basso e contrabbasso sui quali vengono sovrapposti inserti di ukulele completati da una voce fortemente influenzata dal punk e dalla new wave. La costruzione ritmica è affidata, invece, a batterie programmate e suonate.

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