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Brother and Bones – Brother and Bones
Prendete quel sound sporco ma preciso americano tipico dell’epoca Post Grunge, calatelo su cinque ragazzi della Cornovaglia che puntano a diventare immortali come Braveheart con le loro canzoni e avrete i Brother and Bones. Giunti al loro album d’esordio omonimo nello scorso agosto, gli inglesi (già opening act di Bastille e Ben Howard) stanno intraprendendo un lungo tour che vede toccata anche la nostra penisola (Milano e Torino). Ma cosa portano sul palco i Brother and Bones? Prima di tutto storie, raccontate in maniera epica ma incredibilmente vicine alle vicende quotidiane di tutti. “Omaha” ne è l’esempio più luminoso: cavalli neri al galoppo, citazioni bibliche, muscoli e testosterone si mettono al servizio di una narrazione spettacolare e intima allo stesso tempo che ci narra dell’essenza stesso dell’essere umano. La formula classica doppia chitarra-voce, basso e batteria consente alla band di spaziare tra vari ambienti passando attraverso porte che recano nomi come Pop, Grunge, Folk, Indie. La batteria si incendia grazie al combustibile di “Kerosene” che apre le undici tracce e ci parla di un amore vissuto a mille all’ora; la timbrica di ispirazione Cornelliana ci trasporta immediatamente in un’altra dimensione. Proprio giocando con le sue variazioni, i B&B riescono a rimanere attuali e moderni pur serbando un sound ormai lievemente datato. Declinando voce, chitarre e timpani al 2015 escono vincitori sia in momenti particolarmente raccolti come “Save you Prayers” e “For All We Know”, sia in situazioni dove si schiaccia di più l’accelleratore (“Crawling”, “Everything to Lose”). Freschezza dunque, coperta però da un lieve velo di nostalgia per il passato che, se in questo Brother and Bones può essere segnalato come valore aggiunto, nel prossimo lavoro dovrà necessariamente essere assimilata e messa in bagaglio. Al primo full length non ci si aspetta una qualità così elevata ma, complici anche gli ottimi East West Studios di Los Angeles, tutto ci appare già come un prodotto completo e credibile. I ragazzi sono la perfetta band da locale, dove si suda e si beve birra fino a perdere i sensi. Adesso però i grandi palchi li stanno aspettando e loro sembrano essere ormai pronti.
Lotus Syndrome – Iride
Questo Ep dei ternani Lotus Syndrome suona in maniera decisamente imperfetta, pena per le mie orecchie, è pieno di difetti, sviste, omissioni, imprecisioni e chi più ne ha più ne metta. Nella loro biografia si autodefiniscono un gruppo dalle trame Post Grunge e Alternative non considerando che il Post Grunge è tutt’altra cosa (chi come me ha vissuto in pieno l’epoca Grunge sa cosa voglio intendere). Per quanto riguarda l’Alternative non è ben chiaro il campo in cui vogliano inserirsi. Tra le influenze leggo Foo Fighters, Muse, Afterhours, Verdena. Ma che diamine! La prima band citata ha un certo Dave Grohl (ex Nirvana) nel gruppo, la seconda vive ormai nell’Olimpo del Rock mondiale e le ultime due sono fra i colossi del mondo Indie italiano. Possibile quindi che miscelando tutti questi talentuosi musicisti come risultato abbiamo soltanto cinque brani male effettati e dai ritmi decisamente incoerenti? Non basta possedere ed emulare la discografia completa dei propri idoli, non basta comporre senza una propria personalità, bisogna mettere le proprie maledette idee nella musica. Eppure le prime note di chitarra della traccia che dà il titolo all’Ep, “Iride”, lasciava presagire qualcosa di ottima fattura, ma poi, si sa, è facile perdersi per la strada soprattutto quando si esagerare a dismisura con gli effetti delle chitarre, il rischio è quello di ledere l’ascolto di una voce molto Indie che non sfigurerebbe in occasione di concerti molto (grandi) importanti (si ha l’impressione di un ottimo risultato live piuttosto che in studio).
“Tempo Artificiale” è invece una piccola gemma lasciata lì, gettata in mezzo ad altri quattro pezzi che potrebbero essere ampiamente migliorati con pochi ma significativi ritocchi (magari con la supervisione di un esperto produttore), magari con qualche controcanto, perché la totale assenza di cori (o seconde voci) si fa notare (così come quella di assoli di basso o batteria) e incide anch’essa parecchio sul giudizio complessivo, ma come dico sempre: “Non dai complimenti si cresce, ma dalle sole critiche…”.
In fondo un passo falso può capitare a tutti, anche ai migliori.