Eccovi i Luminal, la band col sito più bello di sempre (provatelo). Tre folli da Roma, che dopo due dischi rivoluzionano la line-up e si trasformano, “i testi da visionari ed ermetici diventano crudi ed immediati, mentre i suoni si induriscono di conseguenza”.
Il risultato è Amatoriale Italia, crudo, immediato e duro, per l’appunto. Una miscela di batterie grezze, distorsioni ciccione, voci schizofreniche (cantano, parlano, urlano, sussurrano, si scambiano, tra maschile e femminile – la voce di lei è da brividi). C’è da dire che il lato prettamente musicale non è ciò che fa ricordare i Luminal: una sorta di Post-Punk anarchico e capriccioso, semplice, potente, che accompagna benissimo i loro sfoghi, ma che, da sé, spesso, non basta a reggere i loro pezzi (anche se a volte è più riuscito di quanto appaia, vedi le ritmiche di “Il Lavoro Rende Schiavi”).
Cos’è che tiene in piedi, dunque, i quindici brani di Amatoriale Italia? È lo sguardo, il loro sguardo impietoso, ironico, folle, dispettoso, il loro ridere e sputare su ciò che ci circonda, sia esso un certo tipo di donna, come – per l’appunto – in “Donne (du du du)”, o le piaghe culturali del nostro tempo – i frequentatori assidui dei social network (ossia tutti noi) in “Blues Maiuscolo del Maniaco su Facebook”. Ma ce n’è anche per gli hipster (“Carlo vs il Giovane Hipster”), una certa scena indipendente (“C’è Vita Oltre Rockit”), la gioventù musicale italica (“Giovane Musicista Italiano, Vecchio Italiano”)…
La loro voce è espressiva e fastidiosa, pungente e sarcastica, sporca, esagerata e a tratti sopra le righe: “vorrei vederti ora / il cazzo sulla gola / il sangue sulle lenzuola / ora / succhia /
sta’ zitta e succhia / […] / si muore di più per un posto fisso / che per una testa fracassata”. Spesso si tocca il nonsense, come in “Lele Mora”, grottesca ripetizione del nome del “manager, criminale e talent scout italiano” (cit. da Wikipedia). Ma si sfiora anche qualcosa di simile alla serietà, ad esempio in “Il Lavoro Rende Schiavi”, o nell’allucinata e misteriosa “L’Aquila Reale”.
I Luminal sono spiazzanti e impietosi, non hanno peli sulla lingua, vogliono esprimere tutto: l’odio, la paura, il desiderio, la violenza. Compiono un’operazione che è sempre più raro vedere architettata con successo: ti muovono. Nel bene e nel male, i Luminal ti tolgono l’equilibrio, ti fanno sconfinare. Cerchi di capirli, ti fai delle domande, ti accorgi d’essere infastidito, con sorpresa; o magari ti sorprendi ad essere d’accordo con loro, a vedere in te qualcosa che non sospettavi.
Sembra quasi che il trio romano non metta nulla tra sé e il mondo, tra sé e le proprie canzoni. Chissà quanto poi c’è di vero in questa sensazione di trasparenza assoluta, di mimetismo tra la maschera “pubblica” e la faccia “privata”. Ma poi, importa davvero? Amatoriale Italia picchietta con dita elettriche sui punti più sensibili della nostra (sporca) coscienza (o, più probabilmente, picchietta con martelli pneumatici industriali). E farsi scuotere, per una volta, è un dolce, divertente dolore.