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LPR8 – Piece of Kiss
Proprio quando sei divorato dal dubbio che le tue capacità di giudizio critico si stiano ammorbidendo a livelli preoccupanti, col timore che potresti metterti tranquillamente a sdoganare un Cristiano Malgioglio, ti capita di ascoltare qualcosa che a velocità supersonica ti rifionda nella dura realtà. Un Ep sbagliato in tutto e non parlo solo di brutture musicali, gusti soggettivi (e come sennò?), apertura mentale, stato d’animo del momento. Tanto per capirci, quell’apparente acronimo LPR8, nome scelto dal produttore Marco Connelli per il suo progetto, non ha quel fascino elettronico che potreste aspettarvi da una fredda sigla. Basta leggere il sottotitolo, Il Leprotto. Proprio cosi, è questo il vero nome dell’artista (perdonatemi l’uso di tale sostantivo in questa circostanza) autore di Piece of Kiss. Non finisce qui, tuttavia. L’orrido prosegue con la visione delle grafiche e dei font di copertina, tanto brutti che quasi m’impediscono di rilevare la pessima scelta anche di titoli di Ep e brani. Prima di passare a descrivervi/non descrivervi la musica/non musica non posso che soffermarmi un secondo sul discorso featuring. Dio santissimo, ma è veramente necessario infilare feat ovunque per provare a rubare fan in mondi altrimenti inaccessibili? Veramente è una cosa utile? Tre pezzi, tre collaborazioni (Boom Girl, voce dei Sick Tamburo in “Kiss”, Don Turbolento in “Run or Die” e Pink Holy Days in “I Wanna Be the Best”) che faccio fatica a comprendere veramente, anche se lo scopo di inserire quelle voci dovrebbe essere di aumentare la portata melodica dei brani e la sua accessibilità.
I tre brani che compongono l’Ep sono un mix ripetitivo, apparentemente potente (ma in realtà soprattutto noioso e snervante) di suoni elettronici di stampo Tech-House e Break Beat, sulle quali le voci dei vari ospiti si appoggiano in maniera credibile ma non efficace. La strada battuta dai Prodigy è molto lontana da quella intrapresa da LPR8, piena di cliché, insulsaggini e totalmente priva di appeal, quantomeno se ad ascoltare è qualcuno che riesca ad andare oltre le capacità di coinvolgimento di suoni bassi e poderosi tipici del genere. Non ha senso spingersi oltre, non vi ho detto molto, scusatemi ma ho veramente altre cose da far girare nello stereo. Magari tornerò su questa roba quando, questa estate, mi ritroverò a ballare come un idiota in qualche pessima discoteca del litorale. Anche se sono troppo vecchio per iniziare a ballare.
The Prodigy + Die Antwoord al Rock in Roma
I Prodigy, una della band che ha fatto la storia della musica Elettronica, e i Die Antwoord, uno dei progetti più originali degli ultimi anni, arrivano il 21 giugno a Roma all’Ippodromo delle Capannelle, nell’ambito della rassegna Rock in Roma, dove si divideranno il palco per un esclusivo double bill.
Le prevedite per il concerto saranno disponibili a partire da venerdì 14 marzo alle ore 10 sui circuiti Ticketone (www.ticketone.it <http://www.ticketone.it> , call center 892 101), Vivaticket (www.vivaticket.it <http://www.vivaticket.it> ), Pointticket (www.pointticket.it) e Listicket (www.listicket.it <http://www.listicket.it>).
65daysofstatic – Wild Light
Ormai è quasi impossibile impressionarsi di fronte a un disco dei 65daysofstatic (essendo questo il sesto lavoro in studio della band), dato anche l’impatto che ebbi col precedente album We Were Exploding Anyway (che fu seguito nel 2011 solo da Silent Running, omonima colonna sonora del film del 1972). Tre anni di lunga attesa sono quindi passati lentamente ed inesorabili, aspettando che il gruppo ci regalasse un’altra perla di moderno Post Rock. Paul Wolinski, JoeShrewsbury, Rob Jones e Simon Wright si sono ritrovati come sempre a comporre suoni ai limiti dell’Ambient, degni delle più belle opere di Brian Eno, ma approcciandosi sempre di più ai ritmi ossessivi dei Nine Inch Nails e dei Mogwai (tanto per citarne alcuni). Dodici anni di carriera sono tanti ed il peso da sostenere può a volte schiacciare anche i migliori, ma per fortuna ciò non è accaduto al quartetto di Sheffield che continua a mantenere chiara la mira dell’obiettivo.
Difficilmente quindi un fan che ascolterà questo disco potrebbe rimanere deluso, perché già dall’apertura in parlato di “Heat Death Infinity Splitter” è tutto chiaro e limpido. Un Math Core mescolato a tanta elettronica, simile a quella dei Prodigy, che si ripete durante tutte le nove tracce (una però, “DoxxxYrself” è la conclusiva bonus track, degno epilogo mai al di sotto delle altre otto per qualità). Non sarei neanche stupito più di tanto se mi ritrovassi a sentire canzoni come “Prisms” o “Sleepwalk City” in un rave party. Tuttavia qualche canzone tipo “Taipei” sarebbe leggermente fuori luogo in tale situazione, ma credetemi, è solo un problema di punti di vista, in quanto pur rallentando i bpm in maniera esagerata la canzone raggiunge senza dubbio l’apice del disco. Il cambio di etichetta non ha quindi danneggiato il quartetto, gli ha anzi donato nuova linfa e vita sonora. Se non conoscete i 65daysofstatic questa è quindi la vostra migliore occasione per approcciare al Post Rock di ottima qualità, del resto come potreste rimanere delusi da una band che ha scelto il suo nome ispirandosi a un film inedito del grande regista John Carpenter (sì proprio quello di “1997: fuga da New York”, “Christine – La macchina infernale”, “Essi vivono” e tanti altri film di successo mondiale)? Se poi voleste anche approfondire la conoscenza, vi consiglio vivamente di visitare il sito web, ottima fan page contenente anche materiare raro ed inedito e persino radio sessions e demo.
Take a look and dream with music!