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Gli Stage Of Reality presentano il nuovo videoclip “The Next Generation”

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Primo singolo estratto dall’album d’esordio The Breathing Machine, in uscita il 10/10 per Nuvi Records/Red Cat Promotion, e primo videoclip della band romana, “The Next Generation” racchiude tutte le caratteristiche del sound degli Stage of Reality: Hard Rock, sound design, cori e melodicità. “The Next Generation” è un cortometraggio di fantascienza ambientato in un futuro dove gli esseri umani non sono altro che macchine che respirano.

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L’Inferno di Orfeo – L’Idiota

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Passano due anni dal precedente Canzoni della Voliera e tornano i piemontesi L’Inferno di Orfeo con L’Idiota, un disco decisamente irriverente e con sfumature di Rock da buttare giù a grandi sorsate, rivoluzione interiore al passo con i tempi moderni sempre più bui. L’Idiota nasce sulla base dell’istinto, i pezzi vengono buttati energicamente senza rifletterci troppo, si passa poche volte verso la parte della ragione e i componimenti risultano crudi e viscerali nonostante i riff esprimano in qualche modo una miscela di tristezza e allegria. “La Manovra” apre l’album con una classica canzone italiana dai variegati paragoni di confronto ma con una freschezza comunque personale che narra di un mozzo alle prese con le proprie considerazioni rivolte al capitano della nave incapace di condurla. “La Guerra è Qui” è un pezzo molto interiore fedele alla classica tradizione del Rock leggero cantautorale made in Italy, un modo per riflettere sui sconsiderati atteggiamenti della vita quotidiana. Ballatona dai toni tristi per capirsi meglio.

Non rimango certamente di umore buono. Chitarroni Rock in “Arrampicate” dove L’Inferno di Orfeo tira fuori le proprie radici Prog Rock che non seguono esattamente il passo di quello attuale, sound molto “vecchio” ma non del tutto arrugginito. Si cerca di fare Blues con la traccia “L’Amore ai Tempi del Barbera” e in qualche modo il risultato risulta piacevole nonostante la mia attenzione è rivolta più verso il testo e la voce simil bruciata dalle sigarette che sulla musica. “L’Arte della Manutenzione” dovrebbe essere un brano dal ritmo incalzante ma non riesco mai a lasciarmi trasportare e l’effetto divertimento in poco tempo si trasforma in noia mortale. Non sono abituato a cambi improvvisi di genere, ogni pezzo sembra appartenere ad una diversa band, faccio fatica a rimettere insieme i pezzi. “Col Senno di Voi” inizia a dare il giusto senso al mio ascolto, sarà quella spiccata somiglianza (soprattutto nell’intro) a “Color me Once” dei Violent Femmes o quell’Ambient più cupo, una buona prestazione.

Il pezzo che titola l’album “L’Idiota” è una cavalcata in stile Folk e anche qui trovo piccole ma piacevoli sorprese, forse per la somiglianza voluta all’Indie Folk dei Marta Sui Tubi. L’Inferno di Orfeo descrive “Il Paese che Dorme” come una favola dei giorni nostri immortalata da una polaroid ed effettivamente si sente la paura di sentirsi abbandonati, le sensazioni impazziscono e il brano merita davvero la giusta considerazione. Per la prima volta durante l’intero ascolto de L’idiota sono riuscito a sentirmi sullo stessa frequenza de L’Inferno di Orfeo, riesco a metabolizzare il contenuto e renderlo in qualche modo personale. Ancora Rock che purtroppo non digerisco in “Uguale il Mare”, giuro di essermi impegnato ma la stanchezza delle idee prende il sopravvento. Non trovo il metodo di contatto. Il disco si chiude con “Paola” e gli strumenti elettrici lasciano spazio a quelli acustici per una canzone delicata e dolce quanto un brano dei Negramaro con la voce a fare da padrone. Fermamente senza fissa dimora il mio giudizio verso L’Inferno di Orfeo, quello che non mi piace eguaglia quello che mi piace e la confusione alla fine lascia L’Idiota tra quei dischi che di certo non segneranno quest’annata musicale. Insomma, c’è tutto per fare il salto di qualità basta scegliere la strada da intraprendere.

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Ångström – Ångström

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La forma canzone è probabilmente una delle più meravigliose e poliedriche modalità espressive che il genere umano sia riuscito a produrre. Siamo abituati quotidianamente ad approcciarci a questa forma spesso ben definita e strutturata in parti riconoscibili. Facile districarsi tra strofa, ritornello,strofa, poi ti passa sotto le orecchie l’EP di una band particolare fin dal nome e sei costretto a uscire e rinnegare l’amato schema. Gli Ångström con il loro EP omonimo letteralmente si tirano fuori da qualsiasi logica mainstrean, per realizzare quattro tracce che spazzano via regole e sistemi facendosi portavoce di un approccio creativo e di scrittura privo di sistematicità, che si lascia trascinare da suggestioni, immagini, emozioni, storie reali e irreali, e molto altro.

La prima traccia “Godard” ci proietta in un tempo indefinito, in uno spazio stellare di una galassia lontana, un tempo immobile, freddo, nella quala risuona una voce robotica e artificiale che si sovrappone a  un delicato sussurro che proviene dal lontano 1967 e precisamente dal lungometraggio “2 ou 3 choses que je sais d’elle” di Jean-Luc Godard, uno degli esponenti più importanti della Nouvelle Vague.“The Third World Is You” scalda l’atmosfera gelida e la solitudine di “Godard”, per sei minuti circa, con chiarre dagli infiti delay e ritmi più affini al calore e ai suoni del mediterraneo.Il terzo brano “Scalar” schiaccia il piede sull’acceleratore riportandoci a terra in una nottemetropolitana,tra melodica e movimento, dal sapore retròfatta di inseguimenti e rincorse per colcudersi, forse, con un alba, un caffè. E una sigaretta arrotolata.

“You And I For Hundred Miles” è l’ultima ed unica traccia con un cantato più presente, che più si avvicina ad una canzone tradizionale o che fa pensare di esserlo. Proprio nel momento in cui ci si apetta un ritornello, infatti, si viene travolti non dalle parole,ma dalle note di un saxsofono. Romantica, appassionata, cullata dalle chitarre acustiche, questo brano ci lascia un’intensa storia d’amore che dura il tempo di 100 miglia. Per gli Ångström, che prendono il nome da un fisico svedese, tra i padri della spettoscropia, gli anni a cavallo tra i 60 e i 70, e il fermento che li hanno rappresentati, sono senza dubbiio una grande fonte di ispirazione. In linea con lo stile in cui si muovono propongono un’esperienza musicale composta perlopiù da brani strumentali con sporadici momenti di cantato. La scelta è coraggiosa in quanto diventa meno accessibile ad un pubblico più vasto, ma apprezzabile per l’approccio personale e moderno. Un buon risutato, interessante e suggestivo, e decisamentefuori dal coro.

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