Soprattutto in questo periodo, l’estate semi inoltrata, mi capita di andare alle più svariate feste di paese dove il panino con la salamella è sempre accompagnato non solo dalla birretta ma anche dalle classiche cover bands che ripropongono le versioni più svariate di pezzi tra i più conosciuti.
Tutte le volte mi chiedo quale sia il motivo per cui non cercano di fare qualcosa di loro e, spesso, la risposta non tarda ad arrivare.
Tra quei pochi che decidono di superare il “limite” della scopiazzatura dei “grandi”, ci sono anche i Pollyrock: Antonio (chitarra e voce), Enrico (basso) e Federico (batteria), tre ragazzi della provincia di Pesaro-Urbino.
Il gruppo nasce, appunto, come cover band anni ’70 e successivamente decide di produrre un proprio album con proprie canzoni, Ruspante, nel quale l’influenza della decade rock per eccellenza si avverte già dal primo giro di basso della prima traccia.
Il loro è un rock genuino ed indisciplinato nel quale, però, non manca quella musicalità che rende il lavoro piacevole anche per chi questo genere musicale non lo ascolta volentieri, basta solo pensare alla presenza di alcuni strumenti musicali che, con il rock degli anni ‘70, non c’azzeccavano niente quali, ad esempio, il flauto traverso.
L’album conta di otto tracce nelle quali la voce Antonio si fonde, quasi a confondersi, con la musica creando un organico che risulta difficile scindere. I testi, di denuncia, sono di forte impatto e rimarcano ancora di più l’autenticità con cui è stato compiuto il lavoro da parte di questi ragazzi.
Ruspante è uno di quegli album senza troppe pretese che non ti stancano facilmente e che potrebbe far venire voglia, alle cover bands delle feste di paese, di provare a scrivere qualcosa anche loro perché, se il risultato fosse come quello che stanno ottenendo i Pollyrock, avrebbero solo da guadagnarci.