La curiosità è donna e i greci con Pandora ce l’hanno insegnato. Sicuramente ce l’hanno insegnato con un pizzico di misoginia e di diffidenza. Ma occhio, c’è chi millenni dopo riesce finalmente a rivoltare la situazione. Prendendo in mano il vizio e rendendolo una virtù da sbandierare. Dalla sommessa vergogna ad un fucile rosa, pronto a sparare. Tutto senza retorica e femminismo spinto, che ormai si sa, da quando le Spice Girls sono invecchiate non va più tanto di moda.
“Il Vaso di Pandora” è innanzitutto un progetto misto da Bologna. Tre ometti bendati (guardate la cover!) comandati a bacchetta dalla virtuosa voce di Antonella, a metà tra Skin e Antonella Ruggero. Detto questo la virilità non può che starsene in disparte.
Il ruggito è prepotente, lo si assapora dall’intro di chitarra di “Fuori”. Così tanto Skunk Anansie che fa quasi rimpiangere l’italianità del mix, un po’ morbido e sottile. Però la morbidezza dona personalità e classe al prodotto, conferisce pesante sfogo alle contraddizioni insediate nell’ugola di Antonella, fulcro centrale dell’universo dei “Pandora”.
La curiosità porta Il Vaso ad altalenarsi tra varie sfaccettature: i ritmi forsennati di “Tempo latitante” e le immense e dilatate distese de “Il re servo”, raccontate da soffici archi e chitarroni (troppo?) moderni. Ma che c’è di male? Tutto questo mi fa storcere un poco il naso al primo ascolto, ma questa accozzaglia finisce pure per suonare gustosa al palato e con buona dose di personalità.
Le dinamiche “fredde” e i silenzi in “Alice(1)” danno grinta, metodo e solidità ad un’azzeccata interpretazione del personaggio di Lewis Carroll. Alice è sfuggente, determinata, “mangiatrice di nuvole”, quasi spaventosa e, senza ombra di dubbio, curiosissima. Alice è la dimostrazione che il rosa si mischia bene sia al nero delle tenebre che al bianco candore.
“Pandora” ha atmosfere orientaleggianti, ma rimane diretta e per fortuna non ha tempo da perdere in sentieri arzigogolati. Il femminismo vince con prepotenza in “Libero arbitrio”, la voce di Antonella esagera un pelo, scadendo nel freddo tecnicismo. Ma poi le si perdona tutto quando dal cilindro sbuca un brano come “Lu”, inaspettato e calzato a pennello sull’ugola articolata della fanciulla. E allora un bell’applauso scrosciante per l’assist fornito dai tre ometti, relegati ad una sottomessa ma produttiva “vita da mediano”. Si volteggia ancora tra paesaggi interminabili, dominati da neve e un sole tenue che rassicura, quel pizzico di serenità incastonata nel ghiaccio.
Il ghiaccio infatti non si scioglie neanche nell’ultimo brano. “Maredinverno” è un crescendo sofferto che non arriva a destinazione, ci lascia in piena quota a guardare sotto questa distesa di ghiaccio. Ci lascia quella femminea curiosità, mentre osserviamo che tutto è così serenamente imperfetto. La speranza è che al prossimo giro il vaso possa presentarsi più determinato, senza rinunciare all’imprevedibilità del suo fumo rosa.