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Blonder – Radio
Per ovviare alla frustrazione di una che è costretta a passare metà della giornata davanti a un PC con l’audio fuori uso faccio un piccolo esperimento, un primo approccio senza audio. L’EP di esordio dei Blonder è disponibile in vinile 7 pollici e in free download. Modaioli. È una scelta ormai frequente, in linea con il dilemma dei tempi moderni del dover decidere tra progresso e tradizione. Non sono mai stata una fanatica del supporto ma se continuo a prediligere quelli fisici è a causa di una certa forma di feticismo in fatto di artwork, biglietti da visita del suono. Il front di Radio è essenziale, duocolor. il titolo in nero campeggia su un fondo ocra. Sul retro, un satellite artificiale, sempre nero. I tre ragazzi romani fanno alcune premesse. Dichiarano una vocazione per un certo Punk, dai Radio Birdman agli imprescindibili Stooges, e dicono anche che questo EP è stato un parto naturale ma frettoloso, senza troppa cura nella qualità. Non mi scompongo, perché per ora il contenitore mi ha convinta nonostante sia sfacciatamente Lo-Fi.
Rientro a casa e premo play, ed il contenuto suona estremamente in linea con le impressioni del mio primo ascolto-non-ascolto. Il ritmo serrato di “More Drugs Blue Sky” è trascinante nonostante le sbavature. I quattro brani che compongono Radio sono costruiti su distorsioni e ronzii Shoegaze evocano le atmosfere dei Ride agli esordi, ma con un energia che sa di anni 70 e di Proto Punk. Chitarra, basso e batteria. Tracce brevi, sporche e penetranti. Un timbro vocale non particolarmente originale, che per lo più non riesce a farsi spazio tra i riff ma che a tratti esplode graffiante, come sul ritornello di “And Feathered Cloud”, acida e melliflua, con dentro tutto il background musicale che si è costruito chi ha superato da un po’ la soglia dei trenta.
C’è da dire che forse questo ultimo brano l’unico in cui si manifesta in maniera più compiuta uno stile proprio. Le tracce che lo precedono risultano un saggio di quelle che per loro stessa ammissione sono le loro passioni e ispirazioni e poco svelano su quello che c’è da aspettarsi dai Blonder quando torneranno in forma di album compiuto. Non c’è alcuna smania sperimentale, né tantomeno la pretesa di essere sofisticati, ma a rimanere in bilico sulla sufficienza poi mi sento la prof stronza del liceo. Ammessi all’esame di stato del long play, ma prendetevi il tempo necessario per le levigature.
“Diamanti Vintage” Radio Birdman – Radios Appear
L’Australia dei mitici Radio Birdman, folgori istantanee che durarono quanto una eclissi di sole, guarda all’America stupendamente laida del garage di Detroit, quella dei stordimenti elettrici di MC5, Stooges, ma la lingua popolare li vuole collocati tra le ortiche del punk sebbene i rifferama del chitarrista Deniz Tek lasciano all’immaginazione scenari molto più distanti dell’azzardata approssimazione; e questo bel disco “Radios Appear”, bardo assoluto della loro parabola, in pressappoco cinquantatre minuti di scalmane di gruppo, lascia il segno indelebile della grande nevrosi rock che correva in quel periodo già tanto agitato di suo, e che li colloca come agguerriti rivali dei newyorkesi Television, quelli di Marquee Moon, che da tempo graffiano la scena dell’East Side.
Chitarrismi forsennati, ansie, urgenze espressive e la vivacità di una epoca di rinnovamenti e scoperte culturali, sono le prerogative principali di queste dodici canzoni di una tracklist che rimarrà impressa per l’eternità, il manifesto musicale di questo sestetto indimenticabile che dall’altra parte del mondo fornì una risposta inequivocabile alle alte baronie elettrificate esistenti non con l’aggressività ma con la baldanza innica e corale di una gioventù ribelle che contrapponeva al tagliente e crestato cosmo punk sovraffollato di sputi e droga la sbavatura (a modo) di canaglie di (buona famiglia); un album in cui la band cita il sommo Edgar Allen Poe “ Descent into maelstrom”, traccia monumento ad un tocco di chitarra febbrile e ad una voce – quella di Rob Youngher – al top dell’immaginifico, poi una marea di solforazioni anni Cinquanta che si immolano in “New race”, “What gives?”, “Do the pop”, la bella arietta grigia che tira in “Man with golden helmet”, un trucilo di wave che si insinua dentro “Hit them again” per arrivare al pezzo forte contenuto nel numero dieci della scaletta, quella stupenda cover di “You’re gonna miss me”, grande successo di Roky Erickson ed i suoi 13th Floor Elevator.
Diabolico rock’n’roll, una vera celebrazione negli anni dei terremoti ideologici e di costume.