La storica band marchigiana, ispirata per nome e concezione ai Me First and the Gimme Gimmes, si rifà viva con questo nuovo lavoro descrivibile come un doppio omaggio a due icone che nulla hanno da spartire tra loro, ma che con la giusta dose di fun possono incontrarsi e camminare con spensieratezza a braccetto. Ecco come nasce Carrones – Loca Live. Stiamo parlando, ovviamente, dei Ramones (fortissimo il riferimento già dalla cover dell’album) e di Raffaella Carrà. Infatti le sette tracce sono tutte delle rivisitazioni dei successi della Raffaellona nazionale. Si parte con “Ma che Sera” e si termina con un’improbabilissima versione Punk di “Tuca Tuca”. Impossibile far emergere una canzone sopra le altre: sono tutte dei grovigli di ritmi Rock’n’Roll e melodie Surf. Carrones è questo: snaturare positivamente brani classici con lo stile di Derozer e Lagwagon, avere una durata limitata e una dose di divertimento prolungata. Non è consigliabile ai bigotti della musica italiana, per evitare effetti collaterali. One, two, three, four…
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Sanremo 2014: grazie al cielo è finita.
Ogni anno mi tocca il commento finale sul Festival di Sanremo, non certo senza compiacermi della quantità di veleno che posso meritatamente rigettare, in una sorta di catartica liberazione interiore. Niente pagelle quest’anno, credo sarebbe come sparare sulla Croce Rossa e preferisco lasciare perdere. Sanremo è come i Giochi Olimpici per l’antica Grecia: non si ferma mai, piuttosto sono le guerre che vengono messe in stand by perché lo spettacolo possa avere luogo. Oramai è un dato di fatto e bisognerebbe semplicemente prenderne atto. La macchina economica che si muove dietro all’organizzazione della rassegna ha respiro così ampio da essere inarrestabile. E questo vale sia per la spesa mostruosa a fronte della crisi economica e soprattutto di un’offerta qualitativamente scadente, quanto per la scelta degli artisti in gara che hanno alle spalle case discografiche compiacenti e ben immanicate. Partiamo dal principio. Il Teatro Ariston, evidentemente, non è dotato di sicurezza: i primi minuti sono stati “macchiati” dall’intervento di due lavoratori che volevano a tutti i costi far leggere una loro lettera (dal tema importantissimo, per carità, quello della condizione lavorativa), minacciando di buttarsi dalle impalcature. Già visto, già fatto e per altro con un eroico Baudo, non con un freddissimo Fazio che legge poi la lettera in questione lamentandosi anche per la calligrafia. Si poteva e doveva fare diversamente, sia da parta di chi protestava, sia da parte dello staff, che avrà preferito lasciare che lo spettacolo circense gratuito andasse avanti pensando che a casa l’italiano medio si tenesse incollato allo schermo peggio che in una puntata di The Walking Dead. Arginata la tragedia, inizia lo show: l’orchestra disposta in una scenografia a metà tra Il Gioco dei Nove e Macao, soluzione che avrebbe già dovuto farci capire che saremmo stati catapultati nel Festival delle Cariatidi. Sul palco, infatti, per cinque giorni si sono alternati corpi riesumati dal passato. Tommy Lee, le gemelle Kessler, Claudio Baglioni, Laetitia Casta, Raffaella Carrà, Ligabue, Renzo Arbore tra gli ospiti, Antonella Ruggiero (in una mise a cavallo tra Robert Smith, cosa notata da tutto il pubblico dei social network e su cui lei stessa ha poi iniziato a giocare dal suo profilo Facebook e Sean Penn in This Must Be the Place), Francesco Renga (cavolo, ma ancora?, tra l’altro cantando una canzone di Elisa e cercando pure di cantarla come avrebbe potuto e forse dovuto fare lei), Ron (santiddio!), Giuliano Palma (un artista tutt’altro che sanremese), Frankie Hi- Nrg (che ha sbagliato tutto, da look a canzone, fino al fatto di non essersi ancora dato all’ippica), tra i “big” in gara. Ma big de che? Sarcina ex Le Vibrazioni sarebbe un big? Lui e i suoi capelli da mafioso di Little Italy anni 80 e i denti gialli? E Sinigallia ex Tiromancino (ma ex da mo’ oltretutto), che si presenta pure con una canzone carina ma già suonata che gli vale la squalifica? Ma Riccardo: sono solo sessantaquattro anni che ce la menano, non avete ancora capito tu e il tuo entourage che non si possono suonare i brani in gara prima della gara? Ma che davero? E comunque quella poteva tranquillamente essere una canzone dei Tiromancino, quindi già eseguita o meno, era sicuramente già stra-sentita.
Un Festival di disadattati sociali (e basta vedere la classifica finale dei vincitori) per disadattati sociali a cui, di nuovo, come l’anno scorso, bisogna fare i discorsini materni e affidarli alla voce della Litizzetto: gay è bello, il diverso è bello, il bambino down è bello perché se non insegniamo queste cose ai nostri figli, allora, è normale che poi brucino i Rom o i senzatetto nel parco. Sacrosanto, in un’Italia decerebrata che ci sia bisogno di pagare milioni una ex comica asservita allo showbiz per dire queste cose. E allora poi facciamo suonare Rufus Wainwright per far vedere che anche i gay sanno fare grandi cose e facciamo ricordare da Crozza che persino Michelangelo era gay. Perché se non lo dicevano loro, là fuori c’era ancora gente convinta che gli omosessuali fossero solo gli untori dell’AIDS, gente che ti aspetta per la strada di notte per violare de retro la virtù di qualche bravo uomo di famiglia. E, perché no?, invitiamo un disabile a fare la breakdance con le stampelle. Perché magari intervistare un laureato, un avvocato, un medico, un architetto, con un ADHD certificato non faceva spettacolo. Ma va bene, lasciamo stare, c’è evidentemente bisogno di affrontare queste tematiche e, rivolgendosi a un pubblico mediocre per educazione, cultura ed etica, bisogna anche servirglielo in una certa confezione. Torniamo quindi alla musica, quella almeno sarà stata bella. Certo, come no. La sagra del Reggae riciclato, da Frankie Hi-Nrg a Giuliano Palma fino al vincitore della categoria giovani, Rocco Hunt che viene dalla terra del sole e del caffè (e pizza, mandolino e mafia no? un testo pieno di cliché partenopei da far venire la pelle d’oca) e non dalla terra dei fuochi. Si, ok, ma i baffetti puberi potevano tagliarteli invece che lasciarli per intenerire qualche mamma italiota che ha appena imparato a mandare sms e ne dedica proprio uno a te per il televoto. Canzoni pallose allo stremo tra Noemi e la ex cassiera dell’Esselunga Giusy Ferreri (che fa incazzare non tanto perché, novella Cenerentola, è passata dal registratore di cassa della grande distribuzione, al palco prestigioso della rassegna musicale più nota italiana, ma perché quella aveva un lavoro da cassiera e là fuori c’è tanta gente che riempie le file dei Centri per l’Impiego), passando per il Premio della Critica intitolato a Mia Martini, andato al figlio d’arte Cristiano De André che, poveretto, ha fisionomia e voce identiche a quelle del padre ma non ne ha certo l’arte e l’estro, per quanto abbia presentato un brano anarcoide e ateo in pieno stile paterno. Ma veniamo pure ai vincitori (non certo morali, ti piace vincere facile con quella rosa di concorrenti lì): Arisa, che si era arruffianata il pubblico con il suo look pre-hipster da brutto anatroccolo sono davvero così, sguardo basso di fronte ai giornalisti e voce da topolino, torna giunonica e panterona sexy sbattendoci in faccia che erano tutte cazzate (Sincerità un elemento imprescindibile…), vi ho gabbati tutti. Avesse poi portato con sé una super canzone ci saremmo pure passati sopra ma la sua “Controvento” era un mero esercizio di stile, buono solo a qualche scuola di canto per indottrinare aspiranti quattordicenni ché se ce la fa quella posso farcela anche io. Gualazzi e Bloody Beetroots erano due tarantolati: il primo a contorcersi dal pianoforte, a sudare in una fintissima tensione orgasmica e a cannare ogni maledetta nota da intonare, il secondo tra tastiere e chitarre (due note per ciascuno strumento, oltretutto) con la sua maschera da Uomo Tigre (ndr in realtà è di Venom, lo sappiamo bene). Inguardabili e insentibili. Renzo Rubino, poi, ma chi cavolo è? L’ho già detto l’anno scorso credo: assolutamente anonimo con la sua orrenda cravatta verde mela.
I coraggiosi si contano su una mano: Perturbazione, che (a parte l’ospitata di Violante Placido) sono stati magnifici, The Niro (gran bella voce, bella canzone) e Zibba (che se l’è cavata con grande dignità e ha portato un brano pianamente conforme al suo stile, senza sputtanarsi per il palco del’Ariston ). Di questi, solo i Perturbazione sono stati premiati con il Premio della Critica intitolato a Lucio Dalla. Accontentiamoci.
E qui comando io! L’Abruzzo non andrà mai su MARTE (live)
“E qui comando io e questa è casa mia” cantava nel settantuno una folkloristica Gigliola Cinquetti sotto gli occhi divertiti di una giovane Raffaella Carrà. Di anni ne sono passati veramente tanti ma quella canzone descrive alla perfezione il solito modo italiano di affrontare le cose. In tutte le maledettissime cose. Un’altra volta mi trovo a presenziare in quel di Teramo (o quasi) ad una manifestazione il cui nome non è certamente terrestre e questa volta addirittura ci troviamo a consegnare un premio Rockambula a una band emergente a nostro personalissimo piacere (e qui comando io!); promozione sul sito, roba che a noi piace fare dove possibile.
Poi una giuria esperta e qualificata di cinque membri doveva (il “doveva” non è scritto a caso visti gli sviluppi) analizzare e votare le cinque povere band arrivate dopo tante sciagure alla tanto sofferta finale dove si giocavano l’acceso alle fasi finali nazionali di Roma del contest marziano. Ma vuoi mettere l’emozione di esibirsi sopra un grande palco? E poi una finale è sempre una finale. A incrementare il parere dei giudici senza ombra di dubbio competenti una percentuale pari al venticinque percento delle preferenze veniva tirata fuori dal voto del pubblico che poteva votare ogni qualvolta consumava da bere (e qui vogliamo capire l’incentivo alla consumazione ma basta giocare in casa e investire neanche troppo forzatamente in alcol e una fetta si è già conquistata).
Ma queste purtroppo sono cose alle quali nessuno può attaccarsi più di tanto e che alla resa dei conti non condanno spudoratamente, i costi ci sono e coinvolgere in qualsiasi modo possibile il pubblico che rischierebbe di appassire ci sta . La serata scivola via come al solito, le band suonano e danno vita a un concerto piacevole e molto variegato nei generi, nello stile, nella tecnica e mancava come sempre quella diversità di progetto (innovazione) vista soltanto in piccole occasioni. Tutto finisce, i giudici (alle mie spalle) consegnano le loro preziose schede piene di numeretti e l’incaricato anche lui giudice raccoglie il materiale e da qualche parte nel locale inizia una drammatica lotta con il conteggio dei punteggi dovendo considerare anche l’importante voto espresso dal pubblico (largo spazio all’immaginazione). Passa il tempo necessario e l’attesa in sala diventa anche piacevole se baciati sulle labbra da una bella bionda non baffuta ma dalle bollicine effervescenti. Intanto io assegno il mio premio Rockambula in assoluta autorità, e qui comando io! Arriva il momento, qualcuno che non identifico (ho tolto gli occhiali perché ci vedevo troppo bene) sale sul palco e annuncia il vincitore di ogni categoria (Rockambula, passaggi radio, Life on Mars) ripetendo sempre lo stesso nome sotto un’ovazione straordinaria del pubblico presente.
Cazzo amplein! Non c’è trippa per gatti… penso. Ma dietro di me una giuria quasi pietrificata spruzza amarezza dagli occhi non riconoscendosi in quello che era stato annunciato nel microfono, una giuria ormai stremata dalla poca autorevolezza e professionalità che gli è stata attribuita. Vago nel locale e raccolgo l’agonia giustificata dalla sconfitta delle band in concorso (ma questo era scontato qualsiasi verdetto fosse stato emesso), mi giro ancora in tutti gli spazi del locale per cercare qualsiasi appiglio mi desse conforto per capire quella che stava diventando una situazione surreale e decisamente imbarazzante. Vince una band di Teramo sotto un organizzazione di Teramo? Butto un orecchio di qua e scopro che i giudici non potevano assistere al conteggio delle votazioni e che tutto era stato fatto in un misterioso quanto affascinante privè alla presenza di persone di cui non è dato sapere l’identità. L’aria diventa sempre più irrespirabile, la situazione insopportabile. Vado via ma vogliamo tutti vederci chiaro. E lo faremo. ““E qui comando io e questa è casa mia” sembra al momento l’ipotesi più accreditata a svelare questo velenoso arcano. Vediamo cosa avranno da raccontarci le band e gli addetti ai lavori nei prossimi giorni, noi lanciamo il sasso ma la mano rimane tesa in alto…
Queste le band in viaggio per Marte, cercate voi cosa è successo.
THE OLD SCHOOL
TRE TIGRI CONTRO
STATI ALTERATI DI COSCIENZA
SHIJO X
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