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Inutili – Unforgettable Lost and Unreleased
Sono passati poco più di sei mesi da quando vi ho parlato dell’ultimo album di questa folle band abruzzese e ora eccoci presto a fare di nuovo i conti con loro, gli Inutili. Se quel disco era un piccolo capolavoro in due parti, questa volta siamo davanti a qualcosa di ben diverso, più nella sostanza che nella forma a dirla tutta. Unforgettable Lost and Unreleased è una raccolta di brani registrati tra il 2012 e il 2013 e che dunque abbandona la formula delle lunghe suite sperimentali. Si tratta di una collezione di nove brani che può essere considerata come il meglio dei primi Inutili, prima dell’abbandono del bassista Giancarlo Di Marco e rappresenta anche uno strumento ideale sia per cominciare ad approcciare la loro musica non certo easy listening per chi non avesse avuto il piacere di imbattersi già nelle loro registrazioni e sia un valido espediente per godere appieno il processo evolutivo della formazione teramana, per quelli che hanno cercato di seguirne le gesta artistiche con puntuale curiosità.
Il suono è una miscela di Heavy Psych, Blues e Rock sperimentale, senza cantato, che riesce a suonare tanto plastico, avvolgente (“Untitled”) e beffardo (“Mechanical Lady”) quanto meditativo, sfruttando suoni, ritmiche e riff propri della migliore psichedelia d’annata (“Bangkok”) con una strana nebbia nipponica ad avvolgere il tutto, tanto che i parallelismi con Rallizes Denudes e ancor più Flower Travellin’ Band (sarà un caso che sia gli Inutili che questi ultimi abbiano chiamato un’opera Satori?). Oltre a questo, non manca il Blues riletto sempre in chiave lisergica (“Nicotine”) tanto presente quanto la ruvidezza dello Psych Noise (“Noise Again”) vero punto di forza della formazione e caratteristica primaria che li ha resi una delle più straordinarie scoperte fatte negli ultimi tempi nell’underground della penisola. Strane assonanze in “No Name Science” con i ben più mediterranei C’mon Tigre qui quasi omaggiati dalle chitarre fluide ed esotiche pur se con notevole dose di schizofrenia psicotica. Accenni di Stoner nella parte centrale dell’album (“Radon”) anticipano uno dei pezzi più riusciti, la delirante “The Monarch Must Die” che è il perfetto riassunto di quanto di meglio gli Inutili abbiano da offrire. A chiudere l’album, un trionfo di surrealismo chitarristico degno d’incubi tanto incredibili da affascinare più che spaventare si staglia su un basso mantrico e poderoso da farvi vibrare ogni centimetro del corpo.
Unforgettable Lost and Unreleased è l’ennesimo ottimo lavoro di una band che non smette mai di stupirci per l’incredibile capacità di rileggere il passato senza suonare anacronistica. Inutili, se volete, come tutte le cose che ci fanno innamorare veramente.
Inutili – Music to Watch the Clouds on a Sunny Day
La band abruzzese sembra avere tutte le carte in regola per prenderci per il culo amabilmente. Si parte dal nome che mette le mani avanti su ogni possibile critica circa l’importanza storico-evolutiva, in ambito musicale, della formazione teramana e si finisce al titolo dell’Ep che certo nulla lascia presagire dell’armageddon sonico che ci aspetta, suggerendo atmosfere eteree e sognanti, rilassanti e quiete piuttosto. Il lavoro, che viaggia per le strade della psichedelia, del Lo-Fi estremo, dell’improvvisazione e del Krautrock più classico e audace, si costruisce su due pezzi. Il primo, come suggerisce il titolo stesso (“Fry your Brain”) è un lungo crescendo lisergico e psicotico attorno ad una martellante linea di basso, nei pressi della quale si avvolgono distorsioni disturbanti, glitch e droni nevrotici (al minuto quattro e trenta secondi pare ascoltare una notifica di facebook e c’è il rischio che non si tratti di uno scherzo delle mie orecchie) che disturbano quella che è l’atmosfera estatica che vorrebbe fare da nucleo a tutti i circa diciannove minuti che formano la prima parte. Il lato B (“Drunk of Colostro”) cambia completamente le carte in tavola. Si resta immersi in quell’aura di psichedelia stupefacente (in tutti i sensi), dal sapore molto Rallizes Dénudés e l’incalzante e meccanica linea di basso continua a fare da protagonista ma ora attraverso strade più caotiche, fatte di Blues e Funky, una maggiore varietà stilistica ma la stessa capacità di ammaliare e rapire e trasportare in una realtà e in un’epoca che non trova collocazione alcuna nella storia, ma che viaggia come su di un’esistenza parallela, simile e diversa al tempo stesso. Un lavoro che pare ispirarsi molto non solo alla tradizione classica occidentale dei 60 e 70 ma che pesca a piene mani nel mito di Mizutani Takashi per provare a rielaborare in chiave ancor più devastante e aggressiva quelle suggestioni disastrose, vulcaniche, elettriche, più pesanti di una morte in famiglia.