Breve EP solista per il tastierista newyorkese già nei BlueBeaters e membro del New York Ska-Jazz Ensemble, sei tracce per poco più di 25 minuti di musica. Il viaggio di Peter Truffa è breve ma gustoso: sarà il periodo estivo, perfetto per questo blend di Rocksteady e Rock’n’Roll, Ska sui generis e Reggae “bianco”, ma Art School è piacevole e fresco, preciso di una precisione filologica, una ricerca che va a toccare un po’ tutta l’evoluzione della musica giamaicana “durante il suo lungo pellegrinaggio fra le diverse culture musicali occidentali”. Si inizia con il ritmo uptempo della title track, un classicone retrò che ricorda molto i Madness, per poi chiudere con un inchino al Pop più radiofonico ma vintage di “So Natural”, tra archi e piano, passando dal Reggae spirituale di “The River” e dallo Ska classico di “Somebody Has Stolen My Girl”. Uno sfizio per gli appassionati del genere, che troveranno in Peter Truffa il gusto e la competenza di un vero conoscitore dei ritmi in levare, con un’aderenza (anche tecnica) sorprendente al materiale ispiratore. In ogni caso, un interessante, piccolo album estivo: leggero, fresco, groovy.
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Peter Truffa – Art School
Dr. Quentin & Friends – Dr. Quentin & Friends
Il fatto che questo EP riesca ad evocare le sonorità di un disco che porta il titolo di London Calling (dopo l’ascolto di “Carry On”) non è roba da poco. Passato però il momento evocativo la musica prende la propria strada. L’omonimo disco del progetto Dr. Quentin & Friends ha infatti molto di suo, a partire dalla voce Quinto Fabio Pallottini (il Dottore), sporca e vissuta, nonostante la sua giovane età, in piacevole contrasto con la voce di accompagnamento, decisamente più melodica. Un EP che evidenzia una marcata fede musicale che viaggia tra Reggae e Punk, e che non dà molto spazio ad altre contaminazioni sonore. Una sezione ritmica precisa ed una chitarra incisiva per la produzione di un suono spensierato e coinvolgente, ma che a volte sa diventare anche malinconico (“Sweet Dirty Music”). Il risultato è un EP contenente pezzi che, una volta ascoltati, entrano in loop nel cervello e sono capaci di rimanerci per giorni. Al tutto si aggiunge la grandissima presenza scenica di Quentin che ho avuto modo di constatare nel corso dello Streetambula Rock Contest 2014, ma non è questa la sede giusta per dilungarsi su questo aspetto. I presupposti per la nascita di un progetto di spessore ci sono tutti. Resta solo da capire se la band è pronta e disposta ad affrontare altre sonorità con le quali arricchire il proprio sound. I pezzi scelti per l’EP difficilmente lo fanno intuire. Non resta dunque che attendere che la dea ispiratrice (ognuno ha la propria) poggi nuovamente la mano sulla testa dei componenti della band per farne uscire nuovi brani ed un lavoro più corposo. Carry on, Dr. Quentin & Friends. Carry on verso un nuovo lavoro.
Jovine – Parla Più Forte
Valerio Jovine torna con un disco dopo l’avventura a The Voice Of Italy: Parla Più Forte vede il cantante partenopeo rimanere coerente cercando di spaziare tra generi diversi dal solito Reggae, passando dal Funk (“Nonostante Tutto”) a pezzi Rap con elementi Rock (con Clementino in “Parla Più Forte”) o in levare (con O’Zulù in “Cap e Mur”), fino al Pop più melenso dell’opener “Bisogno d’Amore”, all’R’n’B di “Penso” o al Rocksteady di “Un Motivo Non C’è”.
Parla Più Forte resta, nonostante ciò, un disco fondamentalmente Reggae, con al centro il ritmo e la melodia. Un disco solare, divertente, che intrattiene quanto basta lasciando però traccia della visione del mondo di Jovine e della sua gente: una visione positiva del mondo, che passa certo attraverso il desiderio della fuga, la voglia di protesta, il tentativo di parlare delle banalità e delle ipocrisie che ci circondano, senza farsi mancare l’autocritica e il tirare le somme anche delle proprie esperienze (“Vivo in un Reality Show”). Un disco che vanta una dose consistente di collaborazioni (oltre ai già citati troviamo anche Nto – ex Co’ Sang –, la Pankina Crew, Carolina Russi Pettinelli, Benedetta Valanzano…) e che cerca di rimanere con la schiena dritta aprendosi ad influenze più Pop, riuscendoci anche dignitosamente.
Da sfruttare durante l’estate, coi finestrini abbassati e la testa dondolante.
Krikka Reggae – In Viaggio
Sono stato combattuto fino alla fine se dare una sufficienza oppure no ai Krikka Reggae, arrivati alla loro quarta prova discografica, perché per arrivarci sarebbe bastato davvero poco. Purtroppo però siamo di fronte a un prodotto che non entusiasma neanche dopo decine di ascolti a causa anche delle liriche che sin dall’inizio sono troppo elementari tipo: “Io vivo in Lucania, vengo dalla Lucania, per chi non la conosce o non l’ha ancora visitata… Al centro tra la Puglia, la Calabria e la Campania c’è la Basilicata, bellezza inesplorata…”, parole che quindi sembrano quasi uscire da una lezione di geografia di prima media o persino delle elementari. Personalmente penso che i Krikka Reggae abbiano anche buone qualità di musicisti, ben evidenti in canzoni quali “Memoria Storica” e “Quello Che mi Passa”, in classica struttura Reggae alla Peter Tosh e che non è quindi tutto da gettare via il contenuto di questo prodotto. Rimango tuttavia ancora un po’ perplesso di fronte a pezzi quali “S Addumm u Fuok”, “Na Cosa Importand”e “Life Ova Money” cantate rigorosamente in dialetto. Forse i Krikka speravano di ricalcare le orme dei 99 Posse, dimenticando però che Luca Persico detto O’ Zulù (che è tra l’altro ospite in “Crisi”) e compagni sono sulla breccia da oltre un ventennio e possono contare su un esercito di fan che non perdono un solo concerto del gruppo e comprano in massa i loro i dischi, tanto da finire ancora in classifica. Attaccamento alla propria terra quindi forse un po’ eccessivo, tanto da aprire il disco con un titolo fin troppo esplicito, “Lucania”, denominazione ufficiale dal 1932 al 1947 della Basilicata da cui dovrebbe partire quel viaggio che dovrebbe portare fino in Jamaica. Purtroppo si rimane sempre fermi in Italia, non tenendo conto delle vere radici del Reggae, se non in un paio di episodi veramente validi già menzionati precedentemente. Un disco insomma che spaccherà a metà i fan del gruppo, soprattutto quelli che hanno supportato l’operazione finanziando in anticipo il tutto tramite il noto sito Musicraiser. Da segnalare, per concludere, alcuni ospiti di rilievo: l’artista giamaicano Fyah Georgein “Unite as One”, Patto Mc in “Quello che mi passa”, Fido Guido in “Na cosa importante”, Perfect Giddimani in “Life OvaMoney”, Terron Fabio dei Sud Sound System in “S Addumm u Fuok” e Roy Paci, che ha collaborato scrivendo la musica di “Lukania”. Collaborazioni prestigiose che però non riescono a dare quel valore sufficiente ad un lavoro che lascia un po’ d’amaro in bocca a chi, come me, li segue da diverso tempo.
“Doctor Kràpula Presente” è il videoclip ufficiale dei Doctor Kràpula
L’Alternative Rock band colombiana, leader del movimento artistico cosciente dell’America Latina, è protagonista di un videoclip che ne mette in evidenza la grande energia sul palco.
“Doctor Kràpula Presente” è un brano che esprime appieno le radici Punk del gruppo ed il cui testo rappresenta sinteticamente la ‘mission’ dei cinque musicisti sudamericani, quella cioè di trasmettere all’umanità messaggi di trasformazione e di attivazione della coscienza attraverso la loro musica popolare che mescola il Rock con influssi Ska, Reggae, Punk e Salsa.
Alcune date del tour europeo tra cui spiccano:
4.7. Verbania
11.07. Monopoli (BA)
13.07. Arona (NO)
16.07. Bremen – Lagerhaus
23.07. Hamburg – Hafenklang
24.07. Berlin – Lido
26.07. Frankfurt – Das Bett
01.08. Porta Westfalica – Festivalkult
Luca Laurini – Il Look degli Animali Domestici Vaganti
Nel comunicato stampa il nuovo lavoro di Luca Laurini titolato Il Look degli Animali Domestici Vaganti è riassunto e/o descritto nel seguente modo: “Ciò che rende l’uomo che vaga per la città simile agli animali che scorrazzano nella fattoria è il look, essenzialmente. Per tutto il resto l’uomo deve fare ancora molta strada”. Quindi deduco di assomigliare all’asino, nero e sciocco. Si capisce subito la simpatia innata dell’artista di Fidenza, soprattutto con le sonorità solari del brano di apertura “Poeta”. Di poetico trovo ben poco, trovo molto da sorridere e questo di certo non è sempre un bene, una sorta di creazione di frasi fatte volontarie e involontarie. Al momento niente di buono viene fuori e sento crescere il nervosismo quando ripenso alla parola “Poeta”. Ma sapete cosa significa Poeta?
Ecco che arriva come un bianco cavallo sulla spiaggia (e non posso non pensare al video famosissimo di Jo Donatello) il singolone del supporto “Menomale”, brano in rotazione radio, il punto di forza dell’intero album. Ci troviamo davanti il classico testo di protesta sociale, il solito Mario che non riesce ad arrivare a fine mese, precario e inevitabilmente sfigato come pochi. Il tutto accompagnato da riff rigidamente Folk e una voce chiara ma impassibile. Sarà ma inizio ad avere lo stufo di questa necessità di rimettere continuamente in evidenza il fatto che siamo tutti poveri, disoccupati e sfigati. Lo siamo, non c’è bisogno di ripeterlo fino alla morte. Finalmente un reggaettino scaccia pensieri con “Il Più Simpatico”, pezzo che si lascia scivolare addosso senza richiedere troppa attenzione, finalmente evitando i testi il ritmo reagisce bene. Fischiettando entra in scena la Emo demenziale “Come mi Volevi Tu”, non riesco a capire se devo prendere la canzone in maniera ironica o meno. Salto alcune cose e arriva “Mariarosa” che sembra un brano delle peggiori produzioni di Nek. “Fra Diavolo” ricopre al momento la carica di elemento migliore de Il Look degli Animali Domestici Vaganti, cantautorato simil De Andrè con punte di vera passione. A questo punto rendo grazia per aver trovato frammenti di validità e intravedo la salvezza della musica di Luca Laurini. Poi fino alla fine del disco non succede niente di importante, tutto ritorna come il resto, nulla di nuovo su basi Elettro karaokiane, quello che non vorresti mai dalla musica di qualità. Non sono ancora riuscito a capire se Luca Laurini con Il Look degli Animali Domestici Vaganti volesse giocare oppure fare sul serio perché da quello che ascolto mi rendo conto di avere tra le mani un disco brutto. Non è ironico, non è passionale. Allora che roba è?
Rainska – Media Stalking
Ci sono voluti ben cinque anni per sfornare il primo disco dei Rainska, Lo Specchio delle Vanità ed altrettanti per la loro seconda fatica discografica, Media Stalking. Prodotto con l’etichetta discografica Udedi, registrato presso gli studi de La Baia dei Porci di Nereto, e mixato e masterizzato presso l’Indie Box MusicHall di Brescia, il disco vede la partecipazione di Totonno DUFF nell’opening “Le Bocconiane”, Maury RFC ne “Il ‘93” e Clode LAZULI in “500 Lire”. Oggi lo Ska (o Bluebeat, chiamatelo come volete) non è certamente più di moda come quando nacque nei primi anni Sessanta quando da esso derivarono altri generi che poi divennero persino più famosi quali il Reggae e il Rocksteady. Lorenzo Reale (voce), Angelo Di Nicola (chitarra e voce), Giulio Di Furia (basso e voce), Lorenzo Mazzaufo (batteria), Pierpaolo Candeloro (sax), Eliana Blasi (tromba) e Martina D’Alessandro (sax) ce la mettono tutta quindi per emozionare l’ascoltatore sin dall’incipit della già citata “Le Bocconiane”.
Il risultato è certamente egregio, ma forse da un gruppo che ha festeggiato il decennale della carriera (pochi vi riescono) ci si aspettava anche qualcosa di più. Gli spiriti di Madness e The (English) Beat per fortuna rimangono costanti con i sette teramani sino alla fine garantendo loro un buon fine. Un ulteriore sforzo poteva essere fatto inoltre anche a livello di testi, talvolta troppo semplici ma certamente di sicuro effetto ed il sospetto è che si sia badato più agli arrangiamenti dei fiati che a tutto il resto. Del resto di esperienza ormai ne hanno accumulata talmente tanta da garantire loro la presenza su prestigiosi palchi al fianco di artisti famosi quali Shandon, Punkreas, Velvet, Piero Pelù, Teatro degli Orrori, Giuliano Palma & The Bluebeaters, Paolo Benvegnù, Linea 77, Vallanzaska, Africa Unite e Bandabardò. Dopo tanti e ripetuti ascolti ci si abitua anche al sound che a tratti ricorda persino quello della premiata ditta Sting / Summers / Copeland, ovvero dei Police, e talvolta persino quello del Punk anni Novanta dei Green Day e degli Offspring. Consigliato a chi vuol passare quaranta minuti circa in allegria, da evitare per chi non sa apprezzare Ska e Reggae.
Esordio solista per Raphael
Il prossimo 18 ottobre uscirà Mind vs Heart, album d’esordio solista dell’artista italo/nigeriano Raphael, pubblicato dall’etichetta viennese Irievibrations. Conosciuto in Italia per essere il fondatore e frontman degli Eazy Skankers con i quali ha già pubblicato due lavori (il primo To The Foundation, registrato nel leggendario Tuff Gong Studio di Kingston e masterizzato allo Sterling Studio di New York, dove spiccano le collaborazioni con Michael Rose, Lutan Fyah e Mr Perfect oltre a quella con McDermott, già tecnico di Damian e Julian Marley, Gentleman e Junior Kelly; il secondo Chages, registrato e mixato al Dub the Demon Studio di Madaski, Raphael fa parte del progetto tributo a Bob Marley “Double Trouble” insieme agli amici Zibba e Bunna (Africa Unite) con i quali si è esibito su molti palchi delle principali città italiane. L’album sarà disponibile nei migliori negozi di dischi. Più informazioni sul sito ufficiale.
Madame Blague – Pit-A-Pat
Proprio in questi giorni leggevo sui vari social network discussioni riguardo le possibili combinazioni (soprattutto di strumenti) che gli attuali musicisti dovrebbero adottare per avere un sound “nuovo” che si distacchi dalle solite cose, batterie elettroniche su basi acustiche, voci urlanti su musica classica e tantissime altre mescolanze di questo genere. Siamo tutti tanto stufi della solita minestra che il disgusto a volte precede l’ascolto del disco. I Madame Blague fanno il loro esordio con la DreaminGorilla Records editando il disco Pit-A-Pat che più o meno in italiano dovrebbe apparire come una “pulsazione”. Bene, alla domanda se questo disco risulti fresco e innovativo non mi tocca che rispondere con un secco no. Assolutamente no. E non cade certo il mondo, questo è sicuro, Pit-A-Pat suona vecchio di vent’anni ma non riempie affatto il mio stomaco di aria fetente, anzi. Lo trovo simpaticamente allegro e capace di suscitare contrastanti sensazioni durante l’ascolto, non tutto il vecchio viene per nuocere. Il disco si apre con “Join Us” e rimango colpito dalla volontà di rielaborare suoni quasi Hard Rock anni novanta, non sentivo il bisogno ma la cosa non mi dispiace affatto. “The Circus Never Stomps” vive di dure chitarre con voci e ritmiche Indie Rock, quello inglese per intenderci, molto movimento se no fosse per quegli assoli di chitarra troppo preistorici e pesantoni. Ancora movimento in “Escaped Whisper”, peccato ancora per gli assoli. Poi “ Tell Me” è una ballatona (fatta di voce e vocine) che somiglia troppo a quelle cose insostenibili che gli americani sono tanto bravi a fare. Gli altri due pezzi a seguire viaggiamo sempre sulla stessa cosa, francamente niente di rilevante. Vorrei che tutto andasse avanti il più velocemente possibile. E poi si ritorna a qualcosa di diverso e apprezzabile quando inizia il brano “Before”, una simpatica melodia alla Annie Hall con approccio da nave da crociera. Una scommessa vincente che diverte. Poi il disco si lascia gustare fino alla fine tra lampi, tuoni e sole forzatamente Reggae. Nel complesso i Madame Blague impegnano le loro capacità artistiche nella realizzazione di un album molto strano e variegato che a volte scazza altre piace, mettono dentro Pit-A-Pat tutto quello che possono con l’intenzione di centrare prima o poi l’obbiettivo. Un disco che potrebbe non piacere a nessuno o piacere a tanti, un lavoro talmente vario da non identificarsi precisamente con qualcosa, io non trovo malvagità evidenti e per almeno cinque o sei brani mi sono addirittura divertito come non mi capitava da molto tempo, Pit-A-Pat poteva essere meglio studiato e concepito almeno per quanto riguarda la linea da seguire ma alla resa dei conti meglio sorridere ogni tanto che non farlo mai. I Madame Blague sono la parte allegra della mia giornata, prendeteli, fate una scrematura dei brani e gustateveli senza troppi pensieri per la testa.
Lawra – Origine
Laura Falcinelli dopo le sue esperienze da vocalist con “importanti e noti” artisti come Negrita e Jovanotti oltre che un esperienza a SanRemo nel 2000 decide di dare spazio alla propria vena artistica registrando il disco d’esordio (tutto suo) Origine cambiandosi il nome in Lawra per omaggiare una città del Ghana a cui evidentemente si sente molto legata, l’Africa gioca un ruolo decisivo per la realizzazione dell’intero disco. Il risultato è un calderone di generi inverosimile, un disco a cui la bella Lawra non riesce proprio a dare una linea artistica precisa, sembra un prodotto esageratamente forzato e maledettamente incoerente. Capisco le intenzioni di miscelare vari generi e capisco la formazione artistica a trecentosessanta gradi di Lawra ma vogliamo anche pensare che quel disco qualcuno dovrà poi sentirlo? Cerchiamo di essere prudenti nelle scelte artistiche, non bastano le varie collaborazioni di spessore per la riuscita di un disco, in questo troviamo Gianluca Valdarnini (Negrita e Roy Paci) e Alessandro Cristofori (Sara J.Morris) più il feat quasi totale di B.B Cico”Z (Roy Paci), fare musica dovrebbe essere una condizione interiore necessaria prima di risultare soltanto apparenza. La voce di Lawra è molto bella e decisamente professionale, non parliamo certo di una emergente inesperta, il suo tono molto caldo e sensuale recupera qualche consenso ad un disco improbabile e senza via d’uscita, il manuale perfetto di come esordire nella maniera più sbagliata possibile. Dieci pezzi che spaziano senza logica dal Reggae alla musica tribale africana passando per accenni di Rock in chiave Dub, qualcosa preso singolarmente riesce anche a salvarsi ma in quel pentolone ribollente non riesco neanche a trovare la forza di ripetere gli ascolti. Un altro caso di artista che non riesce al proprio debutto da solista a lasciare il segno come avrebbe sperato, certe volte è meglio rimanere nella propria dimensione piuttosto che avventurarsi in esperienze completamente negative, ma come diceva un vecchio detto: “Sbagliando s’impara!”.
Lawra troverà la propria dimensione e riuscirà a trasmetterci emozioni con le proprie doti canore che sono certamente sopra la media, per adesso Origine rimane un disco poco incisivo e senza personalità, non aspettiamo altro che rivedere Lawra in una veste tutta nuova e con un lavoro degno della sua fama. La prima questa volta non è andata bene, speriamo nella seconda.
Mom Blaster – We Can do it!
Sembrava di trovarsi di fronte all’ennesima copia dei Cramps dalle prime note del disco ed invece, appena trenta secondi e le note portano verso Bob Marley e Peter Tosh, anche se con una sensuale voce femminile, per poi tramutarsi negli emuli degli Skunk Anansie e viene da pensare che sia incredibile. L’ascoltatore viene quindi spiazzato tre volte nel giro di due minuti (troppa carne al fuoco forse) e lo è ancora di più quando inizia la seconda canzone “From The Beginning” che inizia con riff simili agli Heroes Del Silencio per poi tornare al Reggae.
“Saturdaycomes” ci prova a rimettere le cose in chiaro fallendo miseramente a causa di un’armonica che è l’esatto contrario di come sta il cacio sui maccheroni. Se l’idea è quindi quella di creare una sorta di Crossover all’italiana c’è qualcosa che non va in quanto i generi e le idee proposti sono davvero troppi (a momenti manca solo un assolo Jazz e un orchestra classica). Forse tre anni sono pochi per comporre un disco così complesso (il gruppo si è formato nel 2010 a Lanciano, in provincia di Chieti) che propone un mix tra Reggae, Rock e Pop, utilizzando nuove sonorità in una miscela esplosiva che spazia dal Punk anni ’70, passando dal Pop anni ’80, arrivando fino ad un Rock più contemporaneo. In “Everyone is an African” si perde pure la minima atmosfera creata in precedenza dalla voce femminile essendo cantata per lo più da uomini e si smarrisce anche la via che portava per lo più in Giamaica (il messaggio si rafforza poi ulteriormente con “A four letter words” e “I’m just a ghost”).
Chiudono il tutto “Vicious boy” e “Really gone” e per fortuna tutto è veramente andato verso la fine. Chiariamoci: presi singolarmente sono tutti degli ottimi musicisti, ma vi immaginate cosa uscirebbe formando un gruppo con Malika Ayane, Stewart Copeland, Flea e Steve Vai? (sono i primi nomi di ottimi musicisti che mi sono venuti in mente). Probabilmente ne uscirebbe fuori solo un calderone sonoro, ma forse basta cambiare la formula per migliorare il tutto. A volte è meglio confrontarsi solo con un genere (in questo caso il reggae) senza varcarne i confini.
Palkoscenico – Rockmatik
Napoli colpisce ancora: è un mix esplosivo di Reggae, Dub, Rock ed Elettronica quello che ci donano i Palkoscenico, nella scia dei conterranei 99 Posse e Almamegretta. Dodici tracce in levare, con ritmiche trascinanti e un impianto World che però riesce, almeno per quanto riguarda le liriche, a sfuggire alla noia del già detto, probabilmente grazie ad uno sguardo laterale che sfugge i cliché e le frasi fatte.
C’è però tutto ciò che ci aspetteremmo da un disco del genere, senza inventare granché ma collezionando ciò che serve per colpire a fondo tutto un certo target: materiale a chili per ballare, muovere la testa su e giù, canticchiare sottovoce per strada con Rockmatik nelle cuffie. È un disco solare ma critico, divertente ma con una coscienza, e sicuramente pronto a far scatenare folle festanti dal vivo.
Se non vi piace quel mondo, quel mood, è inutile andare a scavare: ma, altrimenti, Rockmatik è un disco di tutto rispetto, simpatico, confezionato sapientemente e scritto con tutti i crismi del caso. Un compagno gioviale e sincero per un’estate danzereccia.