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Pellicans – Dancing Boy

Written by Recensioni

Mai quanto in quest’ultimo periodo il panorama musicale sembra ispirarsi al passato. Ciclicamente ritornano in voga generi che sembravano destinati a sparire, sonorità che non si sentivano da tempo (spesso con un motivo) vengono ricercate spasmodicamente, si inseriscono strumenti che il corso della storia aveva relegato ai margini, restituendo o conferendo loro per la prima volta il ruolo del protagonista. Il Reggae è un caso a parte: insieme allo Ska e a tutte quelle forme che hanno un legame con la danza, non sono mai davvero passati di moda, ma la band di cui sto per parlarvi si riappropria in modo fedelissimo e al tempo stesso personale di un sound che avrebbe ben poco di europeo.

Arrivano da Pinerolo i Pellicans, una formazione che definisce il proprio genere Queer Reggae perché strizza spesso e volentieri l’occhio all’omosessualità, in aspra critica ai fatti di cronaca che vedono ancora la nostra penisola macchiarsi di atti di violenza dettati da ignoranza, pregiudizio e discriminazione. Dancing Boy, il loro secondo album, è prodotto da Ru Catania degli Africa Unite. Il disco apre con la title-track, “Dancing Boy” e, per me che sono piemontese, è immediato il richiamo ai primissimi Subsonica, mentre il cantato, urlato e lanciato dalla gola, richiama particolarmente quello di Bunna. Si tinge di sonorità pulp direttamente dagli anni ’70 “Vampire”, mentre la dub spadroneggia in “He Cannot Handle it” e in “But we Can Dub it”, una l’ideale prosecuzione dell’altra attraverso lo sfruttamento di un medesimo inciso melodico-ritmico. Più classica è “A Last Gaze of my Dad”, in cui i cori femminili conferiscono un sapore disco anni ’70. La chitarra acustica con cui apre “A Word up There” conferisce a brano un carattere particolarmente fresco, pop, estivo, subito bilanciato dalle atmosfere riflessive e sospese di “Shortcut Circuit”. Particolarmente riuscita, a mio avviso, soprattutto per quanto riguarda gli arrangiamenti, è “Short Dub”, una delicata ballata dub contornata da brevi interventi dello xilofono. “Turmoil” è profondamente imparentata con l’elettronica, mentre “It’s Raining” privilegia di nuovo l’elemento cinetico, sottolineato da un cantato che si libera dalla rigida scansione sillabica solo nel ritornello.

Il disco chiude con “Move on”, una sorta di esortazione, uno sprone: a ballare sì, ma soprattutto a tenere la testa alta, ad andare avanti. Non so quanta fortuna possano avere i Pellicans con questo secondo lavoro, ben realizzato, composto, meditato. Il genere è variegato e ricco di adepti e addetti: si prospetta una grande concorrenza. In bocca al lupo.

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DotVibes – Shine a Light on me

Written by Recensioni

Sarò sincera: per chi non ama particolarmente la musica Regga e l’ascolto di un intero EP riguardante il genere può diventare una vera sfida. Tuttavia, lungi da me l’idea di chiudermi in inutili pregiudizi invece di spalancare le orecchie per ampliare i miei orizzonti musicali (e culturali). Le premesse che accompagnano il disco, tra l’altro, sono delle migliori: il singolo “Now Think About it”, uscito a Gennaio, è stato infatti trasmesso in alta rotazione su Mtv Music. Incuriosita premo play e mi addentro nel nuovo EP dei DotVibes, “Shine a Light on me”. “Ring my Alarm (Last Chance)” comincia a suonare a ritmo di Reggae senza però farsi mancare alcuni riferimenti elettronici: un modo originale per far suonare la sveglia del titolo.  In “I’m Here” gli effetti elettronici continuano a persistere, anche nelle distorsioni della voce, mentre l’intero brano si colora di una tonalità più Hip-Hop.

Con “Non mi Volto Mai” arriva il primo ed unico pezzo in italiano dell’EP (negli altri pezzi la lingua utilizzata è l’inglese) ed il primo brano del disco che vede l’utilizzo dei fiati.  Con “Now Think About me” e “Where Should I go” si ritorna all’inglese, le sonorità elettroniche rifanno capolino ed il ritmo diventa a tratti più sostenuto, un’altro dichiarato tentativo di avvicinarsi in alcuni momenti all’Hip-Hop. Nel primo pezzo, in particolare, di una potente bellezza sono i bassi che si fanno sentire senza nascondersi, insieme ai fiati che ritornano a fine canzone e ben si sposano con i suoni elettronici che accompagnano tutto il brano.

“Dub a Light on me” è un pezzo che si proietta su di uno scenario ancora diverso: quasi totalmente strumentale, diventa a tratti più inquieto perdendo il ritmo spensierato del Reggae che inevitabilmente  trascina verso uno stato d’animo di spensieratezza e relax. Per questo pezzo esiste inoltre una Dub version (non presente nell’EP) che porta la firma di Paolo Baldini. Alla fine del mio ascolto posso ritenermi soddisfatta e contenta di non aver ceduto a qualsiasi forma di pregiudizio. Lo stile dei DotVibes si colora di sfumature sonore, contaminazioni di stili e pluralità linguistiche che lo rendono pienamente originale. Se l’intento del gruppo è quello di rompere gli schemi, a mio parere, l’obiettivo può ritenersi raggiunto.

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Audio Magazine – Audio Magazine BOPS

Written by Novità

Che bella la musica spensierata. Pronta a strapparti un sorriso già dalle prime note e tenertelo stampato in faccia anche solo per una timida mezz’ora. Una serata sulla spiaggia, un falò, vento del Sud, una chitarra e una musica che suona nell’aria più che nelle mani o nelle bocche.
I romani Audio Magazine sono ciò di cui ha spesso bisogno la canzone italiana: un’onda anomala, positiva che ci trasporta su una riva incantata dove la fiesta è appena iniziata. I ragazzi servono un cocktail fresco di Reggae (che forse paga il suo tributo più al revival salentino che alle terre jamaicane) e melodia Pop (ma che più Pop non si può), senza mai scadere però in retorica o facili costumi. E allora “Toda la Vida” e “Sono Qui” sono brani estivi che mi piacerebbe davvero sentire dalle gracchianti casse dei lidi, mentre “Cambierò” azzarda un sound più moderno e aggressivo che mescola alla perfezione le voci di Andrea Cardillo e Francesco Carusi (ok, inutile nasconderlo: è vero che la timbrica di quest’ultimo ricorda Marco Masini?).
Fuori dall’isola felice “Un Sole Spento”, malinconica conclusione che ci riconsegna alla triste realtà. Forse questa potevano risparmiarcela, in un EP tutto fiesta e costume da bagno la ballatona stona e fa da “guastafeste”. Ma non facciamo gli schizzinosi: in un paesaggio stracolmo di nuvole, un EP così rimane un raro raggio di sole che fa risplendere tutti i denti che sfoderiamo al suo ascolto.

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Come Gatti Nell’Acqua – Paranoighnen Activity

Written by Recensioni

Talvolta i musicisti, volendosi allontanare dalle etichettature e dai generi, affermano che la loro musica non appartiene a nessuna categoria ben definita, quando in realtà esiste eccome. Altre volte invece il genere musicale muta, di album in album, facendo allontanare dei fans, avvicinandone degli altri. Oppure per sperimentare al massimo si cerca di non rinchiudersi in una sola idea, spaziando attraverso le diverse combinazioni musicali esistenti, come hanno fatto quattro ragazzi di Predazzo, che in questa realtà si sentono Come Gatti Nell’Acqua. Affermazione molto chiara e condivisibile, data la condizione odierna della gioventù, sballottata tra l’idea del presente e del futuro assolutamente incerto.Tutto questo viene ben raccontato nel loro primo lavoro Paranoighnen Activity, uscito a dicembre 2012 e accompagnato da una brevissima descrizione del gruppo (“suoniamo pezzi originali, spaziamo un po’ qua e un po’ la e soprattutto ci divertiamo un casino”) formato da Tobia alla voce, Eugen alla chitarra e synth, Trudenji al basso e cori e Dalle alla batteria.

Dieci brani i cui testi fortunatamente dicono qualcosa, a differenza di molti altri gruppi emergenti e non, parlando della fede in Dio, dell’esistenza di altre forme di vita, dell’importanza del lavoro, disensazioni malinconiche, della paura, dell’amicizia e della voglia di sognare.  Tutto questo per il gruppo è un modo di comunicare, spesso in rima, quello che nella vita è importante, non pensando sempre all’idea che la scrittura deve sempre parlare dell’amore, della felicità o della tristezza legata ad esso. Spesso nelle canzoni, soprattutto in quelle più commerciali, è così, ed è una noia assoluta, perché dopo il primo brano non c’è più un’idea originale. Quindi i testi che contengono dei pensieri e delle riflessioni, ben vengano. Testi che in questo album vengono espressi attraverso un cantato poco classico, quasi parlato e talvolta sboccato, non inteso con parolacce, più che altro con finali molto aperte e libera intonazione, ma tuttofa parte del lavoro complessivo anche un po’ Punk, che inizia con una parlata alla Lino Banfi per sfociare in un timbro alla Caparezza in “Funky Cristo”. Si prosegue con “Il Blues Degli Alieni” e tutto, voce e accompagnamento, rimane in questa atmosfera, che subito cambia in “Turbopolka Del Lavoratore, in ritmo ternario e intenzione molto popolare, quasi da sagra (che va messa a punto nel ritmo, che talvolta presenta delle indecisioni). Il Funky e il Reggae si mescolano in “Qui Puoi!” con cori che dovrebbero autenticarsi un pochettino. L’atmosfera rock, invece, prende piede in “Botte e Lividi, quinto brano che all’inizio sembra ricordare Vasco Rossi ma poi cambia tangente quasi verso i Deep Purple, come in “Scimmia Maledetta”, simile alla precedente, ma più comprensibile come urlo di sfogo, nel suo breve esistere. “Come Gatti Nell’Acqua, settimo brano dell’album, si apre con un arpeggio suonato sotto il lamento sembrerebbe di un bimbo, che subito scompare per cedere lo spazio al ritmo e cantato incisivo e veloce. “Vampiri” e “Tante coccole” invece, dopo degli intro strumentali abbastanza presenti, si muovono in atmosfere rock, con sonorità simili a tastiere hammond nella prima, e metal che sfocia nello Ska nella seconda, allontanandosi dall’immaginario del titolo che fa presagire una ballata. E per finire “Tu Vuoi Ballare Con Me” è l’ultimo brano che chiude questo lavoro, che per certi versi ha tanti pregi: generi disparati, completamente diversi ma coesistenti, scrittura significativa dei testi e organizzazione musicale pensata. La voce e il colore degli strumenti non fanno impazzire, a differenza della grafica di tutto il disco, molto moderna e particolare, ma questo dipende solo ed esclusivamente dai gusti personali.

 

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