Proprio in questi giorni leggevo sui vari social network discussioni riguardo le possibili combinazioni (soprattutto di strumenti) che gli attuali musicisti dovrebbero adottare per avere un sound “nuovo” che si distacchi dalle solite cose, batterie elettroniche su basi acustiche, voci urlanti su musica classica e tantissime altre mescolanze di questo genere. Siamo tutti tanto stufi della solita minestra che il disgusto a volte precede l’ascolto del disco. I Madame Blague fanno il loro esordio con la DreaminGorilla Records editando il disco Pit-A-Pat che più o meno in italiano dovrebbe apparire come una “pulsazione”. Bene, alla domanda se questo disco risulti fresco e innovativo non mi tocca che rispondere con un secco no. Assolutamente no. E non cade certo il mondo, questo è sicuro, Pit-A-Pat suona vecchio di vent’anni ma non riempie affatto il mio stomaco di aria fetente, anzi. Lo trovo simpaticamente allegro e capace di suscitare contrastanti sensazioni durante l’ascolto, non tutto il vecchio viene per nuocere. Il disco si apre con “Join Us” e rimango colpito dalla volontà di rielaborare suoni quasi Hard Rock anni novanta, non sentivo il bisogno ma la cosa non mi dispiace affatto. “The Circus Never Stomps” vive di dure chitarre con voci e ritmiche Indie Rock, quello inglese per intenderci, molto movimento se no fosse per quegli assoli di chitarra troppo preistorici e pesantoni. Ancora movimento in “Escaped Whisper”, peccato ancora per gli assoli. Poi “ Tell Me” è una ballatona (fatta di voce e vocine) che somiglia troppo a quelle cose insostenibili che gli americani sono tanto bravi a fare. Gli altri due pezzi a seguire viaggiamo sempre sulla stessa cosa, francamente niente di rilevante. Vorrei che tutto andasse avanti il più velocemente possibile. E poi si ritorna a qualcosa di diverso e apprezzabile quando inizia il brano “Before”, una simpatica melodia alla Annie Hall con approccio da nave da crociera. Una scommessa vincente che diverte. Poi il disco si lascia gustare fino alla fine tra lampi, tuoni e sole forzatamente Reggae. Nel complesso i Madame Blague impegnano le loro capacità artistiche nella realizzazione di un album molto strano e variegato che a volte scazza altre piace, mettono dentro Pit-A-Pat tutto quello che possono con l’intenzione di centrare prima o poi l’obbiettivo. Un disco che potrebbe non piacere a nessuno o piacere a tanti, un lavoro talmente vario da non identificarsi precisamente con qualcosa, io non trovo malvagità evidenti e per almeno cinque o sei brani mi sono addirittura divertito come non mi capitava da molto tempo, Pit-A-Pat poteva essere meglio studiato e concepito almeno per quanto riguarda la linea da seguire ma alla resa dei conti meglio sorridere ogni tanto che non farlo mai. I Madame Blague sono la parte allegra della mia giornata, prendeteli, fate una scrematura dei brani e gustateveli senza troppi pensieri per la testa.
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Riccardo Bellini – La gentilezza nelle cose
Recita il vocabolario Treccani: gentilézza s. f. [der. di gentile]. – La qualità propria di chi è gentile, nei varî sign. dell’aggettivo:g.d’aspetto, g. di modi; e in senso morale: g. d’animo, di costumi,di sentimenti. Più com., amabilità, garbo, cortesia nel trattare con altri: persona di squisita g.; la sua innata g.; è di una g. rara, incomparabile; per g., formula di cortesia nel chiedere un favore, un’informazione e sim.
Ecco: io non credo di essere un recensore gentile per indole e questo è un elemento importante da tenere in considerazione per valutare il mio approccio a La gentilezza nelle cose, prima fatica discografica di Riccardo Bellini. Milanese, portavoce di quella generazione over30 ancora legata ai propri ruggenti vent’anni ma costretta a scontrarsi con una realtà per la quale è già ora di farsi una famiglia e invecchiare tra routine e responsabilità, Riccardo realizza questa demo di 5 tracce e la suona in giro per il nord Italia, al momento accompagnato da Paolo Perego, Riki Testorini e Maurizio Fusco, tutti strumentisti che hanno già militato in altre formazioni e che possono vantare una certa esperienza. Di per sé il prodotto è impeccabile. Un bel packaging fresco, una copertina finalmente chiara in un panorama di indie-produzioni dalle diverse tonalità di depressione che fanno un baffo alle celeberrime cinquanta sfumature di grigio.
Sono partita ben predisposta insomma, ma dai primi secondi di La tribù, traccia di apertura, ho dovuto ricredermi. Intanto la melodia vocale si muove su un tappeto ritmico elettro-dance che invece di esplodere in un ritornello incalzante semplicemente sparisce e lascia spazio a chitarre acustiche e dita schioccate. Ah. In secondo luogo: si scrivono davvero ancora i testi in rima? Con le sillabe tronche? O con i verbi all’infinito come nel secondo brano, I tuoi diari? Davvero? Un cantautore dovrebbe avere dei testi incredibili prima di arrangiamenti accattivanti. Ma Riccardo non è uno dalla voce fumosa e l’istigazione reazionaria. Vocalmente ricorda Niccolò Fabi con un certo tocco anni ’80 più alla Samuele Bersani. Non è uno Zibba, per intenderci. Bellini ha una vocalità leggera tutta italiana ma non belcantistica, pop ma non virtuosa e una scrittura letteraria quasi infantile, che giova a quella primaria sensazione di leggerezza che avevo provato alla vista del demo, ma che lo priva bruscamente dello spessore estetico di cui dovrebbe alimentarsi un artista degno d’essere chiamato cantautore. Costruzioni articolate o semplici, lessico quotidiano o ricercato, non ha importanza: deve riuscire ad arrivare un messaggio prepotente, che catturi l’ascoltatore e che releghi in secondo piano l’abilità dei musicisti. Riccardo non ci riesce. Ci prova, seriamente, in Lettera per lui, costruita a grandi sezioni (accompagnamento pianistico, andamento più folk per il ritornello, sezione parlata e sussurrata), come a voler dare sfoggio di una certa attenzione che indubbiamente c’è: l’impressione però è che sia proprio sbagliato l’investimento emotivo, come se non si centrasse il punto della questione. Parafrasando gli Afterhous, Riccardo ha tutto in testa, ma non riesce a dirlo.
La gentilezza nelle cose, insomma, va bene, ma non basta a farsi largo nel panorama emergente.