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Rockambula ospite a Tutti i Topi Vogliono Ballare!

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Tutti i Topi Vogliono Ballare è un programma radiofonico nato da un’idea di Paolo Tocco, guru della Protosound Polyproject (studio di registrazione, etichetta, ufficio stampa, ecc…) e realizzato con Giulio Berghella negli studi della stessa etichetta.
Si tratta di un contenitiore di un’ora con ospiti rigorosamente live, incontri telefonici con artisti di tutta italia e tanta tanta musica dalla nuova scena musicale italiana; e non solo, c’è spazio anche per la musica live!!!!!! E a chiudere ogni puntata la rubrica delle rarità di Fernando Fratarcangeli: un brano rarissimo tratto dalla sua collezione privata.

Anche il nostro direttore Riccardo Merolli e il capo redattore Silvio “Don” Pizzica sono stati ospiti della puntata che andrà in onda questo pomeriggio su OkMusic, alle ore 17:00 e quindi sul sito della Protosound. Tra le tante cose, si parlerà di Rockambula, della scena musicale indipendente, di cosa significa promuovere gli emergenti e poi si parlerà di Streetambula, la parte di Rockambula atta a organizzare contest ed eventi, si parlerà della finale di Streetambula prima edizione, tenutasi lo scorso 31 agosto e ascolteremo alcuni brani delle band in gara, dai vincitori De Rapage, fino ai parimerito A’ L’Aube Fluorescente e quindi la rivelazione The Suricates.

Appuntamento rimandato a oggi pomeriggio dunque, vi aspettiamo!

Streetambula
Protosound
Tutti i Topi Vogliono Ballare

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Alfabox – Alfabox

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Una botta di puro Rock senza delicatezze inconcludenti, il ritratto di una violenta generazione insoddisfatta, il terzo omonimo lavoro degli Alfabox racconta tutta la sofferenza della vita negli anni dieci (in Italia). Ci vuole molto coraggio intellettuale per sparare Rock a brucia pelle. La band udinese svela tutta la propria rabbia con una registrazione in presa diretta figlia della naturalezza compositiva, le sbavature inevitabili (dovute appunto alla registrazione in presa diretta) vengono lasciate appositamente per confermare il semplice impatto che gli Alfabox vogliono lasciare. Nudi e crudi senza censura. “Ormai è Troppo Tardi” apre il disco nel migliore dei modi, basso pesante energicamente Stoner e voce notevolmente alta (quasi Heavy), il testo non lascia speranza alla tremenda situazione lavorativa dei giorni nostri. Bisogna picchiare duro sopra certi maledetti argomenti.

Alt Rock meticoloso come il miglior Teatro Degli Orrori agli albori in “Miracolo Italiano”, da incorniciare la frase del testo “Sarò un precario ma vivo a Milano”. Perché se non era chiaro i testi sono tutti in italiano e precisamente mirati. Molto diversa e dalle parvenze simil elettroniche con cantato (quasi) filastrocca in “Aspetta e Spera”, comunque sia la digeribilità è immediata. E a questo punto potrei sentirmi già parecchio soddisfatto del disco degli Alfabox ma siamo soltanto alla traccia numero tre. Sulla stessa linea armonica della precedente ma con una batteria scintillante e riff più delicati viene in ascolto “La Mia Città”. Il disco sta cambiando decisamente direzione adesso, molta morbidezza attende le mie orecchie, i testi rimangono crudi. Le tastiere circoscrivono “Prima di Dormire”. Direzioni Diverse oserei dire. Arpeggi solari e tratti da ballatona efficace quando arriva il momento di “Ghiaccioli”, la forza del disco e soprattutto nella varietà di proposta e nelle scelte sempre spiazzanti. Torno a sentire nuovamente quella cattiveria dell’inizio in “Il Morbido Cecchino”, la durezza  delle chitarre abbraccia senza fatica motivetti Progressive, sembrerebbe di percepire quasi un omaggio alla PFM. Ma quello che la musica trasmette è sempre soggettivo, sarà la mia vicinanza geografica con la patria di Franz Di Cioccio a giocare brutti scherzi. Sonorità Rock medio orientale (ci siamo capiti no? Forse) nella punkeggiante “La Nostra Primavera Araba”, sensazioni altalenanti in meno di tre minuti, distorsioni tirate al massimo. Killing an Arab? Chiusura in grande stile Indie British Rock per gli Alfabox, chitarre ben pettinate e saltello che viene spontaneo, non ci stancheremo mai di certa roba almeno fino a quando siamo mentalmente giovani e freschi. L’intero lavoro è stato registrato con Enrico Berto in una baita di montagna (Mashroom Studio) in cinque giorni, l’idee erano molto chiare e io degli Alfabox non butterei via nulla. Un lavoro carico di energia che vuole soltanto essere ascoltato, una bella legnata sui denti.

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Madaus – La Macchina del Tempo (Disco del Mese)

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Il nuovo anno è sempre un rischio, o meglio, una roulette russa senza precedenti. Vero che lasciamo dietro le spalle tanta merda ma con gli anni ho imparato che al peggio non c’è mai fine. Il nuovo anno in musica arriva alle mie orecchie tramite l’esordio discografico dei Madaus che propongono un concept dedicato alle tante sfaccettature dello scorrere del tempo chiamato (appunto) La Macchina del Tempo. Il disco parte subito in maniera eccelsa con “100 Cani”, la voce di Aurora Pacchi impazzisce il mio stato d’animo regalando perle di vocalità classica con una tecnica spaventosa. Il disco avanza come non ci fosse un domani e la musica dei Madaus concede intrecci Funky Blues dai ritmi incalzanti. “La Macchina del Tempo”, pezzo che titola l’album, è liberamente ispirato ai graffiti lasciati dal degente Oreste Nannetti sulle mura del manicomio di Volterra (la città di Volterra gioca un ruolo fondamentale sulla creazione del disco, tutto sembra girarle attorno, il nucleo imprescindibile dell’intera opera prima). Questo brano minaccia volontariamente il mio stato mentale attualmente fresco e tranquillo, il pianoforte marca solchi leggiadri cavalcati dalla voce ancora una volta impeccabile  di Aurora (con la voce riesce a simulare strumenti che nel disco non esistono fisicamente). Pianole a ventola anni sessanta e tanta malinconia in “In Nero e Bianco”, brano molto classico e personale guidato sul finale da una batteria impertinente. Da lasciarsi accarezzare con cura nelle canzoni  che seguono “Invitago” e “Temp0”, il tempo che passa inesorabile lascia segni indelebili sul volto e sulla coscienza, Aurora cerca di fermare il tempo, a volte ci riesce e a volte no. A  volte parla seriamente, a volte inizia a giocare. Ballata delicata e sofferente quella chiamata “Pre-Potente”, rabbia raccontata da riff risolutamente più duri rispetto alle precedenti composizioni, la tempesta e poi subito la quiete. Emozionale come non mi capitava da tempo, penso a qualcosa degli anni novanta ma è solo una non credibile supposizione. “Io Non so” invece rappresenta la parte sperimentale de La Macchina del Tempo, in questa fase i Madaus riescono a dare un senso diverso all’intero album sterzando bruscamente verso altre strade. Il risultato non inganna quando la tecnica e le idee vanno maledettamente di pari passo. “Ombre Cinesi” chiude il disco in maniera elegante e sincera, un compito importante assegnato ad una canzone diversa e stranamente strumentale dagli accenni curiosamente Post Rock. I Madaus sono la bella provocazione di questo fresco duemilaquattordici appena iniziato, un disco d’esordio che non lascia spazio a brutte considerazioni, mantenere questi livelli in futuro significherebbe posizionarsi tra i grandi artisti. La voce di Aurora è perfetta e senza togliere merito al resto della band potrebbe adirittura cantare senza base per quello che mi riguarda, ma l’unione quasi sempre sviluppa forza e i Madaus attualmente sono una forza.

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Le Top 3 italiane del 2013 dei singoli redattori!

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il-tricolore-la-bandiera-italiana

Silvio “Don” Pizzica
InSonar/Nichelodeon – L’Enfant et le Ménure / Bath Salts
Due creature distinte, una neonata, InSonar, l’altra vecchia conoscenza dell’Avant Prog, Nichelodeon, ruotano entrambe attorno alla figura di Claudio Milano. Uno split composto di quattro cd per due parti. I primi due firmati InSonar sono avvolti in un booklet contenente alcune opere di Marcello Bellina (in arte Berlikete) e quindi mosaici di Arend Wanderlust. Il progetto di Claudio Milano e Marco Tuppo vede la partecipazione di sessantadue musicisti da tutti i continenti. Il terzo e quarto cd, a firma Nichelodeon, vedono un booklet che contiene i dipinti e le poesie visive di Effe Luciani e le foto di Andrea Corbellini. La musica che è contenuta è un tripudio di Rock Sperimentale, Jazz, Progressive, Pop, Cantautorato, Ambient, Psychedelia e tanto altro. Difficile spiegarlo in poche parole.
Deadburger Factory – La Fisica delle Nuvole
Il collettivo work in progress, definito in questa circostanza “factory”, confeziona tre dischi sensazionali, ognuno vivo di una propria essenza, eppure capace di collimare nell’altro con efficacia. Musica sperimentale per gente normale.
Twomonkeys – Psychobabe
I due fratelli bresciani affermano il loro ruolo nel panorama elettronico italiano, rivelandosi come l’alternativa tricolore agli Animal Collective. Il loro è un album che deve tanto alla psichedelia di Panda Bear e soci ma disdegna incursioni nel mondo Indie e Garage Revival e nella sperimentazione matmosiana.

Marco Lavagno

Albedo – Lezioni di Anatomia
Un disco geniale. Ogni brano è un organo del nostro corpo. Indie rock che suona fresco, dinamico, melodico, forte come una voce che risuona nella nostra cassa toracica. Un lento viaggio emotivo dalla testa ai piedi.
Nadar Solo – Diversamente Come?
Potenza e testi generazionali. Il suono della band torinese è senza fronzoli, incredibilmente moderno. Canzoni per sognatori che si schiantano a terra ma non perdono mai il coraggio di sognare ancora. Nulla di più necessario al giorno d’oggi.
Perturbazione – Musica X
E’ stato etichettato, ancora prima di uscire, come il disco “elettronico” di un gruppo che ha sempre integrato le corde (non solo quelle della chitarra) al suo tratto somatico. Max Casacci entra prepotentemente nel sound e lo “perturba” senza snaturare la sua semplicità. Un applauso al coraggio e alle grandi canzoni che questi ragazzi riescono ancora a scrivere dopo 25 anni.

Diana Marinelli
Carmilla e il Segreto dei Ciliegi – Anche Se Altrove
La musica come essenza di infiniti mondi mentali. Anche se Altrove è una porta, un varco che se attraversato porta ad un’esistenza parallela fondamentale per ricominciare un nuovo viaggio, sulle vie e sulle emozioni di una vita già vissuta, forse da cui prendere esempio. Un lavoro molto interessante, studiato e soprattutto vissuto nel tempo.
ILA & The Happy Trees – Believe it
Roba da donne. E se questo significa bel timbro, bella musicalità e bell’intonazione, sia in italiano che in inglese, allora sì, è roba da donne. Tante persone, tanti colori e tante esperienze che si incontrano per un album per certi versi solare, dove protagonisti siamo tutti noi con la voglia di fare tanto e di lavorare per cambiare ciò che ci sta stretto. Una musica che lascia addosso belle sensazioni e belle emozioni.
Bruno Bavota Ensemble – La Casa sulla Luna
Il fascino di una melodia malinconica e di un pianoforte senza tempo, che però il tempo ce l’ha eccome e non solo uno preciso di metronomo ma un tempo di un determinato momento storico musicale, quello minimale/contemporaneo. Un lavoro che impone tanti interrogativi ma che ho rivalutato nel corso del tempo grazie alle sensazioni che lascia addosso. Sensazioni sincere.

Simona Ventrella
Fast Animals and Slow Kids – Hybris
I ragazzacci perugini hanno confezionato un secondo album esplosivo nel quale non mancano talento, energia e passione a tutto gas. Probabilmente quest’album rappresenta per loro un vero salto di qualità, che li ha portati in giro per l’Italia con un lungo tour e li ha fatti conoscere e apprezzare ad un pubblico maggiore.
Appino – Il Testamento
Primo lavoro solista del frontman degli Zen Circus da dieci più, testi profondi e mai banali, cantautorali al punto giusto conditi da un sound deciso, cupo e decisamente Rock.
Green Like July – Build a Fire
Terzo album per il gruppo milanese  che ci offre un lavoro ricco e variegato impreziosito dagli arrangiamenti di Enrico Gabrielli. Una tavolozza di colori e atmosfere che ti catapultano in altrettanti mondi sonori. Il cambiamento rappresenta per questo lavoro il leitmotiv che giuda le nove tracce verso un Pop fresco e moderno.

Riccardo Merolli
Soviet Soviet – Fate
Fate è ipnotico, avvolgente, straniante, di quei dischi in cui perfino le imprecisioni ti sembrano messe ad arte. I Soviet Soviet dimostrano appieno di aver digerito la lezione New Wave e Punk.
Cosmo – Disordine
Immaginate Lucio Battisti catapultato negli anni dieci sopra una DeLorean con tutte le diavolerie tecnologiche di questo periodo storico e l’intenzione di incidere Anima Latina, il risultato sarà un disco terribilmente Elettro Pop.
Albedo – Lezioni di Anatomia
Disco bomba. Arriva dritto dentro lo stomaco, Post Rock emozionale e testi bellissimi. Meritano veramente tanto gli Albedo.

Marco Vittoria
Appino – Il Testamento
Difficile staccarsi dal cordone ombelicale, soprattutto se “la mamma” in questione è un’entità chiamata Zen Circus formata da tre validi musicisti che insieme formano un vero e proprio treno sonoro… Tuttavia Appino esprime a pieno la sua creatività artistica in questo lavoro, suo esordio da solista, non rinnegando il passato ma gettando anche le basi per un nuovo futuro… Mi chiedo quindi… Come suoneranno i nuovi Zen Circus nel 2014?
Gazebo Penguins – Raudo
Il trio emiliano torna ad imporsi come una delle realtà sonore migliori italiane a soli due anni di distanza dal precedente lavoro, “Legna” con una potenza e una grinta senza eguali che si distinguono sin dalla prima traccia “Finito il caffè”, pubblicato anche come singolo in contemporanea all’album. Messaggio per le generazioni di oggi: lasciate perdere gli artisti che emergono dai talent in tv e ascoltatevi un prodotto genuino e vero dell’underground.
Lolaplay – La Città del Niente
Loro ironicamente dicono in una canzone del disco: “non comprate questo disco e non ascoltate i Lolaplay o ucciderete anche voi la buona musica!”. La buona musica è invece tutta qui, sempre in bilico fra il Noise dei Marlene Kuntz, la New Wave anni ottanta e il Rock dei Dandy Warhols… Interessante vero?

Lorenzo Cetrangolo
Ministri – Per un Passato Migliore
Il Rock popolare italiano come dovrebbe essere oggi. Spigoloso e orecchiabile, potente e sentimentale. Una produzione ruvida per un disco da consumare.
Selton – Saudade
Brasiliani trapiantati a Milano, i Selton creano un disco veramente pop, nel senso più alto del termine. Non c’è una nota fuori posto, tutto scorre liscio e comodo, ma senza banalizzare nulla. Una delle migliori band in circolazione.
In Zaire – White Sun Black Sun
L’underground italiano, quello che spacca tutto. Tribali, energici, psichedelici. Un disco strumentale che ti rivolta il cervello come un calzino.

Vincenzo Scillia
Sophia Baccini’s Aradia – Big Red Dragon
Un disco proposto da un artista dalle mille sfaccettature. Particolare su ogni fronte, una ventata di freschezza ed un cavallo di battaglia dell’ etichetta.
Corde Oblique – Per le Strade Ripetute
La musica di Riccardo Prencipe è ormai un manifesto del Sud, di Napoli, dei Campi Flegrei. Questo un lavoro ispirato e sviluppato con tanta passione. Tutto ciò non fa altro che assegnare punti ai Corde Oblique oramai una certezza.
Lili Refrain – Kawax
Kawax di Lili Refrain è un disco sperimentale, atmosferico. E’ un irrefrenabile viaggio mentale accompagnato da colori neri come l’ oscurità, rosso come la passione ed un sinistro verde scuro. Insomma una perla di questo 2013.

Giulia Mariani
Luminal – Amatoriale Italia
Distorti, veloci ed incazzati, con Amatoriale Italia i Luminal hanno fotografato e descritto al meglio lo scempio di quest’Italia marcia, corrotta, bigotta e intrappolata tra luoghi comuni inutili e finti alternativi contornati d’oro. Una botta di adrenalina pura!
Ekat Bork – Veramellious
Di origine russe ma stabilita nella svizzera italiana da una vita, Ekat Bork crea atmosfere elettroniche ispirate ad ambienti naturali come boschi e fiumi, condendo infine il tutto con una voce alla Florence Welch. Un album unico, che si contraddistingue per un’innegabile ricerca sonora, cura dei dettagli ed arrangiamenti complessi che rendono Veramellious un’esperienza d’ascolto dentro e verso un’altro mondo, un mondo fantastico ed etereo.
Miranda – Asylum: Brain Check After Dinner
Il trio fiorentino ritorna dopo quattro anni sfornando un concept album per reclusi e disadattati, tra grida di rivolta, suoni sintetizzati ripetitivi, attitudine punk, e chaos organizzato. Non so, sara’ perchè mi piacciono i piu’ internazionali Atari Teenage Riot, ma il fatto che Asylum: Brain Check After Dinner mi spacchi la testa ogni volta che lo ascolto mi fa impazzire!

Maria Petracca
Umberto Maria Giardini – Ognuno di Noi è un po’ Anticristo
Un viaggio psichedelico all’interno di sé stessi, sottoforma di EP. Severamente vietato a chi ha paura di guardarsi dentro fino in fondo, a chi non ha il coraggio di scoprire che non siamo né Santi né Eroi, come amiamo dipingerci. Perché c’è del bello e del brutto in ognuno di noi. In fondo, “Ognuno di Noi è un po’ Anticristo.
Dimartino – Non Vengo più Mamma
Anche in questo caso di EP si tratta. Chi aveva ancora dubbi sulle capacità cantautorati di Dimartino, con questo disco vedrà svanire ogni forma d’ incertezza. In più avrà modo di stupirsi di fronte ad un lavoro ricco di sperimentazioni: elettronica e cantautorato che vanno a braccetto per strada. A mio parere un esperimento riuscito. Fortunato chi ha potuto goderselo anche in versione live.
Perturbazione – Musica X
Ancora un sound più elettronico rispetto a quello dei dischi precedenti, ancora un esperimento riuscito per chi, da anni, propone una forma di Pop Rock d’autore capace di affrontare in modo leggero, ma mai banale, le varie tematiche legate alla vita quotidiana (e allo scazzo che irrimediabilmente ne deriva) e non solo. Nel 2014 avremo modo di ascoltarli anche a Sanremo.

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E qui comando io! L’Abruzzo non andrà mai su MARTE (live)

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“E qui comando io e questa è casa mia” cantava nel settantuno una folkloristica Gigliola Cinquetti sotto gli occhi divertiti di una giovane Raffaella Carrà. Di anni ne sono passati veramente tanti ma quella canzone descrive alla perfezione il solito modo italiano di affrontare le cose. In tutte le maledettissime cose. Un’altra volta mi trovo a presenziare in quel di Teramo (o quasi) ad una manifestazione il cui nome non è certamente terrestre e questa volta addirittura ci troviamo a consegnare un premio Rockambula a una band emergente a nostro personalissimo piacere (e qui comando io!); promozione sul sito, roba che a noi piace fare dove possibile.

Poi una giuria esperta e qualificata di cinque membri doveva (il “doveva” non è scritto a caso visti gli sviluppi) analizzare e votare le cinque povere band arrivate dopo tante sciagure alla tanto sofferta finale dove si giocavano l’acceso alle fasi finali nazionali di Roma del contest marziano. Ma vuoi mettere l’emozione di esibirsi sopra un grande palco? E poi una finale è sempre una finale. A incrementare il parere  dei giudici senza ombra di dubbio competenti una percentuale pari al venticinque percento delle preferenze veniva tirata fuori dal voto del pubblico che poteva votare ogni qualvolta consumava da bere (e qui vogliamo capire l’incentivo alla consumazione ma basta giocare in casa e investire neanche troppo forzatamente in alcol e una fetta si è già conquistata).

Ma queste purtroppo sono cose alle quali nessuno può attaccarsi più di tanto e che alla resa dei conti non condanno spudoratamente, i costi ci sono e coinvolgere in qualsiasi modo possibile il pubblico che rischierebbe di appassire ci sta . La serata scivola via come al solito, le band suonano e danno vita a un concerto piacevole e molto variegato nei generi, nello stile, nella tecnica e mancava come sempre quella diversità di progetto (innovazione) vista soltanto in piccole occasioni. Tutto finisce, i giudici (alle mie spalle) consegnano le loro preziose schede piene di numeretti e l’incaricato anche lui giudice raccoglie il materiale e da qualche parte nel locale inizia una drammatica lotta con il conteggio dei punteggi dovendo considerare anche l’importante voto espresso dal pubblico (largo spazio all’immaginazione). Passa il tempo necessario e l’attesa in sala diventa anche piacevole se baciati sulle labbra da una bella bionda non baffuta ma dalle bollicine effervescenti. Intanto io assegno il mio premio Rockambula in assoluta autorità, e qui comando io! Arriva il momento, qualcuno che non identifico (ho tolto gli occhiali perché ci vedevo troppo bene) sale sul palco e annuncia il vincitore di ogni categoria (Rockambula, passaggi radio, Life on Mars) ripetendo sempre lo stesso nome sotto un’ovazione straordinaria del pubblico presente.

Cazzo amplein! Non c’è trippa per gatti… penso. Ma dietro di me una giuria quasi pietrificata spruzza amarezza dagli occhi non riconoscendosi in quello che era stato annunciato nel microfono, una giuria ormai stremata dalla poca autorevolezza e professionalità che gli è stata attribuita. Vago nel locale e raccolgo l’agonia giustificata dalla sconfitta delle band in concorso (ma questo era scontato qualsiasi verdetto fosse stato emesso), mi giro ancora in tutti gli spazi del locale per cercare qualsiasi appiglio mi desse conforto per capire quella che stava diventando una situazione surreale e decisamente imbarazzante. Vince una band di Teramo sotto un organizzazione di Teramo? Butto un orecchio di qua e scopro che i giudici non potevano assistere al conteggio delle votazioni e che tutto era stato fatto in un misterioso quanto affascinante privè alla presenza di persone di cui non è dato sapere l’identità. L’aria diventa sempre più irrespirabile, la situazione insopportabile. Vado via ma vogliamo tutti vederci chiaro. E lo faremo. ““E qui comando io e questa è casa mia” sembra al momento l’ipotesi più accreditata a svelare questo velenoso arcano. Vediamo cosa avranno da raccontarci le band e gli addetti ai lavori nei prossimi giorni, noi lanciamo il sasso ma la mano rimane tesa in alto…

Queste le band in viaggio per Marte, cercate voi cosa è successo.
THE OLD SCHOOL
TRE TIGRI CONTRO
STATI ALTERATI DI COSCIENZA
SHIJO X
PERCEZIONESESTOSENSO

Qui un approfondimento!

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MyBad – Parabellum

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In un certo senso non tutte le cose arrivano per nuocere, non sempre qualcosa apparentemente in vecchio stile infastidisce l’approccio mentale che un ascoltatore tipo cerca di mettere nelle proprie esperienze. Insomma quel sound stravecchio sentito e risentito riesce delle volte a regalare piccole pillole di zucchero superando, anche se per poco tempo, l’amarezza della banalità. Questo succede quando quattro ragazzi con esperienza decennale (soprattutto Punk Rock) nella musica live prevalentemente locale decidono di unirsi per dare vita al progetto MyBad e registrare il loro disco d’esordio Parabellum uscito sotto etichetta Red Cat Records. Parabellum unisce la velocità prettamente testata nel Punk Rock melodico commerciale e l’orecchiabilità di quelle band adolescenziali come Blink 182 o come i nostrani Finley, un mix di aggressività poco impegnata e voglia di avere quattordici anni. “Fly” apre il disco e sembra essere poco intenzionata a lasciare il segno, molto intensa nel cantato (in italiano badate bene) e con chitarre che suonano davvero bene mentre l’incazzatura nel finale scivola nella routine.

Basso in grande stile nell’apertura di “Mondo Perfetto”, un testo poco impegnato ma simpaticamente efficace recupera un sorriso involontario ma sincero. Sensazioni troppo contrastanti nell’andare avanti e ricordo che comunque all’uscita del tunnel c’è sempre qualcosa di buono. O meglio, c’è sempre la luce. “Madre” suona come un pezzo molto intimo e sembra discostarsi dai brani ascoltati fino a questo momento, una ballata con i suoi momenti emozionali per capirci, neanche una traccia di Punk questa volta  per i MyBad. Poi torniamo a ritmi forsennati e decisamente più consoni all’attitudine della band in “Mika Facile” (Mika o Mica? È scritto in entrambi i modi nell’artwork) e sembra di ricordare quel ritornello che più o meno suonava così: “Diventerai una star…na na na… Una celebrità…na na na”. “Lucifero” senza un motivo preciso suona Nu Metal pesante, una versione Grind dei Linea 77 di Ketchup Suicide, i MyBad sono intenzionati a rompere i timpani e fanno di tutto per non lasciarsi intimorire dagli eventi che si potrebbero scatenare da questa dura melodia. Della serie noi spacchiamo tutto.

“Apollo 20” chiude Parabellum e lascia una ventata di speranza nelle intenzioni di questi musicisti, la canzone più personale dell’intero lavoro che tolto qualche infeltrito riff potrebbe sembrare una retta strada da seguire per impegnarsi a composizioni meno omologate. Parabellum dei MyBad trova sicuramente la propria fetta di pubblico e sarei curioso di assistere a una live performance per saltare e bere birra come non ci fosse un domani, il problema è che quattordici anni li ho superati da un pezzo e per lasciarmi di stucco ci vuole ben altra situazione; comunque sia i MyBad hanno un loro perché. Scopritelo.

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L’Inferno di Orfeo – L’Idiota

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Passano due anni dal precedente Canzoni della Voliera e tornano i piemontesi L’Inferno di Orfeo con L’Idiota, un disco decisamente irriverente e con sfumature di Rock da buttare giù a grandi sorsate, rivoluzione interiore al passo con i tempi moderni sempre più bui. L’Idiota nasce sulla base dell’istinto, i pezzi vengono buttati energicamente senza rifletterci troppo, si passa poche volte verso la parte della ragione e i componimenti risultano crudi e viscerali nonostante i riff esprimano in qualche modo una miscela di tristezza e allegria. “La Manovra” apre l’album con una classica canzone italiana dai variegati paragoni di confronto ma con una freschezza comunque personale che narra di un mozzo alle prese con le proprie considerazioni rivolte al capitano della nave incapace di condurla. “La Guerra è Qui” è un pezzo molto interiore fedele alla classica tradizione del Rock leggero cantautorale made in Italy, un modo per riflettere sui sconsiderati atteggiamenti della vita quotidiana. Ballatona dai toni tristi per capirsi meglio.

Non rimango certamente di umore buono. Chitarroni Rock in “Arrampicate” dove L’Inferno di Orfeo tira fuori le proprie radici Prog Rock che non seguono esattamente il passo di quello attuale, sound molto “vecchio” ma non del tutto arrugginito. Si cerca di fare Blues con la traccia “L’Amore ai Tempi del Barbera” e in qualche modo il risultato risulta piacevole nonostante la mia attenzione è rivolta più verso il testo e la voce simil bruciata dalle sigarette che sulla musica. “L’Arte della Manutenzione” dovrebbe essere un brano dal ritmo incalzante ma non riesco mai a lasciarmi trasportare e l’effetto divertimento in poco tempo si trasforma in noia mortale. Non sono abituato a cambi improvvisi di genere, ogni pezzo sembra appartenere ad una diversa band, faccio fatica a rimettere insieme i pezzi. “Col Senno di Voi” inizia a dare il giusto senso al mio ascolto, sarà quella spiccata somiglianza (soprattutto nell’intro) a “Color me Once” dei Violent Femmes o quell’Ambient più cupo, una buona prestazione.

Il pezzo che titola l’album “L’Idiota” è una cavalcata in stile Folk e anche qui trovo piccole ma piacevoli sorprese, forse per la somiglianza voluta all’Indie Folk dei Marta Sui Tubi. L’Inferno di Orfeo descrive “Il Paese che Dorme” come una favola dei giorni nostri immortalata da una polaroid ed effettivamente si sente la paura di sentirsi abbandonati, le sensazioni impazziscono e il brano merita davvero la giusta considerazione. Per la prima volta durante l’intero ascolto de L’idiota sono riuscito a sentirmi sullo stessa frequenza de L’Inferno di Orfeo, riesco a metabolizzare il contenuto e renderlo in qualche modo personale. Ancora Rock che purtroppo non digerisco in “Uguale il Mare”, giuro di essermi impegnato ma la stanchezza delle idee prende il sopravvento. Non trovo il metodo di contatto. Il disco si chiude con “Paola” e gli strumenti elettrici lasciano spazio a quelli acustici per una canzone delicata e dolce quanto un brano dei Negramaro con la voce a fare da padrone. Fermamente senza fissa dimora il mio giudizio verso L’Inferno di Orfeo, quello che non mi piace eguaglia quello che mi piace e la confusione alla fine lascia L’Idiota tra quei dischi che di certo non segneranno quest’annata musicale. Insomma, c’è tutto per fare il salto di qualità basta scegliere la strada da intraprendere.

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Concorsi e contest per band emergenti: vera promozione o pura speculazione?

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Qualche tempo, fa con la mia band mi è capitato di partecipare a un concorso per gruppi emergenti. Non farò il nome né della band né del contest, perché il mio scopo è solo riflettere un momento sulla tendenza, vigente da parecchio e ogni anno sempre rinverdita da qualche filantropo più o meno sincero, di organizzare rassegne con la formula dell’agone musicale. L’obiettivo è ogni volta il medesimo: dare occasione alle giovani formazioni di esibirsi su un palco più o meno prestigioso, ottenere premi più o meno rinomati e costosi, uscire dal proprio contesto urbano e poter suonare in location a cui difficilmente si sarebbe potuto accedere. Ma è tutte le volte vero?
Nel caso specifico dell’ultimo concorso a cui ho partecipato l’associazione organizzatrice richiedeva 30€ a gruppo come quota di partecipazione. E fino a qui ok. Ce ne sono di molto più cari e in quattro la cifra procapite diventa irrisoria. Il contest è organizzato nel capoluogo di regione (che da noi dista 55 km) oramai da diversi anni; le varie fasi eliminatorie prevedono di itinerare per un po’ di locali finendo con la fase finale in un super posto parecchio rinomato.

La prospettiva di passare qualche fase di selezione e inanellare un po’ di date in locali in cui diversamente non avremmo potuto suonare (perché sei di fuori, non porti gente), non ci dispiace affatto. La registrazione del singolo con videoclip, prevista come premio del vincitore, non ci interessa assolutamente invece, ma è sicuramente un bell’incentivo. La faccenda comincia a stridere con l’assoluto obbligo di consegnare i soldi a mano pena l’esclusione, in un giorno prefissato per la riunione tra organizzatori e partecipanti, antecedente all’inizio delle fasi eliminatorie (quindi un ennesimo viaggio da mettere in conto). Riunione, oltretutto, per parlare del nulla e fondamentalmente per non tracciare il denaro, visto che non abbiamo avuto nemmeno una ricevuta che attestasse l’avvenuto pagamento (e visto che alla nostra richiesta di poter fare un bonifico bancario ci è stato risposto picche).

La rassegna si svolge di martedì. E ok, siamo in una grande città: si uscirà anche infrasettimanalmente. Noi della band lavoriamo tutti ma è un impegno, l’abbiamo preso, si va. Convocazione alle 17. Di martedì. Ma stiamo scherzando? Ci dividiamo. Due di noi che non lavorano vanno su all’ora delle convocazione per presenziare, quelle che lavorano arrivano appena possono. Se non fosse che l’orario tanto infelice era scomodo anche ai tecnici del suono che alle 19 ancora dovevano allestire il palco per il soundcheck. La mia band ha mosso, di questi tempi!, due auto per fare più di cento chilometri andata e ritorno, quando avrebbe potuto semplicemente fregarsene delle convocazioni, degli orari, dei dettami e muoverne solo una e risparmiare. Lasciamo stare che non ci sia stata offerta né la cena né una simbolica birra (e noi band sappiamo accontentarci anche del cibo come formula di rimborso spese). Chicca delle chicche: in un concorso che prevede la famosa “giuria popolare”, tutte le altre formazioni in gara con noi erano del capoluogo, quindi ben fornite del loro codazzo di amici (comunque una trentina di persone, non immaginatevi chissà che folla) nonostante il giorno feriale. Non c’è neanche bisogno di dire il risultato della selezione.

Di esperienze infelici come queste è sicuramente pieno il panorama emergente nostrano. Sono formule in cui appassionati di musica, musicisti, giovani disoccupati che cercano di arrotondare, si lanciano a pesce divertendosi a fare i promoter e, complice una certa improvvisata (in)esperienza, fanno solo danni e pagliacciate. Fortunatamente ci sono le dovute eccezioni e sta alle band vagliare molto bene la professionalità di chi organizza. Anzitutto bisognerebbe chiedere una trasparenza nei pagamenti. Sono pochi soldi, ma messi insieme tra tutti i partecipanti, fanno cifre abbastanza considerevoli e meritano un ritorno in professionalità e competenza. In secondo luogo bisogna sincerarsi dell’onestà organizzativa (puntualità e rispetto degli orari, fasi eliminatorie organizzate in modo da non privilegiare le formazioni del luogo, assenza della fantomatica “giuria popolare” che tanto ricalca l’odioso ragionamento del proprietario di locale che ti chiede, al momento dell’ingaggio “Ma tu, quante persone mi porti?” e che di sicuro tradisce un interesse tutt’altro che filantropico e musicale da parte di chi mette in moto la macchina del contest). Abbiamo voluto raccogliere, in questo articolo, tutta una serie di testimonianze di chi ruota attorno ai concorsi, tanto dalla parte di chi partecipa, quanto da quella di chi organizza. Traete voi le conclusioni. E in bocca al lupo!

Alla luce di questa esperienza diretta di uno di noi e visto che anche Rockambula, con Streetambula, si sta proponendo come organizzatrice di eventi simili, abbiamo voluto parlare anche con band esterne, che tra l’altro già hanno partecipato ad un nostro live contest, per capire se ci si sta muovendo in una giusta direzione.

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Dopo una breve chiacchierata con i De Rapage e gli À L’Aube Fluorescente (rispettivamente primo e secondo classificato a Streetambula) abbiamo scoperto che sì, a volte partecipare a un Contest musicale può dare visibilità a una band, e rappresenta anche un’occasione concreta per rendere “reale” la propria musica. Ma a volte anche no.

In merito alla partecipazione a concorsi e contest musicali:

Qual è stata l’esperienza più assurda e negativa che avete dovuto affrontare? Quale invece quella che vi ha lasciati maggiormente soddisfatti?
De Rapage: Una parte importante delle piccole realtà musicali, dovrebbe essere il mutuo supporto e la reciproca condivisione: un aspetto molto negativo di questi contest è proprio che questo genere di collaborazione viene a mancare in quanto gara, ed al momento dei verdetti, al posto di prepararsi a festeggiare tutti insieme in un terzo tempo a suon di birra, si accendono le polemiche. Questa è di sicuro la faccia della medaglia che non ci piace. Di aspetti positivi, oltre a quelli di suonare dal vivo, di farsi conoscere da un pubblico che non è il tuo e di conoscere nuove persone con la tua stessa passione, ce ne sono davvero pochi altri.

À l’Aube Fluorescente: Siamo una band con circa un anno di attività e non abbiamo partecipato a molti contest. Alcuni erano esclusivamente on line e personalmente li trovo abbastanza fini a se stessi, anche se a volte i premi in palio sono molto interessanti. Tuttavia la meritocrazia fatica a trovare spazio con questo sistema di giudizio. Streetambula ci ha sicuramente lasciato un bellissimo ricordo ed un premio utilissimo! Tutti i vari sistemi di selezione hanno funzionato molto bene. Lo consigliamo vivamente.

Quali sono gli errori che secondo voi si dovrebbero evitare a livello organizzativo?
De Rapage: Qui si parla di eventi in cui vengono mischiate in un grande calderone band dagli stili e dai generi a volte anche antitetici; un buon service in grado di gestire differenti approcci musicali è il primo elemento da prendere in considerazione; avere una giuria competente e di livello, evitando nomi che lavorano con la musica ma che di musica non capiscono un cazzo è il secondo. Ultimo ma non meno importante è essere sempre disponibili con gli artisti.

À l’Aube Fluorescente: si deve evitare in primis di sottovalutare l’aspetto tecnico riguardante la strumentazione per permettere alle band di esibirsi. Si deve garantire un palco di qualità per dare piena riuscita al contest. Le altre accortezze da porre all’attenzione delle organizzazioni sono innumerevoli. La realtà dei fatti è che alla fine la differenza la fa la voglia e la passione di chi organizza. Grazie a tutti quelli che lo fanno per vera vocazione.

In che modo i contest a cui avete partecipato vi hanno aiutato nella vostra carriera artistica?
De Rapage: Ci hanno aiutato a capire che possiamo divertirci indipendentemente dal risultato finale. Partecipare ad un contest pensando di vincere perché sei il migliore del tuo paesino disperso fra i monti o del tuo quartiere è proprio da sfigati. Divertirsi è l’unica cosa a cui una band da sottobosco dovrebbe ambire; un po’ di sana competizione la si va a cercare sui campi di calcetto!

À l’Aube Fluorescente: Alcuni ci hanno fornito visibilità e promozione; altri occasioni concrete per rendere reale la nostra musica. Sono due aspetti importanti, uno più aleatorio, un altro pragmatico. Il consiglio che mi sento di dare a tutte le band che cominciano o che, come noi, proseguono un percorso è quello di scegliere con attenzione le proprie battaglie. Non si può agire sempre su tutti i fronti ed al contempo fare musica: ottimizzare le proprie dinamiche per ottimizzare i risultati. È  poco poetico lo so, ma funziona.

HBG

A quanto pare, le nostre idee sembrano combaciare perfettamente con quelle di chi, al nostro contest ha partecipato e ha aderito anche ad altri. Noi di Rockambula e conseguentemente di Streetambula cerchiamo di metterci sempre dalla parte di chi suona ed è per questo che non chiediamo e non chiederemo mai soldi per iscrivere una band a un contest. Tutta la nostra webzine e tutto il lavoro che c’è dietro è veramente frutto della nostra passione per la musica e questo si riflette anche sull’organizzazione degli eventi. Con il progetto Streetambula organizziamo serate alle band senza chiedere alcuna percentuale, con il solo scopo di fare promozione alle nostre serate (2/3 all’anno). Stanziamo cifre cospicue per service e premi, e conti alla mano, ci guadagnano ben più le band di noi che organizziamo. Con questo non vogliamo certo dirvi che Streetambula è un contest migliore di ogni altro in Italia ma certamente possiamo garantirvi che è fatto con onesta e forse anche troppa passione (quando magari non guasterebbe del sano egoismo). Con la prima edizione di Streetambula, su otto band finaliste abbiamo garantito otto premi, di cui il primo premio del valore di 1000 euro. Abbiamo garantito una promozione alle band notevole, anche grazie al sito di Rockambula, oltre che quello di Streetambula. Abbiamo creato un progetto col quale stiamo organizzando serate alle band iscritte, sempre gratis (guadagniamo qualcosa con lo stand di gadget e le birre). In pratica, chi partecipa non partecipa solo per il premio ma per avere un rapporto diretto ed essere supportato in ogni situazione possibile. Abbiamo migliaia di contatti di ogni tipo, quindi se una band ha bisogno di supporto, noi diamo una mano. Il contest è una minima cosa. Spesso le band credono che la formula del contest sia un modo facile per fare serate a costo zero. Non è proprio cosi. Nel nostro caso, ad esempio, abbiamo speso in premi lo stesso che se avessimo fatto un festival, nel qual caso avremmo risparmiato tempo e fatica. Inoltre i premi sono scelti tutti per aprire nuove porte alle band che spesso non sanno neanche come muoversi in un certo ambiente. Grazie a Streetambula i De Rapage hanno delle splendide foto, Doriana Legge andrà in radio, gli Old School hanno attrezzatura, i Suricates promozione e À l’Aube Fluorescente ha registrato un singolo e molti avranno lezioni di batteria gratuite. Inoltre tutte le band del contest e le altre che hanno chiesto di essere inserite nel progetto, hanno avuto o avranno recensioni sincere, news, spazio sul sito di Streetambula e di Rockambula. E le nostre giurie sono sempre qualificatissime, variegate e il giudizio del pubblico nel contest estivo non era previsto, mentre per il contest invernale (21/12/2013 Caffè Palazzo Pratola Peligna) avrà un ruolo comunque marginale.  Insomma, noi siamo dalla loro parte. Vi lascio alle parole del nostro direttore e vicedirettore di Streetambula, Riccardo Merolli.

Da organizzatore di Contest posso dire con estrema sincerità che quelli a pagamento non hanno motivo di esistere, nel rispetto della musica come arte. Ho fatto parte di molte organizzazioni nel corso degli anni e vi assicuro che far pagare una band per esibirsi è come rubare la cioccolata a un bambino, una tristezza infinità che aumenta la nostra pochezza culturale. Tutti i contest nel giro di qualche tempo dovrebbero trasformarsi in festival, esclusi naturalmente quelli che ti portano a suonare in un grande festival. Capisco le difficoltà economiche ma questo è un problema che toccherebbe risolvere a chi scalda poltrone, noi ci mettiamo la faccia almeno fino a quando non sarà completamente ricoperta di sputi.”

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Gli Anni Luce – Mr. Kiss

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Noise Rock come non ci fosse un domani. Mr. Kiss è il disco d’esordio del trio strumentale Gli Anni Luce dove troviamo la piacevole presenza di Bruno Germano dei Settlefish, quanti ricordi dal sapore Indie, il buon vecchio Indie (lasciamo perdere le lacrimuccie, ormai siamo diventati grandi uomini maturi dalle elevate prospettive culturali). Cinque pezzi che prendono vita su vinile per esaltarne le qualità del suono, cinque pezzi di prepotente avanguardia che non lasciano spazio a riposi mentali (la mente vive uno strano vincolo di abbandono). Mr. Kiss tira di brutto dall’inizio alla fine senza sosta, un disco dalle diaboliche ispirazioni. Si parte con “Scaricatori di Porno” e le situazioni metalliche iniziano ad impadronirsi di un ascoltatore rapito e senza scampo, basso e batteria come spietati orologi del miglior Dalí a definire sonorità Post Rock. Le chitarre esplodono in tempesta, una devastazione incontrollata e poi di nuovo la quiete.

Tutto per ben oltre cinque minuti. “Il Ciccione Viaggiatore” inizia con una calma quasi impaziente, un suono caldo inizia ad avvolgere quello che potrebbe essere un viaggio interstellare, Gli Anni Luce mettono il tocchetto di genialità quando è necessario metterlo senza rendere mai il pezzo pesantone e stantio. Le chitarre chiamano luce, tutto il resto lancia ombra. Questo pezzo emette un suono incontrollato per oltre dieci minuti, ne rimane una condizione di torpore mentale. “Bello Anzi Bellissimo” non è un complimento esagerato al disco (che comunque lo merita) mai il terzo pezzo di Mr. Kiss, Ambient esasperato al massimo delle possibilità, non arriva mai l’esplosione delle chitarre a cui eravamo abituati nelle incisioni precedenti, si vive un innaturale imposizione di angoscia e il mio pensiero inevitabilmente vola verso gli Ulan Bator ma forse sono solo considerazione che lasciano il tempo che trovano. Tutto completamente diverso nella martellante “Le Reni di Babbo Natale”, ancora molto Post Rock, sempre singolari nelle scelte che in questo brano ci tengono col fiato tirato per appena due minuti. Mr. Kiss chiude le proprie porte con una nostalgica “2323”, una dolce ricerca dell’interiorità caratterizzata da sperimentali giochi sonori e poi come un fulmine a ciel sereno una chitarra spezza la pace, ma è solo questione di un secondo. Soltanto un secondo. Un alternarsi tra bianco e nero, si gioca con la luce, con i sentimenti, con la razionalità. Gli Anni Luce presentano un esordio discografico di grande impatto tecnico ed emotivo, la soluzione più congeniale alla musica alternativa italiana, poi con aria vergognosamente fighetta e rassegnata non andate a raccontare in giro che in Italia la musica e morta. Gli Anni Luce sono la risposta alla “falsa” crisi creativa in Italia, Mr. Kiss è senza nessun ripensamento un discone.

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Fiori di Cadillac – Cartoline

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Pare che per la realizzazione dell’esordio discografico i Fiori di Cadillac hanno impiegato circa due anni, almeno da quello che leggo sulla loro presentazione promozionale, l’esordio in questione si materializza sotto il nome di Cartoline uscito sotto etichetta Forears. Due anni sono veramente tanti, immaginate in due anni quante cose si possono fare, quante cose possono cambiare e soprattutto quante differenti sensazioni possono attraversare l’intimità di una persona. Ma in due anni è possibile anche concepire qualcosa di sensato dai connotati maturi. I Fiori di Cadillac per qualche motivo che fatico ancora a elaborare mi erano già passati per le orecchie, insomma, provo questa strana sensazione di averli già ascoltati prima di ricevere il disco e consumarlo nella giusta misura che meritano. Sono quei misteri ai quali non riesco mai a dare una spiegazione ma che accetto con una smisurata soddisfazione specialmente quando l’oggetto misterioso in questione è rappresentato da un lavoro come Cartoline. La band campana ci mette dentro una notevole quantità di tecnica ma il valore aggiunto è segnato indubbiamente dall’emotività sperimentale del sound. Io dentro quel sound mi sono perso infinite volte e provavo piacere nel lasciarmi ammanettare dalla loro enfasi, quadrati e armonicamente perfetti anche quando il cantato in italiano non si dovrebbe legare perfettamente al tipo di musica proposto per una questione di orecchiabilità. Lode a questo bravo cantante.

Per intenderci (e sono parole loro) trovano influenze in band come Radiohead e Mercury Rev. Cartoline si apre con “Il Ministero dell’Amore” e la ritmica innaturale (alla Radiohead) si sovrappone prepotentemente ad un cantato bello e immediato. La durezza della pasta esce subito allo scoperto. “Io Resto Qui” viaggia sulla stessa sintonia della precedente, ambienti umidi ed emozionalità alle stelle. Tutto resta sugli stessi contesti fino ad arrivare alla più intima e personale “Prima” nella quale i Fiori di Cadillac lasciano molto spazio a riff mielati e coinvolgenti. Soltanto palpitazioni in “Dissolvenza/Stacco”. Acidi e psicologicamente confusi in “Canzone in Scatola”, qualcosa mi ricorda il caos intelligente dei primissimi Bluvertigo, niente di scontato insomma. Ironia della sorte in “Fuori Nevica” (perché fuori nevica davvero) dove le atmosfere sembrano quelle affrontate quasi perennemente da Moby ma molto più rockettare e con un finale ai limiti del Post Rock. Sorrisi e pianti in “Jonny”, il disco è quasi finito e molte cose si sono ficcate sotto pelle. “Le Tue Cartoline” suona come una gradevole chiusura del disco, un brano che sembra prenderci per mano e accompagnarci all’uscita con estremo desiderio di vedersi nuovamente. I Fiori di Cadillac registrano un esordio discografico di indiscusso fascino, dentro Cartoline possiamo trovare tutto quello che cerchiamo, bisogna avere cervello e buon gusto. I Fiori di Cadillac sono una delle migliori uscite di questo duemilatredici stronzo e funesto, un esordio che ti scoppia in faccia. Non potevano iniziare meglio.

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Vertical – Black Palm

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Esiste una forma intelligente di suonare musica portandosi dalla propria parte tutte le ragioni del mondo, la musica strumentale non finisce mai di stupire (e inventare), i Vertical girano nell’ambiente da un decennio, il disco “nuovo” dei Vertical si chiama Black Palm. Gli anni settanta per i Vertical non sono mai passati, gli Area cuciti a vivo nel cuore e il pensiero rivolto costantemente al 2005 quando nel fiore dell’attività aprivano le date nord italiane del maestro James Brown. Funk Rock senza troppi giri di parole, i pezzi saltellano in svariate direzioni ma il principio di base rimane sempre quello del Funk (arricchito dal Rock). Detto così potrebbe sembrare una cosa poco attraente sentita e risentita fino al collasso ma devo prontamente ammettere che le cose non stanno in questo (scontato) modo. Rifacendomi a quello che dicevo all’inizio i Vertical in Black Palm non si accontentano mai e sperimentano in continuazione lasciando sorrisi dolci e amari sulle labbra dell’ascoltatore. Non sono certo prevedibili e il disco respira ad ogni modo con i propri polmoni, una band capace di spaccare il mondo quando diventa possibile farlo, sorprendenti è il giusto termine per definirli. Black Palm apre le proprie porte con “Divo”, un esagerazione di basso e riff acidi che esplodono la propria energia in un ritornello sostenuto dall’hammond e voci Soul campionate, non ci sono prove a sostenerlo ma ho pensato subito ai Pink Floyd più intimisti. “New World” tutto sembra tranne che un nuovo mondo, la mia impressione è stata quella di un campionamento per karaoke con atmosfere da crociera, scusate se non sono riuscito a cogliere l’innovazione. Forse non sono molto perspicace. Colgo invece la realistica terapia d’urto mentale portata da “Tispari (ho voglia di piangere con te)”. Poi si continua a cavalcare l’onda del Funk aromatizzato al Jazz e le condizioni sono decisamente carine, un disco interamente strumentale è difficilissimo da tirare per oltre quarantacinque minuti mantenendo sempre la stessa intensità, questa è bravura. Sfiderei chiunque a farlo lasciando da parte Demetrio Stratos o gli attualissimi Calibro 35 a cui i Vertical dimostrano di essere molto affezionati. E non parliamo di Post Rock alla Mogwai. Poi esiste anche un brano nel disco “Watcha Gonna Do” cantato da Ken Bailey e definito dalla band Acid-Jazz con tutto il diritto di farlo, roba nuova per non lasciare mai la puzza della scontatezza. Assolutamente da segnalare il pezzo che dà il titolo all’album che nella sua semplicità non porta comunque scompensi. I Vertical sarebbero una perfetta band da colonna sonora da impiegare in molteplici forme di arte. Presente anche (ovviamente in chiusura) una ghost track “900” e la voglia di ascoltare nuovamente Black Palm invade tutta la mia attenzione. Un album concepito in maniera decisamente professionale da musicisti altrettanto validi, Black Palm inganna il tempo, non si esce vivi dagli anni settanta.

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Vote For Saki – Ulisse

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È la seconda volta che mi trovo ad ascoltare un disco dei Vote For Saki, precisamente questa volta a passare tra i mie ascolti è un EP di sei brani chiamato Ulisse. Le mie impressioni rispetto alla volta precedente non sono affatto cambiate, anzi, la corteccia diventa ancora più spessa e la voglia di Rock invade ancora una volta le mie giornate, di questi tempi le contaminazioni sono talmente tante da perdere la memoria dell’origine. Il disco (è un EP ma lo chiamerò disco punto e basta) rappresenta la visione più vorace del Rock, inteso come musica di strada e popolarmente aperta a tutte le genti, a quelli con la puzzetta sotto il naso, a quelli che vivono di espedienti e a quelli che pensano di essere veri rocker pagando centinaia e centinaia di euro per scodinzolare nel backstage di qualche rincoglionito artista americano. Cose che purtroppo accadono ma alla passione non si comanda. Insomma musica per tutti, musica per chi vuole sentirsi vivo. Se poi mettiamo sul fuoco che il disco è cantato interamente in italiano dal frontman Riccardo Saki Carestia dobbiamo ammettere che il miracolo del Rock esiste anche in Italia. E su quest’ultima considerazione avevo quasi perso le speranze. Ma se la speranza è sempre l’ultima a morire i Vote For Saki ci cazzeggiano alla grandissima, chitarra ed armonica a bocca come nei migliori copioni del genere, capello dannatamente lungo e chilometri di strada da bagnare col sudore. Il precedente lavoro mi aveva colpito sostanzialmente nell’intero complesso, ero entrato in simbiosi con tutti i pezzi arrivando alla considerazione finale di un concept strutturato ad arte. Ulisse invece è figlio bastardo della strada, ogni brano vive di luce propria viaggiando in solitudine sul proprio pianeta, tante piccole storie diverse a comporre un libro di racconti piuttosto che un romanzo. Suoni grezzi che non disdicono mai la naturalezza delle sensazioni, brani come “Ulisse” o “Punto e Basta” regalano attimi di purezza incontrastata, il concetto di sperimentazione non entra troppo nelle loro corde ma il risultato è comunque apprezzabile sotto ogni punto di vista. Anche quando sembrano perdersi nella banalità come in “Razza Umana” trovano sempre un motivo valido per lasciarsi ascoltare con attenzione, sarebbe bello assistere ad una live performance, chissà cosa combinano questi Vote For Saki. Un disco (sempre un EP) da prendere in considerazione, la mia votazione rimane sopra una decisa sufficienza perché la band trova nel tempo sempre lo stesso entusiasmo dell’inizio, ho deciso di credere nella loro musica, ho deciso di votare per Saki. Corna al cielo!

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