Si definisce un nomade il cantautore genovese Lorenzo Malvezzi, la sua incessante voglia di girare tra Roma, Milano e ancora Genova (dove decide di rimanere in pianta stabile) lo rende artisticamente pronto per dare vita al suo primo disco, Canzoni di una Certa Utilità Sociale. Il disco prende ispirazione dalla grande scuola del Teatro Canzone cercando di miscelare musica e teatralità in modo giocoso. Giocoso è il termine esatto per rappresentare il lavoro di Lorenzo Malvezzi. Gli argomenti trattati sono gli ultra consumati prototipi italiani come l’assenteismo, l’andare a puttane, il famigerato e plurinterpretato qualunquismo e tutto quello che più o meno viene citato nella satira “itagliana”. Un cabaret in musica, ecco. Musicalmente Canzoni di una Certa Utilità Sociale trasmette tantissima simpatia, viene voglia di scrollarsi il capo e andare di semplicità fino all’infinito, tanto siamo padroni di goderci quello che vogliamo, o sbaglio? Apertura in medio stile con l’opener “Test Pscicoattitudinale” che parte in maniera spiccatamente orecchiabile ma che riduce tutta la propria enfasi in ritornelli simil Subsonica. Questo pezzo nasce come singolo di lancio del disco e le premesse non sono poi così scure se si considera l’approccio poco impegnato da dedicare al disco. Nel video troviamo la partecipazione di Enzo Paci da Zelig e tutto inizia ad avere una forma precisa. Amo mettermi in queste simpatiche situazioni e volume a canna vado avanti senza troppi problemi. Un disco a tratti Punk come avevo già notato dall’artwork farcito di pizze, slot machine e difettucci italiani vari. I più potenti comandano il mondo alle spalle dei poveretti costretti a piegarsi a novanta in “Manifesto Popolare”, le armonie mi ricordano molto quelle di un primissimo Paolo Zanardi ma con testi diametralmente opposti, sarò forse ingannato dalla presenza del kazoo. Lorenzo Malvezzi non ha nessuna voglia di farci piangere. Forse è giusto così. “Made in Italy” fischietta a modi filastrocca un identità italiana persa per colpa della classe politica sempre meno attenta ai bisogni del paese, niente di nuovo. “L’Esagerato” tocca il tema dell’apparire belli sempre e comunque evadendo tasse, il sound ritmante della chitarra potrebbe lasciarsi ascoltare volentieri. Provo sempre qualche distacco dai testi. Poi ci sono “Escort Progressiste” e “Locali alla Moda” ma il concetto di fare musica è sempre rilegato al fatto di amplificare i difetti del Bel Paese, una linea che alla lunga potrebbe stufare e non poco. “Canzoni di Una Certa Utilità Sociale” pezzo che chiude il disco (e lo battezza) sembra avere qualcosa di diverso rispetto alle precedenti canzoni, anche musicalmente, sarà quel basso alla Violent Femmes che rende meno scontate le soluzioni melodiche. Lorenzo Malvezzi si lascia trascinare troppo dall’esterno nelle proprie produzioni non mettendo mai il personale punto di vista delle cose, manca interiorità e la cosa giova poco ad un disco che rischia di rimanere un semplice passatempo a cui dedicarsi nei momenti meno importanti della giornata. Tutto sommato qualche sorriso involontariamente mi è scappato, non è poco.
Riccardo Merolli Tag Archive
Indelirium Records Festeggia Dieci Anni!
Indelirium Records festeggia dieci anni di attività e noi di Rockambula non potevamo non fare qualche domanda al fondatore Emiliano Amicosante (conoscenza importantissima di Rockambula). Una chiacchierata veloce ma intensa per cercare di capire cosa vuol dire stampare fisicamente cd e produrre Hardcore in un duemilatredici infettato dal sistema internet.
Indelirium Records festeggia dieci anni, ci vuoi spiegare cos’è e come è nata Indelirium Records?
Indelirium Records è una piccola etichetta discografica nata con la voglia di dare una mano ad amici e band HardCore e Punk Rock della scena musicale italiana.
Dieci anni sono una bella età, quali sono state le peggiori e le migliori cose fatte in questi anni?
La cosa peggiore che ho fatto è sicuramente stata mettere su la label, poi per rimediare a questo grande errore, ho dovuto fare 55 Release Top.
Pensi che le etichette indipendenti (ma anche non) abbiano ancora qualcosa da dire nella musica attuale? Le trovi ancora importanti? Perché?
Purtroppo proprio giorni fa pensavo a questo argomento. Dopo varie riflessioni posso affermare con tanto disagio (ma solo perchè a me diverte gestire band ed avere a che fare con loro) che le piccole label come le grandi label oggi hanno ben poco da dire. Un ruolo importante potrebbero averlo queste nuove figure di manager o uffici stampa che si occupano del marketing delle band, ma le etichette come una volta forse non servono più. Prima una label aveva i contatti diretti con i distributori e negozi di settore (diciamo in tutto il mondo e comunque in territori molto vasti). Oggi con il disco fisico che non ha più tiro diventa inutile tutto questo dispendio di energie per distribuire un album. Per concludere, posso dire che oggi la musica è al 100% della band che se la canta e se la suona grazie a servizi di distribuzione digitale.
Stampare dischi ha ancora senso?
Assolutamente no!! Diciamo che per massimo un paio d’anni il CD potrebbe rimanere il souvenir del concerto da affiancare alle tante maglie colorate da acquistare nei banchetti. Ma tra due tre anni non avranno più senso. Se pensate che già da più di un anno sui nuovi Mac non vengono più montanti i lettori cd questa cosa già basta per rispondere alla domanda.
Ci parli delle soddisfazioni che hai vissuto con le band del tuo roster?
Soddisfazioni tantissime ma senza fare nomi di band, una delle prime cose belle sono state le tante vendite di dischi che arrivavano dal Giappone e Sud America. Delle vere soddisfazioni…
Un episodio totalmente negativo che vorresti raccontare?
Forse in dieci anni sicuramente sono successe anche cose sgradevoli, ma posso dire che se ci sono state le ho totalmente rimosse… in fin dai conti Indelirium Records è una label TOP, BEST e DA PAURA.
Stampare dischi non ha più senso?
Assolutamente no!! Diciamo che per massimo un paio d’anni il CD potrebbe rimanere il souvenir del concerto da affiancare alle tante maglie colorate da acquistare nei banchetti. Ma tra due tre anni non avranno più senso. Se pensate che già da più di un anno sui nuovi Mac non vengono più montanti i lettori cd questa cosa già basta per rispondere alla domanda.
La tua è un etichetta quasi completamente HC, pensi che la linea vada seguita sempre e comunque evitando modaioli generi che spopolano nell’ambiente Indie italiano? Non credi che un estremismo eccessivo possa essere causa di autolesionismo?
Penso che una label che nasce esclusivamente per divertimento possa fare quello che vuole, variare dal Rock demenziale al Metal brutale. Io personalmente fin dall’inizio ho sempre voluto dare alla mia etichetta un taglio ben preciso e non penso che in futuro sperimenterò su cose diverse dal Punk Rock o Hardcore.
Progetti futuri?
Continuare per un po’ a fare uscite fisiche di Punk Rock Hardcore e poi meditare se buttare la spugna e fare solo uscite digitali.
Parlaci della tua visione della musica in Italia, cosa andrebbe o non andrebbe fatto per rendere accettabile la qualità della musica in circolazione?
Penso che grazie al web il livello qualitativo delle band si è alzato molto. Bisognerebbe salvaguardare e migliorare l’aspetto live e di conseguenza sarebbe bello se in Italia si iniziassero a valorizzare i Live Club e farli diventare professionali e rispettosi nei confronti delle band come per esempio succede in nel resto d’Europa.
Cosa ti piace fuori dal mondo HC, ascolterai anche altro?
Ascolto veramente tantissima musica dal Black Metal al Pop Punk per poi passare al Indie
Rock per quanto riguarda l’ HC non lo ritengo un genere musicale ma passione è stile di vita
Grazie, questo è un piccolo spazio per fare promozione alla tua attività…
Grazie a voi per lo spazio che ci avete concesso, veniteci a trovare sulla pagina Facebook per scoprire tutte le nostre produzioni!
https://www.facebook.com/indeliriumrecords
Una produzione Indelirium Records
Diaframma – Preso nel Vortice
Il tempo passa inesorabile per tutti, è inutile cercare di ingannarlo. I Diaframma dell’ormai super testato Federico Fiumani sembrano portare sulle spalle il fardello fastidioso della primissima (e bellissima) New Wave italiana non senza qualche cedimento. A proposito, Siberia (disco che non ha bisogno di ulteriori presentazioni) quest’anno compie trent’anni ed esce con una edizione delux da veri intenditori nostalgici. Si era annunciata e poi subito smentita una reunion live con Miro Sassolini saltata (o forse mai accordata) a colpi di interviste e post su facebook che non possono fare altro che far sorridere noi sfegatati “fen”. Ma sorridere a volte non basta. Questo duemilatredici dalle condizioni climatiche impazzite porta alla luce l’ultima fatica dei Diaframma chiamata Preso nel Vortice e attesa non senza un filo di scetticismo vista la prolifica attività del Fiumani che sforna dischi come fossero pagnotte. E qui una situazione imbarazzante si viene a sovrapporre tra la mia curiosità (resa irresistibile dalla personale passione per la band) e la delusione con la quale non vorrei tornare nuovamente a fare i conti visti i deludenti dischi precedenti. La mia paura è giustificata dal fatto che non ascoltavo qualcosa di molto buono dal 1994, anno in cui usciva Il Ritorno dei Desideri fatta eccezione per il personalissimo Donne Mie del 2006 targato interamente Federico Fiumani e qualche altro rarissimo episodio rilegato a singoli pezzi di altri dischi. Bene ma siamo qui per cercare di analizzare Preso nel Vortice. Il primo ascolto è stato di una delusione impressionate, non riuscivo a trovare parole per quello che stavo ascoltando, pensavo e ripensavo a quale fosse stato un elemento positivo ma più mi sforzavo e più la mia mente produceva merda in quantità industriali. Ho veramente iniziato ad avere paura. Una altra delusione non era poi così impossibile, anzi. Poi mi sono ricordato che Federico Fiumani ha bisogno di fiducia e che quel mio terrorizzante ascolto non era altro che figlio dei miei insensati pregiudizi (alimentati dai precedenti lavori), dovevo recuperare quella maldestra situazione e rendermi conto velocemente del disco che potevo perdermi, la situazione era diversa dalle ultime volte e questo disco nascondeva sorprese, non sensazionali ma comunque piacevoli sorprese. Ascolto nuovamente e qualcosa già sta cambiando, poi affino l’ascolto e le cose vanno sempre meglio. Preso nel Vortice inizia a prendere una forma degna dell’artista che lo ha scritto. Preso nel Vortice si apre con “Atm”, una genialata pazzesca con la capacità di passare in pochi ascolti da pezzo pietoso a pezzo importante, gli arrangiamenti sempre e comunque ridotti all’osso confermano lo stile compositivo che ormai appartiene al songwriter fiorentino. I testi sono sempre bellissimi e in “Claudia mi Dice”e “Luglio 2010” questa spietata caratteristica trova ancora consensi favorevoli come fosse la prima volta. Con la partecipazione di Max Collini degli Offlaga Disco Pax in “Ho Fondato un Gruppo” il disco vuole stringere compromessi con le nuove generazioni musicali mantenendo vivo il ricordo di vecchi compagni come Marcello Michelotti (Neon) e Alex Spalck (Pankow) che danno la loro partecipazione al disco. Poi tanto valore con le capacità artistiche di Gianluca de Rubertiis e Enrico Gabrielli. Esiste anche una canzone che per qualche assurdo motivo è dedicata all’ormai più show man che musicista Piero Pelù (“Ottovolante”), e con questa abbiamo cercato di accontentare veramente tutti. Preso nel Vortice non resterà alla memoria come il disco dell’anno e per quanto mi riguarda non trova spazio neanche nella top tre dell’ultimo mese, rimane comunque una piacevole riscoperta alla quale in qualche modo riesco a sentirmi legato, la continua voglia di Federico Fiumani di rimettersi in gioco non deve mai essere sottovalutata, lui è l’artista immortale che riesce a tirare fuori cose bellissime e cagate pazzesche con una disinvoltura allucinante, Preso nel Vortice rimane un disco senza paura ma purtroppo le cose inevitabilmente cambiano e gli eroi non sono sempre gli stessi.
Tiger! Shit! Tiger! Tiger! – Forever Young
Picchia duro Forever Young dei Tiger! Shit! Tiger! Tiger!. Picchia talmente duro che la testa si spacca in due. La sensazione è quella del sudicio locale sudato nell’underground di New York, sembra quasi di bere birra con Thurston More fantasticando sulle dimensioni del pene di Kim Gordon, una presa diretta con l’illusione concreta del live, un Indie Rock made in USA. Non potrebbe essere altrimenti, a pensarlo registrato diversamente mi viene quasi un conato irrefrenabile e capisco che questo è il modo perfetto per spezzare la classica monotonia. Insomma, non è la solita cosetta Indie italiana modaiola e fighetta dallo spessore limitato, qui la musica esce fuori dal supporto materializzandosi improvvisamente. Che poi il concetto di fighetto possa assumere altre dimensioni sta all’ascoltatore deciderlo, in questo caso direi senza pelazzi increspati sulla lingua che Forever Young è roba Figa con la F maiuscola.
Dal primo pezzo che titola l’album vengono subito via tutti i dubbiosi preconcetti, Forever Young parte violento e incessantemente martellante (con “Forever Young”), chitarre storte che prendono largo anticipo sulla mia visione delle cose e poi stiracchio le gambe al suolo. Come essere calpestati da un escavatore e provare piacere. “Golden Age” mischia entusiasmo e tristezza, come alitare sulla propria immagine allo specchio. “Twins” t’ingoia per poi risputarti, echi di batteria incontrollabili. Per qualche assurdo motivo sento avanzare una tachicardia inspiegabile, ci sarebbe da lasciarsi scoppiare il cuore nella cassa toracica. Bellezza del sound sporco in “Whirlwind Weekend”. Poi il susseguirsi del percorso di Forever Young mantiene sempre una logica precisa, la gradazione continua a salire e l’enfasi del disco non lascia speranza a chi cercava di disfarsene senza rimanerne coinvolto. Le tempeste nella mente vengono pian piano spazzate via dalla più esplosiva “Rage”, volentieri accolta dal mio corpo come l’ultimo Negroni delle quattro del mattino, insostituibile.
I Tiger! Shit! Tiger! Tiger! scommettono molto su questo lavoro mettendo sul piatto un sapore difficile per intenditori dal palato fine, non esiste mai quella volgare banalità che a tutti farebbe comodo ascoltare per non ritrovarsi a fare i conti con della roba in grado di estrapolare sensazioni nascoste con le quali vigliaccamente non vogliamo avere a che fare. Forever Young rimane sul gradino alto della musica scritta in questi ultimi periodi, un disco concettualmente mirato e suonato con una verve prepotentemente fuori dal comune, erano anni che non sentivo un suono che allo stesso tempo esprimesse rabbia e felicità con una naturalezza impressionante. I Tiger! Shit! Tiger! Tiger! trovano il giusto equilibrio in questo disco arrivando finalmente ad assumere una propria identità artistica, adesso sarei in grado di riconoscerli fin dalla prima nota, loro hanno saputo crearsi una fisionomia ben precisa che nessuno ormai riuscirà a staccargli dalla pelle. Forever Young è roba grande da godersi senza troppe precauzioni. E poi adoro i riverberi.
Neko at Stella – Neko at Stella
Il Rock deve suonare sporco e duro, altrimenti non stiamo parlando di Rock. Ma di maledette influenze senza voce concreta. L’omonimo esordio discografico dei Neko at Stella impone le classiche regole del Desert Noise Rock nel miglior modo possibile, un lavoro mixato in analogico per rendere vive e bagnate le radici americane del sound. Un lavoro che suona datato di una ventina di anni ma in grado di mettere in evidenza la straordinaria potenza psichedelica della band, non è roba facilmente ascoltabile in Italia se proprio vogliamo dare un punto di originalità al disco, qui di made in Italy non troviamo assolutamente niente esclusa la nazionalità di Glauco Boato (voce e chitarra) e Jacopo Massangioli (batteria). Pezzi interminabili che sembrano tirare fino all’infinito, la chiusura che non vuole mai arrivare butta l’attenzione a capofitto nella pesantezza Stoner dei pezzi a loro volta carichi di passione. Quella passione scritta in maniera dura ma comunque sinonimo di amore e vita vissuta, le batterie spaccano i timpani come è giusto che sia. Fucilata in pieno volto e poca voglia di discutere.
Si parte subito forte con l’opener “As Loud as Hell” (primo singolo e video del disco), le intenzioni poco delicate dei Neko at Stella vengono subito fuori facendo capire di che pasta sarà composto l’intero disco che sicuramente non è adatto ad un pubblico di spelacchiati amanti del Rock dolce (sempre se possiamo definirlo Rock), questa cosa inizia a piacermi veramente e sono ancora alla prima traccia. Poi si continua a picchiare e quasi provo dissolvenza mentale quando mi ritrovo negli intermezzi di chitarra appartenuti ai più tenebrosi Sonic Youth di Daydream Nation, sensazioni pure che passano per la testa, magari associo ma non centro il bersaglio. L’immaginazione gioca brutti scherzi, a me piace giocare con le mie emozioni e Neko at Stella ne produce a dismisura e fottutamente contrastanti. Anche gli oltre otto minuti e trenta di “Like Flowers” non sono proprio una soluzione semplice da affrontare per il mio cervello che s’impone di seguire un percorso Blues e vagamente Shoegaze senza azzardare bruschi movimenti, il pezzo che forse nasce per caso ipnotizza e piace tanto. Poi la tempesta riprende piede nell’improvvisazione strumentale di Intermission. Graffi infetti sulla schiena. Poi continuo a farmelo scivolare sulla pelle in maniera delicata, il piacere inizia ad aumentare anche perché il disco assume forme lievemente più leggere anche se in “Drop The Bomb, Exterminate Them All” trovo parecchie cosette scontate Grunge anni novanta alle quali siamo ormai troppo abituati. “The Flow” dichiara che il disco ha cambiato decisamente stile a favore di chitarre ritmate Blues. Poi motoseghe psichiatriche in Psycho Blues e tanta voglia di muovere il culo. Altre due canzoni dall’interiorità emotiva alle stelle e il disco finisce. I Neko at Stella hanno dimostrato la durezza della loro corazza ma anche la voglia di portare avanti un progetto musicale fuori dal coro, il loro omonimo esordio esce fuori dalla quotidiana routine, idee chiare e tecnica da incorniciare. Speriamo sia il piacevole assaggio di una band ancora tutta da scoprire, noi e la musica italiana abbiamo tanto bisogno di band e dischi di questo calibro.
La Nevicata dell’85 – Secolo
L’inverno sta per arrivare gelido a spezzare tutte le nostre modaiole sensazioni estive, il freddo suona Post Rock come La Nevicata dell’85, Secolo è il secondo disco della band che anticipa quello che sarà l’inverno “musicale” più freddo e impegnativo di sempre. Nascondersi dietro lo scroscio velenoso delle chitarre nervose di Secolo equivale a buttarsi senza ragione nel mezzo di un uragano, il cuore smette di pulsare, l’uragano ti divora. Il confine tra immaginazione e realtà si spezza, il sound adultero de La Nevicata dell’85 inizia a divorarti dall’interno, poi soltanto movimenti lenti e viziati. In questo autunno monopolizzato dai grandi e (a volte) finti ritorni Secolo trova spazio spingendo forte sulla leva della bellezza. Otto pezzi tirati come pochi nel nostro bel paese, otto pezzi dalle intenzioni bastarde.
Apertura che penetra nelle gelide ossa con “Attuale”, una lieve sensazione di solitudine, poi il nulla. Continuo a vagare nel buio seguendo uno spiraglio di luce che non raggiungerò mai, molto Massimo Volume dentro, le batterie piangono di rabbia, le chitarre scrivono dolore nell’aria, la voce urla, “Nostalghia”. Fuoco, il desiderio di un caldo fuoco. Poi “Secolo”, costrizione alla neve, la montagna, ancora tanto freddo. “Frammenti”, pezzi di vita! Basso meticoloso e puntuale, manca l’aria. Tutto intorno diventa un maledetto e incontrollabile caos in “Diorama”, corro ma non saprei proprio dove andare, vorrei dare forma al mio dolore se solo sapessi come fare. Ancora quello spiraglio di luce che cerca di insegnarmi la strada, che vuole scaldare il sangue ormai gelido in “Terra Che Attendo”. Le chitarre mi stordisco e non poco. “Sabato” e fuori piove ininterrottamente, soltanto martellante pioggia che sbatte contro un viso senza speranza, poi la sfido, non ho paura di niente ormai. Adorabili le chitarre flagellate da una impetuosa batteria. La fine della storia, “Terra Che Trovo”, ho perso ogni piccola possibilità di salvezza, scoppio di emozioni contrastanti, la paura si trasforma in felicità, ho goduto come uno sporco maiale. Provo quasi vergogna.
Ci sarebbe troppo da imparare dal disco de La Nevicata dell’85, ci sarebbe anche troppo da paragonare, certamente non abbiamo davanti un opera prima per quanto riguarda l’originalità ma non avevo bisogno di roba nuova quando mi sono cimentato nell’ascolto di Secolo, cercavo quello che poi faticosamente e con tanta passione ho trovato. Un disco intenso con il potere di renderti partecipe dei brani, una storia fredda in grado di coinvolgere completamente l’ascoltatore proiettandolo nelle atmosfere tristi del disco. Secolo è il disco dalle forti sensazioni, bisogna gustarlo nei minimi particolari e con un volume sopra la media per coglierne le molteplici sfaccettature. La Nevicata dell’85 registra un disco sopra le righe, tutto il resto scivola leggero come una foglia cadente che ci prepara ad un lunghissimo inverno Post Rock. Per fortuna un disco italiano, teniamocelo stretto stretto.
La Band Della Settimana: Christine Plays Viola
La band abruzzese è ormai una vecchia conoscenza per i più affezionati lettori di Rockambula, dopo la recensione del loro ultimo Ep, la video intervista realizzata sempre da Ulderico Liberatore e il live report ad opera di Riccardo Merolli. Chi li ha imparati a conoscere sarà rimasto affascinato dalla loro musica misto di Darkwave, Gothic e Post Punk, tra Depeche Mode, Piano Magic, Christian Death, Bauhaus e Sister of Mercy.
Ora la redazione di Rockambula ha deciso di premiare i Christine Plays Viola freschi del ritorno dall’ennesima data fuori dai confini italiani. Zurigo è solo l’ultima tappa di una serie interminabile di date in cui Massimo Ciampani, Fabrizio Giampietro, Desio Presutti e Daniele Palombizio si sono esibiti in giro per l’Europa. In attesa di assistere alla loro esplosione anche in terra italiana, gustiamoci ancora il sound oscuro dei Christine Plays Viola.
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Cani di Diamante – Le Mie Creature
Undici pezzi che sanno di amore acido sparpagliato tra arrangiamenti Rock e solide atmosfere pesantemente Stoner, è il secondo disco in studio per i bergamaschi Cani di Diamante, il frutto delle registrazioni completamente in presa diretta si chiama Le Mie Creature uscito sotto etichetta Ulula Records. Non si scherza affatto con una visione decisamente Rock Italian Style portata gelosamente nel cuore dai Cani di Diamante, forti influenze provenienti dalle band più conosciute del Rock tricolore a comporre questo disco vario e imprevedibile. L’imprevedibilità che Le Mie Creature crea a volte risulta uno scombussola umore per chi ascolta. Il disco è tiratissimo ma con dei suoni vecchi arrangiati e suonati benissimo, la voce “precisina” e“fiscale” potrebbe piacere (perché merita davvero) ma con il rischio di stancare già dal secondo ascolto, esaltazione della tecnica per una mancanza di stimoli, un effetto innaturale quanto costruito a tavolino. Però c’è sempre un però a cui fare capo. Togliamo adesso il fatto che non ci troviamo davanti a nessun tipo di inventiva nel campo musicale e guardiamo il disco sotto la luce di un prodotto “normale” che non vuole fare la rivoluzione. L’album si apre con “Il Cantico”, pezzo bello tosto e dritto dalle somiglianze (soprattutto vocali) molto Litfiba, comunque sia una gradevole soddisfazione. Poi arriva “Seta” con un graffio dispettosamente Grunge. Il resto lo ascolto senza troppo entusiasmo perché non mi emoziono affatto nell’udire canzoni di puro Rock esageratamente italiano con delle chitarre obbligate a suoni molto sporchi per ragione di risultato. La presa diretta della registrazione risulta insostituibile per la riuscita dell’impatto de Le Mie Creature, non riesco ad immaginare una soluzione diversa, la forza dell’album deve tutto a questa scelta. Poi Rock italiano, Rock italiano, Rock italiano fino alla fine dei sensi, con un basso pesante e martellante preso in prestito alla produzione dei Tool o dei Kyuss (a voi il piacere della scelta), e la voce assume qualcosa di diverso in “Viola Cade”. Poi Rock italiano.
E la sorpresa che non ti saresti mai aspettato arriva proprio nel finale con “Meglio di Così”, brano in cui spicca la notevole partecipazione di Nagaila, la cantante dei viaggi interstellari. Tutto sommato ci troviamo dinanzi un disco valido con alcune problematiche riguardanti la singolarità del sound, viene inevitabile il paragone di somiglianza con questo piuttosto che con quest’altro, Le Mie Creature dei Cani di Diamante risulta poco originale (e questo si era stra-capito) ma dalla buona orecchiabilità, un disco onesto di musica italiana che comunque si difende dalla feccia che ormai siamo costretti a spararci nelle orecchie. Non sarà sicuramente il miglior disco dell’anno ma neanche il peggiore. Un disco di Rock italiano.
Lawra – Origine
Laura Falcinelli dopo le sue esperienze da vocalist con “importanti e noti” artisti come Negrita e Jovanotti oltre che un esperienza a SanRemo nel 2000 decide di dare spazio alla propria vena artistica registrando il disco d’esordio (tutto suo) Origine cambiandosi il nome in Lawra per omaggiare una città del Ghana a cui evidentemente si sente molto legata, l’Africa gioca un ruolo decisivo per la realizzazione dell’intero disco. Il risultato è un calderone di generi inverosimile, un disco a cui la bella Lawra non riesce proprio a dare una linea artistica precisa, sembra un prodotto esageratamente forzato e maledettamente incoerente. Capisco le intenzioni di miscelare vari generi e capisco la formazione artistica a trecentosessanta gradi di Lawra ma vogliamo anche pensare che quel disco qualcuno dovrà poi sentirlo? Cerchiamo di essere prudenti nelle scelte artistiche, non bastano le varie collaborazioni di spessore per la riuscita di un disco, in questo troviamo Gianluca Valdarnini (Negrita e Roy Paci) e Alessandro Cristofori (Sara J.Morris) più il feat quasi totale di B.B Cico”Z (Roy Paci), fare musica dovrebbe essere una condizione interiore necessaria prima di risultare soltanto apparenza. La voce di Lawra è molto bella e decisamente professionale, non parliamo certo di una emergente inesperta, il suo tono molto caldo e sensuale recupera qualche consenso ad un disco improbabile e senza via d’uscita, il manuale perfetto di come esordire nella maniera più sbagliata possibile. Dieci pezzi che spaziano senza logica dal Reggae alla musica tribale africana passando per accenni di Rock in chiave Dub, qualcosa preso singolarmente riesce anche a salvarsi ma in quel pentolone ribollente non riesco neanche a trovare la forza di ripetere gli ascolti. Un altro caso di artista che non riesce al proprio debutto da solista a lasciare il segno come avrebbe sperato, certe volte è meglio rimanere nella propria dimensione piuttosto che avventurarsi in esperienze completamente negative, ma come diceva un vecchio detto: “Sbagliando s’impara!”.
Lawra troverà la propria dimensione e riuscirà a trasmetterci emozioni con le proprie doti canore che sono certamente sopra la media, per adesso Origine rimane un disco poco incisivo e senza personalità, non aspettiamo altro che rivedere Lawra in una veste tutta nuova e con un lavoro degno della sua fama. La prima questa volta non è andata bene, speriamo nella seconda.
Luca Milani – Lost For Rock’n’Roll
Luca Milani arriva al suo terzo disco da solista con la voglia di far emergere la propria indole pesantemente Rock’n’Roll cercando di scrollarsi dalle spalle le ombre troppo ingombranti dei colossi della musica Rock internazionale, non riesce a digerire le proprie origini (purtroppo per lui) italianissime e sbatte violentemente contro il muro della ripetitività. Lost For Rock’n’Roll è l’ultima fatica del musicista milanese di nome e di fatto anticipato dal singolo “Silence of This Town” uscito per l’accoppiata Hellm Records / Martiné Records. Parliamoci subito chiaro e mettiamo davanti a tutto il fatto che il disco è suonato divinamente con un forte impatto sonoro e dal punto di vista musicale risulta ineccepibile, sembra veramente di ascoltare un disco di Bruce Springsteen sotto l’ombra di una bandiera a stelle e strisce, su questo non ci piove. Lost For Rock’n’Roll alla fine dei conti (e degli ascolti) sembra sempre di più un disco suonato egregiamente (continuo a sottolinearlo) ma dagli sviluppi troppo scontati e nostalgici, manca di carattere e questo mette la testa di Luca Milani sulla ghigliottina della superficialità, il sogno americano marcato a fuoco dentro l’anima in qualche maniera rovina il risultato finale di un musicista di indiscusso talento. Potrei stare qui per ore a parlare di quanto sia tecnicamente valido il disco, di quanto sublime sia quel passaggio piuttosto che quel riff ma l’emotività dove l’abbiamo messa? Il senso di originalità gettato alla deriva senza nessuna speranza di potersi salvare, ho quasi il timore di trovarmi davanti una banalissima cover band. Coraggio, cerchiamo di essere musicalmente sinceri e genuini. Un ottima produzione artistica ultimamente non corrisponde più ad un buon disco, un presentimento personale ormai troppe volte verificato, della serie non è tutto oro quello che luccica. Luca Milani suona divinamente ma con troppi fantasmi del passato nella mente, Lost For Rock’n’Roll è un buon disco Rock come tantissimi altri in circolazione, niente di più. E’ da queste cose che un grande artista si differenzia da un bravo musicista.