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La Band della Settimana: Mom Blaster
Nascono nel 2010 e iniziano sin da subito a scrivere propri brani e proporli live abbinati ad alcune cover, affascinati dal reggae ma con il dna di rocker, miscelano il sound jamaicano con il Rock Pop europeo, generando uno stile che loro amano definire rock in levare. Nel 2012 firmano con l’etichetta indipendente Ridens Records e pubblicano nell’Aprile 2013 il loro primo singolo “From The Beginning” con il relativo videoclip che supera in poche settimane 10’000 visualizzazioni su Youtube. Il 12 Luglio 2013 esce il disco di debutto We Can Do It!. Un album di nove brani cantati in inglese contaminati dal reggae ma anche dal punk, il Rock e il Pop, una miscela esplosiva che avuto molto consenso dal pubblico e dalla critica. Subito parte il tour del disco che li vede protagonisti su diversi palchi d’Italia, aprendo anche ad artisti di un certo calibro come Mellow Mood, Daniele Silvestri, Sud Sound System, Aprè la Classe, Irene Grandi, Modena City Ramblers e gli spagnoli Canteca de Macao. Nel Novembre 2013 i Mom Blaster sono la prima band emergente scelta dal servizio musicale di streaming Deezer per comparire tra le sue pagine ufficiali, grazie alla vincita di un concorso in partnership con il distributore digitale Zimbalam. Il 3 Gennaio 2014 viene pubblicato con relativo videoclip su Youtube il secondo singolo del disco: “Saturday Comes”. Nell’Aprile 2014 Marco Cotellessa entra nei Mom Blaster per sostituire alla chitarra Lucio Piccirilli. La band conclude il “We Can Do It!” Tour con due ultime date nel Gennaio 2015. Il 14 Maggio 2015 pubblicano il nuovo singolo “Ciò che è Giusto” che preannuncia il secondo disco dei Mom Blaster in uscita a Dicembre, un album che abbandona le sonorità reggae per avvicinarsi sempre più all’elettronica. Il videclip relativo al singolo ha superato in pochi giorni le 5’000 visualizzazioni, ottenendo consensi molto positivi da parte di pubblico e critica. Il 10 Dicembre 2015 esce il secondo album: Reset. Riscontra subito notevole successo da parte di pubblico e critica, dieci brani che parlano di storie d’amore, disoccupazione, migrazione e altri dilemmi che caratterizzano il vivere contemporaneo. Reset è un album che racconta storie di questa contemporaneità, dieci tracce da un sound possente e contaminato dove l’elettronica si fa predominante. La calda voce di Monica Ferrante viene supportata da un arrangiamento musicale maturo sviluppato dalla band in questi cinque anni di attività. Si parla di amore, di relazioni interpersonali, ma anche di molti dilemmi che caratterizzano il vivere contemporaneo: dall’annientamento della vita sociale a causa delle nuove tecnologie di comunicazione al problema epocale dell’immigrazione, fino al disagio della disoccupazione giovanile.
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DeAmbula Records, Dreaming Gorilla, Riff Records, Santa Valvola Records, ToTeN ShCwAn, Ridens Records presentano:
Mom Blaster
Nascono nel 2010 e iniziano sin da subito a scrivere propri brani e proporli live abbinati ad alcune cover, affascinati dal reggae ma con il dna di rocker, miscelano il sound jamaicano con il rock pop europeo, generando uno stile che loro amano definire rock in levare. Diamo un ben venuto nelle pagine di Rockambula ai Mom Blaster.
Ciao ragazzi, raccontate chi sono i Mom Blaster ai lettori di Rockambula.
Siamo quattro ragazzi di Lanciano (Chieti), abbiamo messo su la band nel 2010, ci piaceva l’idea di suonare un rock bello ritmato con tanto reggae e dub, per definirlo in due parole l’abbiamo chiamato “rock in levare”. Nel 2013 abbiamo firmato per l’etichetta Ridens Records e abbiamo pubblicato il nostro primo disco We Can Do It!, nove tracce cantate in inglese molto contaminate, forse troppo per alcuni, ma noi siamo fatti così, ogni membro della band proviene da esperienze musicali diverse, non poteva uscire un lavoro “monostilistico” musicalmente parlando. Abbiamo suonato il disco in giro per l’Italia e pare che sia piaciuto e questo ci ha dato la forza di andare avanti e di provare però ad evolverci (secondo il nostro punto di vista), passando al cantato in italiano e ad un sound con più elettronica.
”Ciò che è Giusto” è il primo singolo estratto dal vostro nuovo album la cui uscita è prevista in autunno. Come è nato questo pezzo e qual’è il messaggio che volete mandare a chi vi ascolta?
Per noi questo brano è un manifesto politico, contro ogni tipo di prepotenza e sopruso di cui siamo in quest’epoca spettatori ogni giorno. Pensiamo al sistema economico che continua a mietere vittime, al sistema malsano della nostra politica, agli estremismi religiosi, ai politicanti razzisti e così via. Ciò che giusto per noi sarebbe fermarsi e riflettere, chiedersi dove stiamo andando e se è questo il mondo che vogliamo. Il videoclip su Youtube aiuta ancora meglio a capire il messaggio che vogliamo dare con questo singolo.
Questo vostro lavoro rappresenta, come da voi detto, un cambio di direzione rispetto al precedente album We Can Do It. Perchè?
Dopo due anni di attività intensa, ci sentiamo più maturi e abbiamo anche le idee più chiare su ciò che vogliamo dire e cosa vogliamo suonare. Con l’ingresso di Marco Cotellessa nella band, abbiamo dato un taglio con molta più elettronica dato che a lui piace molto farla, anche se è un chitarrista, è appassionato di Deadmau5 e Skrillex, ed essendo rockettari da sempre, ci siamo spostati verso il rock, dando meno peso al reggae, anche se dei richiami nei brani ci sono, soprattutto dub. Importante è anche il passaggio ai testi in italiano, questo perché abbiamo visto suonando in giro che i messaggi in inglese fanno fatica ad arrivare, su We Can Do It! ci sono testi bellissimi ma purtroppo durante i live vedevamo la gente più presa a ballare che ad ascoltare, con questo disco vorremmo che le cose si invertissero.
Quali sono gli artisti da cui vi fate maggiormente ispirare?
Sono tantissimi, diciamo che chi ascolta questo singolo sente molto tra Subsonica, 99 Posse, Almamegretta, Casino Royale e Africa Unite. Ce ne sarebbero altri, ma questi grandi nomi bastano per far capire la direzione.
Ci volete dare qualche anticipazione riguardo il prossimo album e cosa non mancherà sicuramente nella musica dei Mom Blaster?
Sicuramente sarà un disco che piacerà ad una fetta larga di ascoltatori, questo perché ci sarà un mix tra la bellissima voce di Monica che in italiano è ancora più calda e profonda, e la musica che spazierà dalla ballata indie pop al drum&bass, il tutto unito da un filo conduttore tipico mom blaster: il rock in levare. I testi racconteranno storie, anche abbastanza dure, fatti di vita di quest’epoca buia. Ci auguriamo che piaccia e che sia una proposta interessante “e diversa” nel panorama della musica indipendente italiana.
La vostra collaborazione con la Ridens Records continua già dall’uscita del precedente lavoro, cosa porta una band a voler avere un contratto discografico?
L’etichetta ci aiuta ad essere più stabili e a rimanere concentrati sul lavoro da farsi, che è veramente tanto. E’ un supporto che ogni gruppo dovrebbe avere anche come mezzo di confronto con persone che non sono dentro la band e che ti danno differenti punti di vista su ciò che può essere la produzione ma anche la promozione e la comunicazione del disco, non è roba da poco.
Vi lasciamo le ultime righe, libere, per qualsiasi messaggio vogliate mandare…
Più che un messaggio un consiglio: ogni tanto spegnete il cellulare, recatevi in un posto tranquillo, isolato e ricco di natura, mettevi le cuffie, chiudete gli occhi e fate partire la musica che più preferite, pensate a voi e chi amate, alle cose belle che vi sono capitate e che vi potranno capitare, dimenticate lo schifo che ogni giorno vi circonda, sarà un’ottima terapia. Provare per credere, parola di Mom Blaster!
I Giorni dell’Assenzio
Intervista a Mattia De Iure, voce e chitarra de I Giorni dell’Assenzio, Power trio abruzzese che si sta facendo spazio nel grande mondo della musica Indie italiana. Un ringraziamento speciale a Mattia e a tutto lo staff della Ridens Records per la disponibilità e la collaborazione.
Partiamo con una domanda inerente il titolo del vostro primo cd: ma la solitudine è davvero così immacolata?
La prima domanda è sempre la più difficile… Comunque risponderei sì, perché volevamo dare appunto l’idea di questa solitudine “immacolata”, nel senso che non è stata violata, che è pura da un certo punto di vista, la più profonda che ci sia; inoltre c’è anche l’assonanza con l’Immacolata Concezione che è un tema che ricorre, come quello della sacralità, della ricerca del divino, che è ricorrente anche nel disco; un po’ velato, ma c’è… Inoltre era anche il filo conduttore di tutti i pezzi per cui ci è venuto spontaneo intitolare così il nostro primo disco. Che poi è una cosa che mi è sempre suonata in testa, anche dalla canzone “Immacolata”, il singolo, in cui volevo raccontare questa storia di profonda solitudine tramite l’amore, che è la cosa più pura che ci sia.
A chi vi ispirate per scrivere i vostri brani?
Tendenzialmente la nostra ispirazione general un po’ come sound, un po’ anche come scrittura volendo, è un po’ una mediazione tra i gruppi cosiddetti Power trio della scena anni novanta tipo Nirvana ma anche più moderni tipo Placebo, Muse; essendo poi noi italiani ci piace menzionare anche tutti i gruppi della scena indipendente nostrana tipo Teatro degli Orrori, Ministri, Gazebo Penguins e soprattutto Verdena, di cui siamo tutti e tre super fans. E’ quindi una mediazione fra tutte le cose che ci piacciono, che alla fine sono anche un po’ diverse e cerchiamo di tirarne fuori il meglio.
Quindi nel gruppo i gusti sono gli stessi?
C’è il fondo, lo zoccolo comune che è quello che ti ho appena detto, ma poi in realtà tutti ascoltiamo tantissime altre cose, il batterista spazia dal Metal all’Elettronica, la bassista dal Reggae al Dub e io più o meno la stessa cosa.
Domanda provocatoria (riferito a un verso di “Immacolata Solitudine”): ma le borse finanziarie sono davvero morte o c’è speranza per la nostra economia?
Per la nostra economia non credo che ci sia speranza; ho voluto mettere proprio le borse finanziarie perchè secondo me sono l’emblema della decadenza della società; la finanziarizzazione dei mercati secondo me è stata la cosa più stupida che l’uomo abbia mai fatto (ma questo è un mio commento personale).
Le canzoni si dice che siano come figli… voi avete il vostro prediletto?
Non in particolare; diciamo che ci piace tutto il disco; io personalmente sono legato particolarmente a una canzone che è “Rivoluzione”, che la sento un po’ di più anche quando la suoniamo live.
Il Power trio è una formazione abbastanza insolita in Italia… Non vi sentite penalizzati nei live a non avere per esempio un altro chitarrista con voi sul palco (è chiaro che magari sul disco si possono fare anche sovraincisioni, ma live no…)?
Secondo me la cosa che ci è piaciuta di più da quando è iniziato il progetto è stata proprio questa, sperimentare mentre si suona in tre, poi su disco è ovvio che ci sono più chitarre ed arrangiamenti diversi; ci piace molto giocare sugli arrangiamenti nei live che sono tutt’altra cosa pur mantenendo la stessa base sonora.
La dimensione live vi appartiene… ma in studio il disco suona davvero bene… ha degli arrangiamenti davvero ben curati… Voi dove vi vedete meglio sul palco o in studio?
Innanzitutto grazie del complimento! Sinceramente ci vediamo meglio sul palco; fare dischi è bellissimo perché vedi la dimensione finale delle canzoni, forse è pure un po’ più complicato, ma devi solo entrare un attimo nell’ottica, perché è difficile da fare subito ma per fortuna ci hanno aiutato molto i ragazzi dell’etichetta (la Ridens Records), soprattutto il produttore Paolo Paolucci.
In “Radioattività” la voce principale è quella di Tania… Nel futuro potrebbe esserci anche più spazio per lei alla voce? Per quanto mi riguarda ha superato a pieni voti la prova…Tu che dici?
Sì decisamente… Tra l’altro quel testo l’ha scritto anche lei; quindi se lei deve cantare un pezzo è meglio che canti le sue cose perché sono più sentite.
Avete aperto per gruppi importanti quali Meganoidi e Lo Stato Sociale (per menzionarne alcuni)… cosa pensate della musica indie in Italia?
Abbiamo fatto tantissime aperture e con alcuni gruppi si è creato anche un rapporto umano (mi viene da aggiungere a quelli menzionati almeno Gazebo Penguins, Tre Allegri Ragazzi Morti e Teatro degli Orrori); la cosa che più mi piace dell’Indie italiano è proprio che con la maggior parte di loro riesci anche a legare.
Nel disco ci sono anche ospiti quali Ivo Bucci dei Voina Hen, Luca Di Bucchianico del Management del Dolore Post Operatorio, Monica Ferrante dei Mom Blaster (altro gruppo prodotto da Ridens Records). Come sono nate queste collaborazioni?
Sono tutti amici nostri che conoscevamo anche al di fuori dell’ambito musicale; inoltre volevamo fare un disco che coinvolgesse un po’ tutta la scena locale anche perché suonando da un paio di anni nella scena frentana ci è sembrata una cosa naturale che collaborassero anche loro.
Dove vi vedete fra dieci anni?
Spero a suonare il più possibile.
Sempre con la stessa formazione, con tanti dischi e tanti live alle spalle?
Sicuramente! La stessa formazione? Beh, la base spero rimanga sempre quella ma non escludo l’aggiunta di qualche elemento in futuro… Dipenderà da quello che scriveremo…
Progetti in cantiere?
In primis il secondo singolo , che dovrà tra l’altro uscire fra poco, poi un secondo disco in studio (siamo già in fase di scrittura io e gli altri) ed infine stiamo cercando di continuare a preparare e, perché no, a migliorare i nostri live perché è una cosa a cui teniamo molto.
Qualche data importante?
Sì, abbiamo suonato di recente a Parma il 31 luglio, ma il calendario è sempre in continua evoluzione per cui seguiteci sul nostro sito ufficiale e sulla nostra pagina Facebook!
Meganoidi 26/04/2014
Mare Blu, Torino Di Sangro (CH).
Ricordo ancora bene quando vidi i Meganoidi in quel di Giulianova, all’Indhastria. Allora erano all’apice del successo. Era il tour promozionale di Inside the Loop Stupendo Sensation, una fatica discografica che li staccava dalla commercialità dello Ska, per trascinarli verso sonorità più mature e ricercate. Una scelta singolare, ma, a mio avviso, azzeccata. Oggi li ritroviamo dopo 15 anni di vita, reduci da dischi altalenanti, dai risultati non esaltanti. A giudicare dalla folla presente al Mare Blu di Torino Di Sangro, pare abbiano comunque mantenuto uno zoccolo duro di sostenitori accaniti. Ci sono anche io tra di loro. Il gruppo di apertura prescelto sono I Giorni dell’Assenzio, provenienti da Tollo e facenti parte della scuderia Ridens Records. Il loro Rock Alternativo, con venature Stoner, al principio entusiasma, ci fa strabuzzare gli occhi. Col passare del tempo, la palpebra cala e l’entusiasmo scema. Soprattutto se in uno degli innumerevoli intermezzi al confine con la Psichedelia, il chitarrista/cantante si mette a prendere a cazzotti (letteralmente!) la pedaliera, rea di non fare il suo dovere. Mani nei capelli (folti…) si prosegue e guardandomi intorno vedo facce assenti. I Giorni dell’Assenza più che dell’Assenzio…
Il tempo di un rapido cambio di palco ed ecco arrivare i nostri eroi. Subito salta all’occhio, ma soprattutto alle orecchie, la presenza del nuovo batterista Francesco La Rosa, capace di un drumming furioso (non è un caso se è membro del gruppo Gothic Metal Thought Machine) che, personalmente, trovo stia al sound dei Meganoidi come un gatto in un canile. La tecnica c’è tutta, ma ripeto, sovrasta il resto degli strumenti. Questo live, senza infamia né lode, ci mette davanti la verità dura e cruda: sono i pezzi estratti dai primi due lavori a far ballare e cantare la gente. E’ bastato il trittico “Inside the Loop”, “The Penguin Against Putrid Powell” e, soprattutto, “Meganoidi” a riscaldare gli animi tiepidi degli spettatori. Notavo poca partecipazione durante l’esecuzione di brani come “Altrove” o “Dighe”, entrambi estratti dal quarto album Al Posto del Fuoco, che io ritengo due canzoni di valore che meritavano di essere cantate a perdifiato.
Era un concerto atipico che viveva di momenti: ad un abbozzo di nota di “King of Ska” o “La Fine” il pubblico si ridestava di botto. Caos finale con la grinta di “M.R.S.”, “Supereroi” (qui tutta Torino Di Sangro ha tremato) e “For Those Who Lie Awake”. Immancabile l’agrodolce “Zeta Reticoli” che ha chiuso i giochi insieme a “Ogni Attimo”, ultima traccia dell’ultimo album in studio Welcome In Disagio. Vado via dall’affascinante location del Mare Blu (a proposito: un locale che dà spazio alla musica dal vivo e a queste iniziative non può che meritarsi una vagonata di applausi) felice, ma con un pizzico di amaro in bocca. Sarà perché vorrei che i Meganoidi, grazie a un improvviso colpo d’ali, potessero essere elogiati per il coraggio che solo i buoni (e non i cattivi) dei cartoon hanno nel profondo del loro cuore.
Mom Blaster – We Can do it!
Sembrava di trovarsi di fronte all’ennesima copia dei Cramps dalle prime note del disco ed invece, appena trenta secondi e le note portano verso Bob Marley e Peter Tosh, anche se con una sensuale voce femminile, per poi tramutarsi negli emuli degli Skunk Anansie e viene da pensare che sia incredibile. L’ascoltatore viene quindi spiazzato tre volte nel giro di due minuti (troppa carne al fuoco forse) e lo è ancora di più quando inizia la seconda canzone “From The Beginning” che inizia con riff simili agli Heroes Del Silencio per poi tornare al Reggae.
“Saturdaycomes” ci prova a rimettere le cose in chiaro fallendo miseramente a causa di un’armonica che è l’esatto contrario di come sta il cacio sui maccheroni. Se l’idea è quindi quella di creare una sorta di Crossover all’italiana c’è qualcosa che non va in quanto i generi e le idee proposti sono davvero troppi (a momenti manca solo un assolo Jazz e un orchestra classica). Forse tre anni sono pochi per comporre un disco così complesso (il gruppo si è formato nel 2010 a Lanciano, in provincia di Chieti) che propone un mix tra Reggae, Rock e Pop, utilizzando nuove sonorità in una miscela esplosiva che spazia dal Punk anni ’70, passando dal Pop anni ’80, arrivando fino ad un Rock più contemporaneo. In “Everyone is an African” si perde pure la minima atmosfera creata in precedenza dalla voce femminile essendo cantata per lo più da uomini e si smarrisce anche la via che portava per lo più in Giamaica (il messaggio si rafforza poi ulteriormente con “A four letter words” e “I’m just a ghost”).
Chiudono il tutto “Vicious boy” e “Really gone” e per fortuna tutto è veramente andato verso la fine. Chiariamoci: presi singolarmente sono tutti degli ottimi musicisti, ma vi immaginate cosa uscirebbe formando un gruppo con Malika Ayane, Stewart Copeland, Flea e Steve Vai? (sono i primi nomi di ottimi musicisti che mi sono venuti in mente). Probabilmente ne uscirebbe fuori solo un calderone sonoro, ma forse basta cambiare la formula per migliorare il tutto. A volte è meglio confrontarsi solo con un genere (in questo caso il reggae) senza varcarne i confini.