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Paolino Paperino Band – Pislas (Ristampa 1993)
Per capire cosa siano stati per noi vecchi punker di provincia quei cinque pazzi chiamati Paolino Paperino Band dovreste poter osservare il sorriso sui nostri volti quando muovono le note di pezzi come “Fetta” o “Porno Tu” e, grazie a questa ristampa che mette insieme Pislas, l’Ep Fetta e un sette pollici bonus contenente quattro brani, ho avuto modo io stesso di contemplare l’entusiasmo di chi rievoca, con una vena di amarezza, la propria gioventù ribelle e gonfia di sogni di rivoluzione e, forse, c’è anche un po’ di turbamento ad ascoltare le parole di Yana e scoprirsi proprio in tutto ciò che un tempo odiavamo insieme.
I Paolino Paperino simboleggiavano molto più di una band Punk Rock dell’Emilia Romagna dall’accento inconfondibile; divenivano la nostra voce ed erano anche cinque ragazzi che facevano tremare le pareti quando iniziavano a fare casino. La cosa più piacevole è che avevano tanto da dire, magari con troppi (anti?)/luoghi comuni, un po’ di qualunquismo alternativo e sano spirito “contro” ma ogni loro lirica era pervasa da una profonda e trascinante ironia che metteva quasi in secondo piano ogni discorso logico sulle questioni trattate. Che si parlasse di Tv, Droga, Ultrà, Politica noi eravamo d’accordo, magari non sempre capendo il perché; ma sapevamo che i Paolino Paperino non ci avrebbero mai raccontato cazzate. Quella stessa irrisione che aiutava a dare un senso alle controversie più spinose era anche lo strumento preminente con il quale ci narravano folli storie come fossimo a cazzeggiare tra amici con qualche birra in mano e uno spino a girare nel cerchio magico della nostra amicizia. E poi ci spiattellavano di quelli che erano i nostri antagonisti nella vita di tutti i giorni, i nemici di piccole guerre che non combattevamo mai veramente ma che ci facevano sentire vivi, a sedici anni. Dai vigili, al discotecaro, da Michael Jackson fino al carabiniere nessuno era al sicuro dalle loro parole e noi avevamo qualcuno che sapeva come urlare la nostra collera e la nostra identità ancora da scovare. La genialità dei Paolino è che comunicavano di questioni che, ammetto, non avrei mai affrontato a quell’età senza un pungolo di questo genere. Grazie a queste cose oggi posso dirmi veramente libero, capace di ragionare con intelligenza su tante questioni. Ecco la differenza tra chi è cresciuto con loro e chi con troppa merda nelle orecchie. Poi ci apparivano più bravi di tutti gli altri, nei loro infiniti cambi di tempo, sterzate incredibili, inserti rumoristici e vocali da paura, cori ai limiti del Noise e tanto altro.
Questa è solo una eccezionale ristampa di uno straordinario disco e qualcosa in più, non serve scribacchiare una recensione di quelle che componiamo di solito. Se ve li siete persi quando avevate sedici anni, riascoltarli ora non vi servirà a molto, se non a darvi un bel nome da sfoderare quando si parla di Punk tricolore. Se siete persone peggiori di noi, per certi versi, è perché nessuno vi ha passato una cassettina con uno strano nome scritto a pennarello sul lato lungo: Paolino Paperino Band – Pislas.
Gustoforte – La Prima Volta (Ristampa 1985)
Nei primi anni Ottanta, nella capitale poteva capitare di incappare, in qualche negozio di vinili o chissà dove, in uno strampalato lp con copertina di lamiera piegata in due parti, agganciata grazie a un bullone e con una scritta di vernice nera: GustoForte. Niente di più era risaputo di quello che significasse o racchiudesse ma la curiosità doveva essere tanta in chi incrociava quell’epigrafe. In verità non molti perché quel vinile fu pubblicato da un editore francese di musica anticonvenzionale (RatRace Records) in sole duecento esemplari. A metà degli anni Ottanta, girovagando per Roma, nei suoi parchi, nei suoi spazi sociali, seduti a una panchina o entrando in una vecchia cabina telefonica poteva accadere di trovarsi tra le mani piccole opere d’arte che a prima vista non lo sembravano affatto e che parevano essere state abbandonate da persone sbadate o bramose di disfarsi dell’arma del delitto con la voglia di essere beccate.
Alcuni musicisti dai nomi anonimi per i più (Roberto Giannotti: vocals, drum machine, simmons drums, emulator, tapes; Francesco Verdinelli: electric guitar, casiotone, obx a, tapes; Stefano Galderisi: bass, farfisa, tapes) e provenienti da realtà molto distanti (chi dalle prime esperienze di field recordings, chi dal Punk e chi dalle soundtrack) decidono di capovolgere ogni schema precostituito e iniziano a registrare opere magmatiche, complesse e amorfe, nel più estremo stile Noise e Lo-Fi e lasciano queste incisioni, spesso insieme a opere figurative di diverso tipo, nei luoghi più svariati, aspettando di vedere “l’effetto che fa”. In realtà la cosa non fa alcun effetto apparente, Roma continua per la sua strada e quello che si trasforma è celato solo nelle piccole vite di quei pochi, miseri uomini che hanno avuto la fortuna di dissotterrare una di queste gemme (tra cui il loro secondo lavoro, Souvenir of Italy / La Merda che Fuma ri-stampato, proprio un paio di anni fa) o di partecipare a una delle uniche due performance live tenute in quegli anni dai GustoForte.
A distanza di tanti anni e con uno schieramento rinnovato, la band (autodefinita italian antipop group) si ritrova senza un movente inequivocabile se non quello di “rompere i cojoni” e per suggellare questa riacquistata verve creativa, l’Editore in Modo Moderno (Plastica Marella) recupera le tracce di quel full length denominato sobriamente La Prima Volta e crea una riedizione che non ha più il fascino della lamiera e della vernice nera, ma mantiene intatto il sex appeal di una musica che suonava sperimentale trent’anni fa, tanto quanto suona avanguardistica oggi. Il vinile trasparente 180 grammi che gira ora nel mio impianto si compone di sette tracce (ben definite a differenza del successivo Souvenir of Italy / La Merda che Fuma in cui i brani suonano deformi e liquefatti, adatti maggiormente a essere riprodotti in luoghi inusuali come teatri o gallerie d’arte che non a vibrare nelle casse di casa), quattro pezzi nel primo lato detto maschio, “S. Antony Chain”, “Steel Walk”, “Assembly Line” e “Evry Courcouronnes” e tre nel lato femmina “Factory Ab Absurdo”, “Ask Me a Dream” e “In Memory of Maurizio Bianchi”. Ospiti per l’occasione La Donna (vocals, tapes), Marie Journò (Apple 2E programming in “S. Antony Chain”) e “Alì Mahhmud El Quaharr” (vocals).
L’opera, registrata trent’anni fa presso gli studi di Roma Pink Music Studio e rimasterizzata da Filippo Bussi negli studi Tweedle Music, è un tripudio di sperimentazione oscura che vi sorprenderà per la sua capacità di anticipare la Dub Techno berlinese di Basic Channel, la Dark Ambient di Demdike Stare e l’Electronic Noise dei Black Dice; il Post Rock attraverso l’analisi della New Wave, dell’Industrial figlia dei Throbbing Gristle, tutto condito con reminiscenze del Krautrock di Faust e Neu! oltre che con inflessioni elettroniche di kraftwerkiana memoria, psichedelia cosmica e tutta una serie di “provocazioni” rumoristiche che, all’epoca dovevano stupire per sfrontatezza ma che oggi hanno la capacità di suonare avanguardistiche e vintage al tempo stesso, senza dare alcuna minima idea di vecchio. Ascoltare sul finire del 2013 l’opera prima dei GustoForte lascia un sapore impossibile da trovare in opere attuali e conserva nelle orecchie lo stesso stupore che potreste immaginarvi balenare nella mente alla vista della più grande opera d’arte di un qualsiasi grande artista del passato, scoperta tra le cianfrusaglie della vostra cantina. E per questa sensazione c’è da dire grazie a Plastica Marella, una delle non tantissime etichette coraggiose che resistono in questa penisola dalla memoria corta.