Rock Action Tag Archive

Arab Strap – I’m totally fine with it 👍 don’t give a fuck anymore 👍

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L’ultimo disco della band scozzese è la più intima delle dichiarazioni d’amore verso un inferno personale fatto di virtualità e solitudine.
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Mogwai – As the Love Continues

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Primo posto in UK chart che suona solo come un riconoscimento postumo.
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Dopo i THE NATIONAL arrivano i MOGWAI al Siren Festival

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Mogwai, tra le formazioni Post Rock più influenti degli ultimi decenni, reduci dall’uscita del loro ultimo album Rave Tapes, uscito per Rock Action (Regno Unito ed Europa) e Sub Pop (USA) e registrato con Paul savage al Castle Of Doom, lo studio della band a Glasgow, saranno gli headliner della seconda serata del Siren festival a Vasto. Non che i Mogwai siano rimasti inattivi nel frattempo: l’album è stato seguito dal disco di remix A Wrenched Virile Lore e quest’anno la band scozzese ha composto la bellissima colonna sonora di Les Revenants, un lavoro particolare e innovativo al servizio della splendida serie TV prodotta da Channel 4 e Canal +. Da non dimenticare anche le più recenti esibizioni dal vivo, che hanno portato gli scozzesi a suonare per la prima volta Zidane: A 21st Century Portrait, al Manchester International Festival a Luglio. Quest’estate la band suonerà a Glastonbury e in molti altri prestigiosi festival.

26 luglio –Vasto (Ch) – Siren festival – MOGWAI

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Mogwai – Rave Tapes

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Ascolto: un album dei Mogwai lo devi sempre ascoltare lontano dalla luce; immaginate un posto piacevole al buio, non in solitudine. Ecco, l’ho ascoltato là.

Umore: un po’ confuso e sudato.

Dovunque si trovino i non più giovanissimi e talentuosi scozzesi sono sicuro che stanno già tremando all’idea che una mia recensione possa stroncargli per sempre la carriera. Scherzi a parte, per spiegare meglio quello che sto per scrivere vorrei partire dal mio ricordo live dei Mogwai: li ho visti due anni fa al Perfect Day di Verona e oltre che guardare un ottimo live ho avuto un’esperienza sonora nuova che tutti i mille e mille live che ho visto mi avevano mai garantito. A metà concerto mi giro per commentare con un mio amico quello che stavo vedendo, scelgo accuratamente quel momento perché la dinamica del pezzo che stavano suonando (non ricordo quale) era scesa di molto. Era uno di quei pezzi lenti, che ad un certo punto riduce al minimo le note, che si fa flebile e pensoso. Scelgo quel momento per dire una frase, una sola frase. Mi giro verso il mio amico e dopo non più di due o tre parole dalle casse mi arriva tra capo e collo un cartone sonoro talmente forte che indietreggio fisicamente di due o tre passi, come se davvero avessi preso un ceffone in uno dei peggiori bar di Caracas. Mai sentita prima una pressione sonora così forte, mai sentita prima un passaggio dal piano al forte così esagerato e così improvviso. Sono rimasto sconcertato e mi sono gasato come un bambino che comincia a capire di non esserlo più. Quei cinque secondi di musica hanno condizionato il mio parere su Rave Tapes. Secondo me, e con questo non voglio essere presuntuoso o tantomeno irrispettoso nei confronti di un gruppo che ammiro sinceramente, non è un gran disco. Più che altro sono convinto che sia interlocutorio. La loro esperienza di scrivere la colonna sonora di Revenants forse ha determinato questo strascico un po’ sbilenco che dichiara una via nuova ma al tempo stesso non la spiega bene. Complessivamente, ed è una tendenza che ho notato in svariati dischi non propriamente mainstream usciti nel 2013, in Raves Tapes c’è poco spazio per i chiaroscuri, per il dialogo tra silenzio e musica. Il fluire di questa assomiglia più ad un rubinetto lasciato aperto a metà nel bagno piuttosto che alla sciacquio ritmico e ristoratore delle onde che modellano la costa. Più un ruscello sotto casa che una cascata nella foresta.

Analizzando qualche pezzo, “Heard About Your Last Night” inizia con scampanellii molto Post Rock e ti fa immaginare uno sviluppo del disco molto diverso, “Simon Ferocius“ è un ipnotico crescendo che incalza lentamente ma alla fine non esplode mai. “Remurdered” invece mi sembra fare eco alla colonna sonora di Escape from New York di Carpenter e questo mi è piaciuto molto: un bass synth dallo spiccato sapore anni 80 fa da perno a tutto il pezzo e detta il crescendo senza segni distintivi melodici che arriva dalle basse frequenze come un terremoto che poi (mi passino la metafora forte) però non devasta. “Blues Hour” , pezzo cantato come un mantra, dà più il senso di autentico Post Rock d’annata, un pezzo lento come se si stessero scaricando le pile all’ipod ed invece energica come se ti stesse ricaricando dentro. In questo pezzo, le onde le senti tutte e ti lavano a meraviglia. Purtroppo in questo disco un episodio piuttosto isolato.

Ricapitolando, un disco dei Mogwai non può prendersi da Angelo Violante un’insufficienza; per definizione e rispetto. Ma il disco mi ha lasciato con un senso di insoddisfazione fastidiosa. Quello che mi è mancato è il dialogo tra il silenzio e il rumore, tra il pieno e il vuoto. Anzi no, mi è mancato proprio il silenzio. Il silenzio è la nota non suonata più bella, quella che ti rende meravigliose le note suonate, quello che ti permette di essere colpito al cuore.

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