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Guignol – Abile Labile
A meno di due anni dal precedente Ore Piccole ritornano i milanesi Guignol con il loro sesto lavoro in studio ed una band nuovamente rinnovata. Troviamo infatti, oltre al leader Pier Adduce ed al confermato Enrico Berton alla batteria, l’ingresso in formazione di Paolo Libutti al basso e Raffaele Renne alla chitarra; in svariati brani la band sarà supportata anche dal polistrumentista, nonché produttore del disco, Giovanni Calella. Abile Labile è il titolo scelto per questa nuova fatica, titolo che ben rappresenta personaggi e situazioni che si muovono tra stati d’animo e circostanze agli antipodi, figure ordinarie e straordinarie di questo presente sempre più alienante, pronte a
prendersi la loro rivincita sulla vita come a soccombere ad essa, libere o ancora alla ricerca della propria identità.
Incontreremo stacanovisti (il Rock Blues di “Salvatore Tuttofare”) piegati allo sfruttamento ed alla disumanizzazione del mondo del lavoro, pronti a fare qualunque cosa senza mai raggiungere un miglioramento della propria precarietà non solo lavorativa, sino all’inevitabile cortocircuito; accompagnati da un’introduzione bucolica (cade sul davanzale e cade sul balcone/sull’orto di tuo padre chino sotto il sole) visiteremo la malata terra di Taranto colpita nel profondo dalle polveri prodotte dalla sua grande acciaieria nella sentita e riuscitissima “Polvere Rossa, Labbra Nere”, tra voglia di verità e resistenza e tristi pensieri (dubbio che pende giù come un nodo scorsoio/meglio morti di fame o respirando acciaio?). Troveremo, nella tirata “L’Uomo Senza Qualità”, un cane sciolto che dopo una vita ai margini cerca la propria rivincita e per costruirsi una nuova e forte personalità si convince persino di poter diventare un terrorista pronto a spingersi sino al gesto estremo. Osserveremo due bellissimi quadri metropolitani: “Il Cielo Su Milano” che, non senza riferimenti politico-sociali, partendo dal pretesto meteorologico, ci racconterà l’abbruttimento piccolo borghese di una città dove quando soffia il vento pulisce un’aria opaca e tesa a tal punto che la visione del cielo dopo il suo passaggio potrebbe considerarsi pari a quella dell’acqua nel deserto, e “Luci e Sirene”, brano randagio, periferico, dalla grande potenza visiva, nel quale l’atmosfera notturna verrà illuminata solo da inutili lampeggianti blu (sotto il cielo di questo viale/luci e sirene scuotono le sere/per presidiare chissà che cosa/mentre accade quel che deve accadere), delicati soffi melodici impreziositi dall’ottimo lavoro di Francesca Musnicki al violino. Incontreremo anche un divo del porno catalizzatore di desideri ed invidie (“La Coscienza di Ivano”, godibilissimo divertissement con ospite Guido Rolando Giubbonski al sax) pronto a presenziare ovunque pur di accrescere la propria popolarità (Priapo un po’ mondano tra ironia e clamore volerà il tuo nome), e l’irriverente maîtresse di un vecchio bordello (“Sora Gemma e il Crocifisso”) che associa la figura del Signore a quella di un figlio perso chissà come e riempie la casa di crocifissi senza esimersi dall’esercitare la propria professione (nella casa del piacere la profana devozione), libere e geniali figure di brani ben riusciti che in alcuni passaggi ricorderanno facilmente personaggi e situazioni tipicamente nostrani. Libere e geniali come indubbiamente era Piero Ciampi, grande personaggio ai margini, di cui la band propone una rilettura de “Il Merlo”, pezzo che potrebbe sembrar scritto a 4 mani da Arturo Bandini, famoso alter ego di John Fante, e dal Bukowski più sfatto. L’ottimo lavoro della band e di Pier Adduce che lo interpreta con grande teatralità e lo arricchisce con l’uso dell’armonica, rendono il brano forse meno fragile ma ancora più ubriaco ed affamato di quanto già non fosse, donandogli un’urgenza che lo farebbe dire loro; credo che persino il suo autore applaudirebbe o concederebbe una smorfia di approvazione, sicuramente applaudo io.
La poesia e la sardonica ironia che da sempre contraddistinguono i testi di Adduce raggiungono dunque in questo lavoro nuove vette alle quali la band, nonostante i continui cambi, regala ottimi abiti pur rischiando, se solo i nostri fossero un bene più comodamente fruibile, il remix facile in un paio di occasioni (per quanto dopo “Geordie” credo ormai non esista brano che non corra tale pericolo), tanto da farmi trovare sempre più gradevole l’idea che questa formazione provi a spingersi un po’ più in là; al contempo è un piacere poter ascoltare del buon sano e schietto Rock che non necessiti di prefissi catalogatori ad anticiparne il vecchio e caro nome, ma che suoni alternativo ed indipendente per innata attitudine.
Mamasuya & Johannes Faber – Mexican Standoff
Bam!, indietro di trentacinque anni almeno, direzione Downtown LA o i deserti degli Spaghetti Western, le villone da porno settantiano, i paesaggi romantico-lisergici di salotti stroboscopici color pastello dove si balla appiccicati e sudati, e poi di nuovo la polvere di un Messico fantasticato e accelerazioni da inseguimento su highway assolate in pellicola sgranata, fuori fuoco: c’è un po’ tutto l’immaginario da colonna sonora vintage in questo Mexican Standoff dei Mamasuya, accompagnati dalla tromba ineccepibile di Johannes Faber (qui anche alle – rarissime – voci, e alle tastiere). Un disco strumentale di rara precisione, dove una libertà psichedelica assoluta viene vissuta e ricercata attraverso un viaggio in alcuni dei generi che più hanno sperimentato attorno al concetto di soundtrack nel secolo scorso. Un disco difficile da raccontare, da cui bisogna farsi più che altro accompagnare, come fosse un commento musicale a fantasie attempate, magari non eccitanti come una volta, ma che hanno acquisito ormai il gusto dolceamaro della nostalgia e dell’universalità “postuma”, che, in un tempo di zombie e remake come quello in cui ci tocca vivere, non vuol dire tanto mitizzare un passato che dovrebbe essere, a tutti gli effetti, passato, quanto trascinarsi in un’immortalità tenace, quasi comune, a tratti ripetitiva. Ma sto divagando: Mexican Standoff, nonostante le coordinate non proprio contemporanee, rimane un disco impeccabile, che suona bene ed è suonato meglio, senza strafare in virtuosismi onanistici (che pure non mancano) e comunque pronto a soddisfare anche palati esigenti. Da tentare, soprattutto se vi entusiasma il genere.
Nero – Lust Souls
Nero è il colore giusto. Perfetto per lo sporco suono New Wave che produce, con tanto di chitarre insistenti e una voce cupa, sensuale e viscida come la pelle di un serpente. Il suo disco d’esordio Lust Soul è il perfetto connubio tra vintage e modernità. Nero di certo non è un novellino, ma annovera un passato con band del calibro dei The Detonators e The Doggs (per altro recensiti dal sottoscritto qui su Rockambula qualche anno fa). Il suo background è dunque fissato su solide basi di sporco Rock’N’Roll, tra Black Sabbath e Stooges per intenderci. Indubbiamente in questo lavoro solita la sua rotta vira verso sonorità più lente e scure, più ossessive e più schizofreniche. Come la stupenda “I’m The Sin”, un vortice di passione dentro la frenesia dei Joy Division senza perdere il senno, grazie a una melodia trascinante. Il suono dietro è perfetto, curato in ogni minimo dettaglio: rullante che martella il nostro cervello, basso cadenzato e ben definito che scombussola il nostro bacino. “In my Town” è un piccolo capolavoro minimal, quello che sarebbero i Depeche Mode senza una mega produzione e senza dimenticare le tenebre di Ozzy e dei suoi Black Sabbath. Guardando ad una città più grande, scappa anche la vicinanza alla New York decadente di Lou Reed. La canzone è un viaggio psichedelico in una grotta completamente buia, umida senza via d’uscita, ma con la consapevolezza che nessuno ci farà del male. Sicurezza che viene meno nella terrificante “Bleeding”, ritmica quasi Doom immersa in chitarre ululanti e un piano che compare ogni tanto come uno spaventoso fantasma. I ritmi si innalzano in “Over my Dead Body”, riff Punk venuto dallo spazio, basso incalzante e synth svarionanti dominano l’atmosfera e ci introducono in un crescendo interminabile. Come se Marc Bolan e i suoi T-Rex incontrassero in studio i Daft Punk. Nero riesce con grande naturalezza a mischiare sensazioni, suoni, spazi e periodi storici. Il tutto grazie ad un’improbabile macchina del tempo, scassata, ma terribilmente efficace. “Old Demons” è superba, sembra uscita in due minuti di prove e ha l’efficacia di essere vera e nostra. Ci togliere dal tunnel buio per portarci a braccetto negli inferi, dove rimaniamo bloccati fino a “Spirit”. Battiamo il cranio contro un muro rovente. Si questa elettronica è calda, è vera come un Les Paul collegato al suo Marshall JCM 800. Nero poi ci saluta con le schitarrate distese di “Tomorrow Never Comes”, riporta tutto alla semplicità, ad un triste epilogo, a un dolore viscerale. “Vedrai un grave dolore e in quel dolore sarai felice”, scriveva Dostoevskij.
La Band della Settimana: I Nastri
I Nastri sono contaminazione, sono musica che ti parla da lontano mostrando tutti suoi volti, le sue storie, le sue paure. Dal 2012 I Nastri rappresentano le influenze e le esperienze artistiche maturate negli anni da Bongi, Robe e Fede: metriche progressive si fondono con l’hip hop, melodie pop sperimentali incontrano il rock e l’elettronica, testi intimisti e disillusi si alternano tra ripetizioni ossessive e toni rassicuranti. I Nastri sono dove l’analogico incontra il digitale, dove smetti di chiedere e inizi ad ascoltare. Il brano è il primo singolo estratto da “Cos’hai In Mente?”, nuovo album della band milanese prodotto insieme ad Edipo, tra melodie indie pop e sperimentazioni elettroniche, in uscita a gennaio per Costello’s Records.
Il festival Jazz Re:Found sbarca a Torino (da questa sera!)
Dopo sette edizioni a Vercelli, Jazz Re:Found, festival legato alla musica elettronica e alle contaminazione con il jazz, il soul e l’hiphop, si sposta a Torino proponendo un cartellone di altissimo livello artistico.
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Abiura – Piccola Storia di una Bimba e del suo Aquilone di Idee
Rock allo stato puro: ecco come si potrebbe definire in poche parole Piccola Storia di una Bimba e del suo Aquilone di Idee degli Abiura. Un titolo apparentemente lungo e complesso che lascia presagire sonorità Progressive Rock ma che, in realtà, piuttosto che Premiata Forneria Marconi (come Franz Di Cioccio il gruppo è originario di Pratola Peligna) e Banco del Mutuo Soccorso, prende come punto di riferimento i Timoria della prima ora (quelli con Francesco Renga in formazione, per capirsi) e i Litfiba post El Diablo. Dalla cosiddetta “Quadrilogia del Potere” della band fiorentina gli Abiura hanno infatti attinto parecchio, imitandone i suoni e gli stili. Basta ascoltare la chitarra in “Il Nonno della Bimba (il Vecchio)” per far tornare alla memoria il tapping di Ghigo Renzulli ma tuttavia c’è anche tanto altro in questo disco. “Sorella” è un brano dalla classica impronta Blues alla Stevie Ray Vaughan / John Mayall, mentre la conclusiva “Festa” è molto più Heavy rispetto a quanto sentito in tutto il resto del cd. Se dovessi dare un consiglio ai quattro ragazzi abruzzesi, direi loro di provare ad ascoltare anche i Diaframma, che del Rock italiano sono un pezzo importante e non da trascurare in modo da ampliare la molteplicità dei suoni proposti. Qualche riff di stile fiumanesco in fondo ci starebbe davvero bene all’interno delle loro canzoni, anche per dare una fluidità melodica maggiore facendo attenzione a non sfociare in un’impronta Punk che denaturalizzerebbe lo spirito del progetto. Avrei anche cercato un mixaggio leggermente diverso perché gli strumenti non sono bilanciati come dovrebbero ma tuttavia, a parte questo piccolo particolare tecnico che probabilmente sarà anche voluto per dare un sound “grezzo” e allo stato brado, come nel più classico Rock n’ Roll, il disco non soffre mai di “alti e bassi”. Piccola Storia di una Bimba e del suo Aquilone di Idee degli Abiura è infatti un lavoro che suona quasi perfetto anche negli arrangiamenti e, in aggiunta, degni di nota sono anche l’artwork generale con un insieme di disegni realizzati da una bambina e dalla stessa voce della band, opere d’arte del maestro Silvio Formichetti e foto volutamente retrò che richiamano alla memoria quelle di The Doors, The Allmann Brothers Band e The Notting Hillbillies. Perché in fondo le radici del Rock sono quelle, ed i buoni alberi nascono tutti da lì. O dall’Abruzzo forte e gentile!
Il Video della Settimana: Blastema – “Orso Bianco”
Ecco il nuovo disco dei Blastema. Si intitola Tutto Finirà Bene e segna il ritorno alla scena indie per eccellenza con un bellissimo disco ricco di ispirazione. Dalla storica voce di Matteo Casadei si dipanano 12 brani di Pop Rock italiano estremamente contaminato, dall’elettronica come da quel certo ascolto proveniente dai paesi inglesi. Abbandonate le forme canzone spudoratamente pop e classicheggianti, ci pare che questa prova dei Blastema sia una delle migliori, se non la migliore, di questa carriera che dura ormai da quasi 20 anni. Il singolo “Orso Bianco” è il video di lancio ed è il nostro video di questa settimana:
Blastema e la nuova scena discografica. Come siete tornati in campo dopo il successo di Sanremo?
Sia chiaro: non c’è stato nessun “successo di Sanremo”, ma solo un’esperienza che ha acconsentito di poter avere accesso ad altre situazioni vantaggiose e inclini a quello che più ci piace fare: suonare. Per questo “siamo tornati in campo” con lo stesso spirito della squadra di calcio che si prepara a riaffrontare la partita dopo la pausa tra il primo ed il secondo tempo.
Anche se non vi siete mai fermati, tornare a fare un disco oggi che di dischi quasi non si può più parlare: che senso resta al mestiere?
Sintassi? L’onore delle armi? Questo non è un mestiere ma una vocazione; il fatto che si vendano meno dischi non significa che non ci sia un popolo che ancora desidera acquisire dischi. Magari è una pratica datata e feticista, ma dubito che scomparirà. E poi il senso di un musicista è suonare, mica vendere i dischi. Giusto?
“Orso Bianco”. Un bellissimo singolo. Che immagine è quella dell’orso bianco?
Un animale in via di estinzione, come chi si informa prima di fare domande.
Après la Classe || Intervista
Un gruppo che offre il meglio di sé nei suoi concerti, ma che non si risparmia nei dischi in studio sprizzando energia ovunque. Con quasi venti anni di carriera alle spalle sono una delle formazioni più longeve dell’Indie Rock italiano. Ne abbiamo parlato con Puccia che si è fatto portavoce della band
Il video della Settimana: Coffeeshower – “Broken Pieces”
I Coffeeshower sono una Punk Rock band nata a L’Aquila nel settembre 1999, dall’incontro di due studenti appassionati di Punk Rock, Pier e Eddie, con l’aggiunta di Fausto, il fratello maggiore di Pier. Il risultato dell’incontro dei tre è un particolare mix di Punk Rock, Hardcore e melodie Pop che ricorda molto i Bad Religion e i primi Offspring. Development del 2001 va esaurito in pochi mesi e fa dei Coffeeshower un piccolo caso per i seguaci del Punk italiano. Nel 2004 la piccola etichetta genovese li nota e decide di far uscire uno split intitolato Split by Side condiviso con gli olandesi Dependent, e poi partono in tour con i canadesi Belvedere. Il 2006 regala ai Coffeeshower l’opportunità di calcare il palco dell’Heineken Jammin Festival e di suonare in Svizzera al Taste of Chaos Festival, dividendo il palco con Taking Back Sunday, Saosin, Underthoat e Anti-Flag. All’inizio del 2009 i nostri hanno giusto il tempo di togliersi un’altra grande soddisfazione aprendo lo show bolognese di Chuck Ragan, voce del leggendario gruppo statunitense Hot Water Music: pochi giorni dopo il terribile sisma colpisce la loro città e costringe i Coffeeshower ad una lunga pausa forzata. Pur tra mille peripezie la band porta a termine nuove registrazioni e pubblica a inizio 2011 con la Indelirium Records il tanto sospirato full-lenght Kicking a Medicine Ball. A seguire tanti concerti in Italia e in Europa e una nuova uscita discografica per Indelirium Records, l’album compilation The Glory Years del 2013, che assieme a due inediti nuovi di zecca raccoglie tutto il vecchio materiale sparso qua e là tra ep e compilation varie e celebra i quindici anni di onorata carriera dei Coffeeshower. Il 13 novembre 2015 uscirà su Ammonia Records il nuovo album intitolato Houses, prodotto da Daniele Brian Autore (voce dei Vanilla Sky), anticipato dal videoclip del singolo “Broken Pieces” girato da Stefano Poletti.
I Coffeeshower tornano con un video che anticipa il nuovo album
I Coffeeshower sono una Punk Rock band nata a L’Aquila nel settembre 1999, dall’incontro di due studenti appassionati di punk rock, Pier e Eddie, con l’aggiunta di Fausto, il fratello maggiore di Pier. Il risultato dell’incontro dei tre è un particolare mix di Punk-Rock, hardcore e melodie pop che ricorda molto i Bad Religion e i primi Offspring. Development del 2001 va esaurito in pochi mesi e fa dei Coffeeshower un piccolo caso per i seguaci del punk rock italiano. Nel 2004 la piccola etichetta genovese li nota e decide di far uscire uno split-cd intitolato Split by Side condiviso con gli olandesi DEPENDENT, e poi partono in tour con i canadesi BELVEDERE. Il 2006 regala ai Coffeeshower l’opportunità di calcare il palco dell’HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL e di suonare in Svizzera al TASTE OF CHAOS Festival, dividendo il palco con TAKING BACK SUNDAY, SAOSIN, UNDEROATH e ANTI-FLAG. All’inizio del 2009 i nostri hanno giusto il tempo di togliersi un’altra grande soddisfazione aprendo lo show bolognese di CHUCK RAGAN, voce del leggendario gruppo statunitense HOT WATER MUSIC: pochi giorni dopo il terribile sisma colpisce la loro città e costringe i Coffeeshower ad una lunga pausa forzata. Pur tra mille peripezie la band porta a termine nuove registrazioni e pubblica a inizio 2011 con la Indelirium Records il tanto sospirato full-lenght Kicking A Medicine Ball. A seguire tanti concerti in Italia e in Europa e una nuova uscita discografica per Indelirium Records, l’album compilation The Glory Years del 2013, che assieme a due inediti nuovi di zecca raccoglie tutto il vecchio materiale sparso qua e là tra ep e compilation varie e celebra i 15 anni di onorata carriera dei Coffeeshower. Il 13 novembre 2015 uscirà su Ammonia Records il nuovo album intitolato Houses, prodotto da Daniele Brian Autore (voce dei VANILLA SKY), anticipato dal videoclip del singolo “Broken Pieces” girato da Stefano Poletti.