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Oddu – Genealogia delle Montagne

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Li si conosceva già, e non solo nell’underground piemontese, quando erano i Baroque. Sonorità Pop anni ’80, tastiere tastiere tastiere, smalto scuro sulle dita e declamato teatrale. Molto del progetto Baroque è rimasto negli Oddu, per quanto la formazione sia cambiata e siano cambiate anche le influenze, le matrici, l’età anagrafica (che comunque non è un dato trascurabile) e l’intenzione.

“Quattro Inverni” ha un’intro fresca, che dall’Indie americano scende nel cantautorato nostrano alla Tozzi, mentre “Nella Prossima Vita” strizza l’occhio al Folk Pop dei Mumford and Sons. E in due sole tracce gli Oddu sono riusciti a farci capire la babilonia di ispirazioni che sottostanno alla fase compositiva. “Atlanti Perduti” è figlia dell’esigenza di raccontare e raccontarsi, con quelle liriche impegnate e il cantato che piega il virtuosismo alla narrazione semplice e lineare; “Mostro Cammina” sa di pioggia e Francia, per dirla con Paolo Conte. Personalmente, poi, mi ha ricordato tantissimo La Rue Ketanou (se non li conoscete sarebbe più che opportuno rimediare). Con “I Buchi sul Sedere” sbucano le ceneri dei Baroque, gli anni ’80, una certa nostalgia Glam. “Un Cuore Buono” apre in maniera molto intima e introversa, con la delicatezza del piano che tratteggia un’atmosfera un po’ cupa, che si trasforma, di nuovo, in Popular, in Folk.
E gli Oddu sembrano, fin qui, averci fatto vedere tutto quello che sanno, pure forse in maniera un po’ troppo articolata e complessa. Eppure non abbiamo ancora sentito tutto: “Battisti” è una sorta di scherzo elettronico citazionistico, da Battiato (più che da Battisti) a “Jump” di Van Halen, dai Bluvertigo dei tempi d’oro a contrappunti Jazz.
L’unico leitmotiv che sembra davvero omogeineizzare la produzione degli Oddu è la nostalgia per un passato musicale glorioso, come sembra confermare anche “Non Fate Mai la Carità”: a tutti gli effetti un semplice brano cantautorale, dove però (e forse, per i tempi che corrono, stranamente), non si guarda a Capossela o Mannarino, ma più indietro, a Rino Gaetano e De Gregori, senza neppure pensare di scomodare l’inflazionato De Andrè. E’ una scrittura complessa quella degli Oddu, elitaria, macchiata dalla saudade aristocratica per i bei tempi che furono, più che animata dall’entusiasmo borghese.
“Savona 12 dicembre 2011” completa il quadro dell’eclettismo della band. Troviamo tutto: la formazione accademica, lo studio del pianoforte, il litigio con le maglie larghe del Pop-Rock. La chiusura di “Genealogia delle Montagne” è aulica e imponente sul piano fonico, un tributo al Progressive Rock, per tornare al principio.

Non è un disco semplice. Affatto. Manca qualcosa che guidi l’ascoltatore in un percorso, manca un’unità di intenti e narrazione, ma, lasciatemelo dire, è forse uno dei più interessanti lavori indipendenti che mi sia capitato di ascoltare. Un grande potenziale che spero gli Oddu sappiano incanalare nella giusta direzione comunicativa e sviluppare.

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JuJu – JuJu

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Duran Duran – Girls on Film 1979 Demo

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Molti si sono spesso chiesti come suonassero i Duran Duran prima di diventare famosi. La risposta era venuta già alcuni anni fa, quando i membri fondatori del gruppo Nick Rhodes e Stephen Duffy diedero alle stampe Dark Circles sotto il nome The Devils, in cui raccolsero molte delle idee disseminate nel primissimo periodo della band reincidendo dodici brani dell’epoca suonandoli con strumenti vintage.

Con Girls on Film 1979 Demo siamo invece di fronte alla trasposizione sonora da cassetta a vinile e cd del primissimo demo ufficiale della band inglese. Certamente sono presenti anche alcuni limiti nell’audio, ma c’è da dire che è stato fatto davvero un ottimo lavoro di masterizzazione, oltre che a livello di artwork. La formazione non vedeva né Duffy né Simon Le Bon alla voce, ma un giovanissimo Andy Wickett, che aveva lasciato da poco i Tv Eye, band di cui John Taylor e Nick Rhodes erano soliti seguire i rehearsals in studio. La fusione fra i due gruppi avvenne così in maniera naturale e  la line up a cui si era giunti era così composta: Andy Wickett (con il nickname Fane) alla voce e al piano, John Taylor alle chitarre, Roger Taylor alla batteria e Nick Rhodes alle tastiere.

Quattro i brani qui presenti.
“See me, Repeat me” è spesso indicata come una primordiale “Rio”, mentre in realtà la primissima incarnazione del pezzo fu “Stevie’s Radio Station” (che potete trovare in una sorta di greatest hits di Andy Wickett in vendita sul suo sito ufficiale); la canzone è caratterizzata dal drumming preciso e metronomico di Roger Taylor, che si esibisce anche in rullate ben assemblate che fungono da divisorio fra i vari riff. La voce di Andy Wickett ha uno stile prettamente Punk, quasi à la Johnny Rotten; peccato che (solo in questa occasione, sia chiaro) John Taylor e Nick Rhodes passino quasi in secondo ruolo.
In “Reincarnation……”qualcuno ha sentito anche reminiscenze di “Khanada”, b-side dell’hit “Careless Memories”, che dà anche il nome a uno dei più ricercati bootleg su vinile dei Duran Duran. Questa volta però anche le tastiere e le chitarre hanno un ruolo essenziale nella struttura. Viene da chiedersi come mai una piccola gemma come questa non trovò spazio nel disco omonimo di debutto della band. Sarà stata la voglia di rinnovamento? Di certo sarebbe stata all’altezza della situazione, ma questa è in fondo solo un’opinione personale.
“Girls on Film” è nella sua prima stesura con testi e musiche molto differenti da quelli che appena due anni dopo compariranno sul primo omonimo album della band. I ritmi sono molto più veloci e risentono maggiormente delle sonorità tipiche della Disco Music anni 70; i tecnicismi abbondano ed il talento dei ragazzi di Birmingham appare più evidente facendo capire che presto sarebbe diventata per forza di cose un singolo, che pur acquistando una pelle diversa, avrebbe entusiasmato le generazioni a venire tanto da venire spesso usata come bis nei concerti anche quasi quarant’anni dopo.
“Working The Steel” ha il duro compito di chiudere questo lavoro che pur essendo stato pubblicato nel 1979 solo come cassetta demo ha un grande valore per l’intera storia musicale britannica. Forse non si stava lavorando l’acciaio come suggerisce il titolo in fase di scrittura ma di certo si forgiava un sound che avrebbe influenzato tre decadi di musicisti.

Girls on Film 1979 Demo, nonostante siano passati quasi quarant’anni dall’inizio della storia dei Duran Duran, suona ancora fresco, grazie anche all’immenso lavoro di produzione di Bob Lamb (che nel 1979 stava lavorando in contemporanea a un’altra pietra miliare della musica inglese, il primo disco degli UB 40). Mai i Duran Duran mi sono sembrati così istintivi nella loro musica, tenendo fede a quell’attitudine Punk che tanto andava di moda ma guardando anche a modelli quali i Japan di David Sylvian che grazie ad album seminali quali Adolescent Sex e Obscure Alternatives erano già considerati fra i padri fondatori della New Wave britannica. I Duran Duran negli anni a venire getteranno invece le basi per il movimento New Romantics e Girls on film 1979 Demo non può che essere il punto di partenza da cui è nata una leggenda.

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Lola Stonecracker, online il lyric video di “Witchy Lady”

Written by Novità

Ilaria Pastore – Il Faro la Tempesta la Quiete

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Ilaria Pastore arriva al secondo disco con delle cose da dire (e non da poco): si parla di maturità, amore, rispetto per se stessi, per il proprio tempo, per i propri dubbi. Ci arriva con le idee chiare, una voce pulitissima e leggera, scevra da ogni traccia di retorica, e un gusto per l’arrangiamento scaleno e obliquo (curato da Gipo Gurrado) che rende Il Faro la Tempesta la Quiete un’opera leggiadra, iridescente, sempre in movimento.

Il nucleo del disco è il binomio voce-chitarra, gestito sempre con una limpidezza esemplare, e con inserti misurati e accorti di batteria, basso, pianoforte, archi e fiati, che allargano il campo senza mai strafare, con una precisione di incastri di melodie e armonie che avvolge e distende.
Ilaria Pastore sa raccontare senza fronzoli dettagli minuti ma importanti: una foto della madre che sorride tra i panni stesi (“Polaroid”), il dubbio come luogo della mente da cui non bisogna per forza fuggire ma in cui si può, e forse si dovrebbe, anche sostare (“Il Dubbio”), e poi la vita di coppia, soprattutto nelle sue difficoltà e fragilità (“Buio Pesto”, “Tu Sbufferai”, “Va Tutto Bene”, “Decifrato”). Il racconto è semplice ma efficace; a volte inciampa nel ridicolo (“Compro Oro”), ma spesso riesce nell’impresa di far convivere una scrittura colloquiale e una pregnanza inaspettata: in questa passeggiata così breve / consideriamo tempo perso quello speso bene, da “Ricordi Migliori”; o forse sarebbe meglio trovare la volontà di dirsi / siamo in ritardo / abbiamo sprecato del tempo e del coraggio ed ora / siamo in ritardo, da “Va Tutto Bene”, che fotografa un certo sentimento che pare serpeggiante in una società basata sulla fretta e sulla competizione sfrenata, anche nel rapporto a due.

Il faro la tempesta la quiete rischia qui e là lo scivolone quando la semplicità dei testi, spesso gradevole, si avvicina pericolosamente all’ombra della sciatteria; per fortuna ciò non accade spesso, e Ilaria Pastore arriva alla fine con grazia e convinzione, merito soprattutto della sua voce sempre impeccabile e dal timbro così trasparente, fresco e intenso insieme. Con qualcosa in più sarebbe stato un album meraviglioso – si dovrà accontentare (si fa per dire…) d’essere un buonissimo disco.

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Agostino Tilotta | Intervista al chitarrista di Uzeda e Bellini

Written by Interviste

We’re All To Blame – Break The Circle [VIDEOCLIP]

Written by Anteprime

In anteprima esclusiva per Rockambula, “Break The Circle” è il nuovo video dei ferraresi We’re All To Blame, un potente mix di diversi generi che spaziano dal Rock elettronico e sperimentale, al Noise e all’Ambient.

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Le Chiavi Del Faro – “Plastiche, L’inventario” [FREE DOWNLOAD]

Written by Anteprime

faro

“Liberi ma legati, corriamo restando fermi.

Gli opposti sono il tema che scorre lungo Plastiche, L’inventario.

In noi convive il contrasto di rapporti agli antipodi.
È sempre la stessa storia…vorrei ma non posso, devo ma non voglio…e siamo sempre solo all’inizio.
Le estremità che vanno in collisione, sfidandosi in una lotta senza fine.
Le nostre contraddizioni ci spronano a scegliere da che parte stare e non c’è soluzione se non quella di abbracciarne l’imprevedibilità, per poi capire, modificarsi e migliorare.
Rischiare ma essere partecipi, essere veri e combattere i silenzi.
Arduo sarà mostrare il contenuto ma solo allora saremo slegati da ciò che è comodamente visibile”.

Scarica il brano QUI

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Streetambula Winter Session! Ecco come fare per partecipare

Written by Senza categoria

Torna Streetambula con la sua edizione invernale e lo fa con una formula tutta nuova che mescola le sue radici con l’ultima evoluzione. Dunque, all’esibizione di un artista di punta, ospite della serata, che in questo caso sarà Francesco Costantini il quale presenterà il suo ultimo album, si affiancherà un contest aperto a tutte le band emergenti e originali d’Italia. Come sempre, le 4 band in gara saranno valutate da una giuria di esperti secondo criteri stabiliti anticipatamente. I premi in palio sono:

• Intervista e promozione sul sito www.rockambula.com (Rockambula Webzine)

• Apertura al gruppo di punta dell’edizione estiva (lo scorso anno erano i Thegiornalisti)

• Servizio fotografico professionale con Giuseppe Zaccardi

• Live presso il GARBAGE LIVE CLUB nel 2016

Per iscrivervi inviate un messaggio alla pagina Facebook Streetambula Music Contest indicando il nome della band, con una piccola biografia e link per l’ascolto sia live che studio. Non sono previsti rimborsi spese oltre ai premi indicati che non è escluso possano essere ampliati.
Per ulteriori informazioni contattateci ai numeri:

3400690969 Silvio
3482935906 Fabio
3389365610 Riccardo

Streetambula Rock Contest WINTER SESSION
20 FEBBRAIO 2016
Garbage Live Club
Via Levante 1 Pratola Peligna (AQ)

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“Il Lavandino”, il nuovo video di Luca Janovitz

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“Quando l’amore non è swing”…con questa premessa il cantautore fiorentino Luca Janovitz presenta “Il Lavandino”, il suo nuovo video, in uscita il 23 novembre 2015, singolo disponibile su tutti i digital stores. Fosse anche solo perché in ritardo di 3 anni dall’uscita del singolo, edito nel 2012 con il suo primo album One Day Only, Nov 23, questo video ne ha vista di acqua passare sotto i ponti o per meglio dire, dal suo lavandino… già parola insolita per una canzone ma carica di significati. È la storia di un amore naufragato, una femminilità cinica che non la vince tuttavia sul dondolarsi di passioni incontrastate… quando l’amore non è swing, ha perso la sua giocosità, rigurgita sangue e sbriciola le passioni. Alla realizzazione del video “Il Lavandino” ha collaborato un folto gruppo creativo fiorentino, di oltre 30 artisti tra attori, musicisti, ballerini e staff tecnico.

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Intervista agli Sharazad

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Band formata da Alessandro Moroni (chitarra elettrica/effettistica/synth/mandolino), Diego De Franco (chitarra elettrica/tastiere/synth/batteria/voce) e Federico Uluturk (chitarra elettrica e acustica/basso/synth/organetto/voce) la cui forte amicizia ha reso più semplice la condivisione della loro più grande passione, la musica. Musica che hanno inciso sul loro omonimo EP che da qualche giorno sta facendo il giro di tutti i nostri lettori mp3.

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Le Choix – Finchè Vita Non Ci Separi

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Testi ben pesati e Rock italiano. La formula è già trita e ritrita, ma siccome di matematica non si parla, entra in gioco il colore. E il calore. Le Choix non sono di certo una band che punta all’innovazione, ma non fa nemmeno del calore la loro arma migliore. Gli undici brani di Finchè Vita Non ci Separi risultano tiepidi, frutto forse della produzione non troppo pompata o probabilmente del piglio non propriamente aggressivo che il gruppo abruzzese fornisce al suo sound. Le chitarre, sebbene ben incastrate tra di loro, sono lontane anni luce da un qualsiasi tipo di groove, mentre basso e batteria fanno il minimo sindacale per accompagnare tutte le canzoni comodamente al termine. Insomma non solo manca il rischio, manca anche la convinzione di prendere la strada sicura. Il disco in questione si fa comunque ascoltare, resta tiepido ma non insipido. A tratti ripetitivo e ostinato su sonorità e mood esageratamente scontati, spesso appesantiti dalla voce di Fabio Neri, che risulta rigida e poco fluica. Il ragazzo sprizza grande tecnica ma a volte capita di cadere nella trappola e, senza troppe forzature, viene da avvicinarlo a Piero Pelù.

Spezzando una lancia a favore del cantante, c’è da dire che i testi vengono sempre interpretati con emotività e Fabio pare cantare con tutto il corpo. Sprazzi di calore. Anche fermandoci sulle canzoni si rimane purtroppo spesso in uno stato di stallo. L’inizio di “Innesco di Fato” sembra rubato dagli Afterhours di “Piccole Iene” per poi sprigionare un ritornello più hard e diretto. Gli arpeggi di chitarra cercano sinuosità ma risultano spigolosi e arenati dentro una formula troppo rigida. “Pioggia di Luglio” cerca soluzioni ritmiche più complesse ma non muove di molto l’atmosfera, mentre il singolo “Orchidea” è sicuramente una canzone più radiofonica, sebbene pare perdere la brillantezza mostrata nei testi dei primi due brani. La ballata è dietro l’angolo, ce la aspettiamo, e infatti eccola servita in “Io Resto Qui” dove le chitarre sembrano finalmente rendere giustizia tra note lente e alte (ora taglienti!) e una ritmica che resta semplice ma calza a pennello. Parole a puntino, con tanto di finale narrato ma che non sbrodola in teatralità. Un brano degno di nota e ciò che a mio parere porta a sbilanciare il disco verso la sufficienza. Il resto dell’album invece tocca più le corde della noia che dell’entusiasmo, “Politikani” è un azzardo mal riuscito con un’accozzaglia di sentenze di personaggi politici in mezzo. Pure l’altra ballata “Segreto”, non acchiappa se non per il testo intenso e intelligente. L’impressione è che fosse stato un EP e si fosse puntato ad arrangiamenti più vari in meno brani, forse sarebbe uscito un lavoro più variopinto e meno monotono. La fatica e il sudore si sentono e sono presenti, per fortuna almeno l’onestà del progetto è viva e vegeta. Manca la fantasia, e poi quella spinta che ti fa vibrare le ossa.

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