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La Band della Settimana: Funkin’ Donuts

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Funkin’ Donuts, ovvero il perfetto connubio tra glassa e Funk, tra zuccheri polisaccaridi e Rock, tra obesità e sordità. ‘Come possiamo danneggiare la società più di quanto non stiamo già facendo?’
È con questo amletico interrogativo che si sono ritrovati Tommaso e Simone in una fredda giornata di Dicembre. Era la fine del 2011 e la scelta dei regali di Natale e i fallimentari progetti per Capodanno avevano riempito di astio i due ragazzi. Una rabbia primordiale, un’angoscia insormontabile, un livore inaudito erano stati i compagni delle loro giornate fino a quel momento, fino all’arrivo di quella decisione che cambiò le loro vite. In peggio ovviamente. ‘Tommà c’ho un batterista con cui suono, perché non mettiamo su un gruppo Funk?’ ‘Vabbè va, tanto ho finito GTA’

E così tutto ebbe inizio.
Il primo batterista, il già citato amico di Simone, è stato Davide Cannella, arcigno membro della sicurezza di Fiumicino, solido nel lavoro tanto quanto sullo sgabello da batterista. Con lui, il neonato terzetto sforna i primi pezzi, ispirandosi liberamente (molto liberamente) ai tanto amati album di Red Hot Chili Peppers e Rage Against The Machine. L’esigenza di un elemento dissonante però era evidente. Troppo bravi, troppo belli, troppo intelligenti, serviva un elemento che rappresentasse un punto di rottura. Forti della serenità dell’inizio del nuovo anno, la scelta ricadde ovviamente sul veterano delle dissonanze (musicali e personali) Flavio. A inizio 2012 la prima line-up dei Funkin’ era quindi completa.
La prima metà di quello che si diceva sarebbe stato l’ultimo anno della Terra passò nella classica routine musicale dei gruppi emergenti (prove, concerti, prove, registrazioni, concerti) fino ad arrivare a Settembre, quando avvenne il primo cambiamento: Davide fu sostituito da Phil, all’anagrafe Phil. L’alter-ego sobrio di Dave Grohl si inserì nel gruppo in un momento molto proficuo. Con lui i Funkin’ girarono numerosi locali di Roma, toccando anche altre città italiane. È questo un periodo di grande sperimentazione live, un periodo che permette a tutti i membri di crescere. I membri del gruppo ovviamente. Cioè i componenti dei Funkin’ Donuts. Questo periodo di crescita non si arresta neanche con la partenza di Phil, in Aprile 2013, prontamente sostituito da Lorenzo, una vecchia conoscenza dei tre che diventa immediatamente “il bello” dei Funkin’ Donuts. Con lui alla batteria, termina definitivamente il lavoro sul primo EP della band.”

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Qui per l’ascolto di un brano

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Nuovo video per i Nebelung!

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Dopo l’indicazione del loro Palingenesis come disco del mese su Rockambula, per i Nebelung è arrivata l’ora di un nuovo videoclip che siamo felici di mostrarvi qui di seguito. Parlare di Neo Folk per la musica della band tedesca è sempre pericoloso; Ambient, Dark Folk e quant’altro sono solo una piccola parte della musica senza tempo dei Nebelung e le immagini che accompagnano le note nella clip sono un modo alternativo per godere della loro magia mistica e naturale.

NEBELUNG ‘Mittwinter’ (official music video) from ToT Records on Vimeo.

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Il Video della Settimana: Be Forest – Captured Heart

Written by Senza categoria

Be Forest. sono un’altra band della east coast nostrana, di Pesarooklyn per l’esattezza. Echochitarre al delay, basso atmosphere, voce calda e cupa allo stesso tempo, sussurrata, presente/assente quanto basta, ritmiche serrate e minimali, tutti e tre in piedi. Più giovani dei giovanissimi, esordiranno a marzo con il primo vero disco. Il suono dei Be Forest. è un soffio freddo e nitido che arriva da quell’inverno. Non è un ricordo, non è un revival. C’è la stessa scossa buia e abbagliante che agita ancora i feedback delle loro inquiete chitarre, che rimbalza dentro i loro cupi tamburi, che scintilla nei gelidi riverberi di quella voce. Un suono dall’equilibrio perfetto, tra la misura del freddo assoluto e la passione piena delle loro canzoni.”
La clip scelta questa settimana e che potrete vedere di seguito e in home fino al prossimo sabato è “Captured Heart”, tra New Wave e Deam Pop, tra Dark Rock e Shoegaze, un brano che non potevamo lasciaci sfuggire e una clip di tutto rispetto, diretta da M U T E, tratta dall’ultimo album Earthbeat.

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Domani No di Cristiano Carriero: quando i libri fanno riflettere sulla musica.

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domani no - Sconosciuto

Boavida se ha muerto. Boavida è morto. Mai affermazione fu più chiara, precisa, netta. Non c’è scampo ad un’affermazione così. Ad ucciderlo è stato Ernesto Celi, in arte Ernestoc’è, ovvero, uno dei protagonisti, insieme a Boavida, di Domani No, l’ultimo romanzo di Cristiano Carriero (Bari, Gelsorosso, 2013). La questione però è che Boavida ed Ernestoc’è sono la stessa persona, almeno fisicamente, perché Boavida è in realtà un personaggio creato a tavolino da un discografico senza scrupoli conosciuto durante un Contest musicale, al quale Ernesto affida la propria musica ricevendo in cambio la promessa di un successo assicurato. È da qui che comincia o finisce tutto, dipende dai punti di vista: l’immagine da ragazzo della porta accanto nella quale Ernesto non si rispecchia affatto, la vetta delle Hit Parade con il suo tormentone estivo “Ossessione Onirica”, il nome d’arte Boavida (che poi di arte non ha davvero un cazzo, osserva giustamente Ernesto), una comparsa al Festivalbar e i movimenti sul palco alla Mauro Repetto (se non sai chi sia, vedi alla voce “quello biondo degli 883”), la partecipazione a Sanremo con una canzone riassunta tutta nell’ultimo verso che dice: senza dir nulla ho scritto una canzone, il declino, l’abisso, il dimenticatoio.

Non c’è niente di nuovo in tutto questo, mi direte. Infatti, è proprio questo il dramma. Ormai ci siamo talmente assuefatti ai tormentoni non più solo estivi, ma a cadenza mensile, ai successi che vanno e vengono con la velocità di un’eiaculazione precoce, che non ci rendiamo più conto di quanto un artista si trovi un giorno sulla vetta del mondo, e quello successivo nello strapiombo della dimenticanza. Ma di quale vetta stiamo parlando? Per Ernesto la vetta del successo ha coinciso esattamente con l’abisso in cui è caduta la sua anima. Ossessione Onirica, Ossessione Onirica ribelle: ma quale ribellione? L’alienazione totale, piuttosto: testi “disimpegnati” nei confronti anche di sé stessi. Canzoni che non devono far pensare, canzoni da canticchiare e basta, canzoni da una botta e via. E nulla più. Il caso ha voluto che stessi leggendo questo libro e facendo queste considerazioni proprio il giorno in cui ho letto che Valerio Scanu (si, proprio lui, quello dell’amoreintuttiimodiintuttiiluoghiintuttiilaghi) ha strappato il contratto con la sua ormai ex casa discografica e ha deciso di auto prodursi. E forse è un caso anche che mentre in Domani No si racconta dei perfidi meccanismi dei Talent Show, mi capita di leggere del giudice che ha rivolto insulti ad un cantante omosessuale durante l’edizione Rumena di X-Factor. Ora, non starò a sindacare su quanto la grettezza delle affermazioni di quel giudice abbiano a che fare con il fattore spettacolo; so solo che ancora una volta si è persa una buona occasione per far prevalere il buongusto, e che il libro che stavo leggendo purtroppo aveva a che fare irrimediabilmente con la realtà.

Alle volte però la vita si sa è strana, e proprio quando sei convinto che la strada che stai seguendo sia quella giusta, ti costringe a deragliare e a prenderne un’altra. Proprio come succede ad Ernesto. Ma non starò a raccontarvi altro, lascerò a voi la scelta di leggere o meno questo romanzo, che è fatto di musica, senz’altro, ma anche di amicizia, “drammi” familiari, amore, di band che si sciolgono e di band che nascono, di furgoni e camper su e giù per l’Italia, di critici musicali che con i loro editoriali sembrano decretare la tua fine ma in realtà è solo un nuovo inizio, dei soldi che non sono mai abbastanza, e di questa Generazione di Fenomeni che siamo noi, esperti in salti mortali, si, quelli che si fanno per arrivare a fine mese. E forse è per questo che siamo maggiormente sensibili a quei treni che a quanto pare  passano una sola volta nella vita. Come il treno del successo, ad esempio: se non lo prendi al volo non ti ricapiterà mai più. Ma a quale prezzo si sale su questo fantastico treno? Che costo ha questo maledetto biglietto? È una domanda che faccio a chi ha una band, ma anche a chi una band non ce l’ha, e spera in ogni di caso di poter vivere un giorno di musica. Siamo realisti, qua non si campa d’aria, anche se i Folkabbestia per anni hanno affermato il contrario. Ma esiste un limite oltre al quale non ci si può spingere? Fino a quando è accettabile il compromesso? Ed il successo può davvero definirsi tale anche quando porta alla negazione di sé stessi?

C’è un passaggio del libro che mi ha colpito particolarmente. Ernesto, Ciccio e Tony (altri due personaggi fondamentali) si interrogano sul da farsi circa il loro futuro di musicisti e di Band. Il discorso prende una piega strana e i tre amici cominciano ad interrogarsi su quale sia la chiave del successo. Quello con le idee più chiare è Ciccio: a me non interessa far parte di un mercato marcio dove ti vendono come un paio di scarpe finché non passi di moda. Il più incerto invece è, come al solito, Ernesto: tanto non la capirò mai qual è la chiave del successo, afferma sconsolato. Prova a non cercarla, gli risponde Tony. A quel punto ci pensa Ciccio a chiudere la questione; Io non so quale sia la chiave del successo, ma la chiave del fallimento è il cercare di piacere a tutti. Io aggiungo che la chiave del fallimento è anche non piacere soprattutto a sé stessi.

Ps. Alcuni pezzi di Ernestoc’è sono diventati davvero delle canzoni in seguito. Qui sotto trovate ad esempio “Domani No”

Intervista all’autore:

Ciao Cristiano, cominciamo dal titolo del romanzo: Domani No. Oltre ad essere anche il titolo di una canzone di Ernestoc’è, il personaggio principale, ha qualche altro significato in particolare?
Domani No è un invito a fare quello che ti senti, quello che ti dice la testa, o se vuoi il cuore. È come quando tiri una monetina in aria per scegliere tra due possibilità e sai già inconsciamente cosa preferisci tra testa o croce. Domani No è un modo per dire che nella vita si può anche attendere qualcosa di bello, ma non passivamente. Altrimenti non succederà assolutamente nulla. E questo Ernesto lo sa.

Nella postfazione al romanzo hai affermato che la lettura della biografia di Caparezza e Fabri Fibra è stata decisiva per delineare il personaggio di Ernesto. Come mai? Ci sono stati altri musicisti o band dai quali hai tratto ispirazione?
De Gregori, Guccini, i grandi cantautori. Gruppi come i Folkabbestia o la Bandabardò, i Martin Kleid, alcune belle sorprese come Mannarino e Brunori Sas. Ma Caparezza e Fabri Fibra sono i due che, con le loro peculiarità, meglio rappresentano Ernesto. E inoltre rappresentano le “mie” regioni: la Puglia e le Marche, luogo dove vivo.

Sempre nella postfazione hai scritto: “Io non sono un esperto di musica. Per scrivere questa storia ho dovuto studiare molto”. Cosa ti ha spinto allora a scrivere un romanzo dove la musica ha un ruolo tutt’altro che marginale, anzi, è una delle protagoniste principali?
Mi piace definire Domani No un romanzo di frustrazione. Nel senso che io volevo fare il cantante, e ho scritto anche diverse canzoni, poi non ci sono riuscito ma quella è un’altra storia. Purtroppo non ho la voce giusta. In ogni caso il mondo della musica, soprattutto quella italiana, mi ha sempre affascinato. E credo di saperne qualcosa, pur non essendo un cantante.

Qual è il tuo rapporto con la musica oggi? Scrivere questo romanzo ha cambiato questo rapporto? Se si, in che modo?
Ci sto più attento, nel senso che non scaricherei mai un brano gratis e dico davvero. Rispetto il lavoro dei musicisti, sono iscritto a Spotify a pagamento, scarico da iTunes. Ascolto anche i cantautori non ancora famosi e se posso cerco di conoscerli magari per coinvolgerli nelle mie presentazioni. Così è stato con Fabrizio D’Elia, che ha musicato “Domani No” (la trovate su Youtube) ed ha reso indimenticabile la presentazione di Bari, a Storie del Vecchio Sud accompagnandomi con la chitarra e con la voce.

Leggere il tuo romanzo è anche un bel modo di attraversare in lungo e in largo l’Italia: si parte da Bari per poi arrivare a Bologna, Roma, Milano. C’è perfino una tappa straniera in Albania. A Bari ti lega il fatto di esserci nato e vissuto, immagino. C’è qualcosa che invece ti lega agli altri luoghi menzionati?
Bologna, Roma e Milano sono tappe intermedie della mia vita. Per un motivo o per un altro ho avuto modo di conoscerle, apprezzarle e in alcuni casi disprezzarle, proprio come Ernesto. L’Albania rappresenta nel libro il luogo della redenzione, è il posto dove tutto ricomincia. E lo è stato anche per me, in maniera simbolica. Albanese è la ragazza che ho amato come poche altre cose al mondo. Albanese la sua famiglia, e il legame che si è creato con questa terra e con questa gente, nonostante le nostre strade si siano separate è indissolubile. L’Aquila ha due teste fa parte di me.

Sul mio libro c’è una dedica che recita: A Maria, ringraziandola per la domanda che sognavo da una vita. Ps. Non è un romanzo autobiografico!
Lo spieghi anche ai lettori di Rockambula perché per te è così importante che  non lo sia? Ed in ogni caso, sei proprio sicuro che non lo sia?
Sì, sono sicuro. Io non sono Ernesto, al massimo è lui che copia me e mi costringe a diventare come lui. Ma io resisto. Ho scritte diverse cose autobiografiche in vita mia, per questo stavolta era importante che questa storia non lo fosse. Era una sfida, volevo vivere un’altra vita, quella di un cantante famoso e di un ragazzo deluso per amore, in un momento in cui la mia vita sentimentale andava benissimo. Poi lascia stare che a me è successo esattamente quello che è successo a Ernesto. Se volete sapere cosa mi è successo leggete il romanzo!

Grazie Cristiano. Per finire la Domanda delle domande (o meglio, la Risposta delle risposte, se deciderai di rispondere): cosa avresti voluto che ti chiedessi e che, invece, non ti ho chiesto?
Sinceramente mi sono divertito a rispondere a domande diverse dal solito e quindi non posso fare altro che ringraziarti. Ma visto che me lo chiedi mi domando “Domani No potrebbe diventare un film?” e con un pizzico di presunzione di dico di sì, perché credo che la forza di questo romanzo sia la sceneggiatura, con dei flashback e dei personaggi fatti apposta per il cinema. Anzi, conosci un regista?

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La Band della Settimana: Fake Heroes

Written by Novità

“Sono giorni strani che scorrono veloci, tra sogni e delusioni. La decadenza sociale incalza e ogni giorno inseguiamo inutilmente falsi eroi, miti dei nostri giorni. Questo clima ispira la formazione dei Fake Heroes nel febbraio del 2012, senza una storia alle spalle ma con la solita voglia di comunicare con la musica che accomuna tutte le band “emergenti”, emergenti poi da chissà cosa. Rock diretto e solido con sfumature Nu-metal e Classic come a voler unire “sacro e profano”; al tutto si mescolano sensazioni, emozioni e stati d’animo che si provano vivendo in una società in mano alla follia delirante di una manciata di pazzi che decidono per la vita di milioni di persone occupate a guardare altrove, occupate a seguire falsi eroi.”

Sono i Fake Heroes, formazione di Pescara sotto contratto con Antstreet Records, la nostra band della settimana, in attesa di un nuovo lavoro in studio.

Manuel Gatta – Lead Vocals
Gianni “Draft Djentleman” Vespasiani – Guitar & Backing Vocals
Simone “Roll” Del Libeccio – Guitar & Backing Vocals
Francesco “Zack” Cetrullo – Bass
Riccardo Ruiu – Drums

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Il Video della Settimana: Le Fate Sono Morte – È Già Settembre

Written by Senza categoria

Le Fate Sono Morte nascono nel Settembre 2008 dall incontro di Andrea Di Lago (voce chitarra) e Giuseppe Musto (batteria) e poi di Diego Colombo (basso), che lascera’ qualche mese piu’ tardi il posto a Stefano Felli (basso) e quindi di Michele Verga (chitarra solista). Il gruppo sforna il primo demo Benvenuti negli Anni Zero dedicato alla nascita della band. Attingono il loro suono dal Cantautorato, dal Rock nostrano, dal post Grunge e dal Pop, da libri letti e da esperienze. Le Fate Sono Morte, ora è un pensiero. Inizialmente era un BLOG che parlava della vita negli anni zero. Le Fate Sono Morte sono 5 ragazzi che scrivono e cantano quello che vivono e sentono, un insieme di sentimenti , di libri letti , di frasi scritte di corsa su qualche foglio e dopo anni incastrate perfettamente dentro alle canzoni.
“È Già Settembre” è il primo singolo tratto dall’album La Nostra Piccola Rivoluzione e il videoclip vede la regia di Sergio Calandra. Sarà disponibile in homepage per tutta la settimana oltre che di seguito.

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Vinile vs Cd vs Mp3: è una questione di qualità o una formalità?

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A parità di tecnica di registrazione vogliamo qui toccare i vari aspetti, ma anche le trasformazioni, che i supporti audio hanno avuto nel tempo e come lo studio dell’apparato uditivo, unito all’avvento dell’information technology, abbia aiutato a elaborare nuove tecniche di diffusione dei materiali audio. Cominciamo dal pentagramma; quando la frequenza fondamentale di una nota (es. LA1=110Hz, LA2=220Hz … LA4=440Hz) viene raddoppiata, non facciamo che andare più in alto di un’ottava. Allo stesso modo, se vogliamo salire di un semitono basta moltiplicare per 21/12 la fondamentale. Dodici sono i semitoni che compongono una scala. L’orecchio umano è in grado di percepire un range di frequenze che vanno da 20Hz a 20KHz e va detto che la massima sensibilità si ottiene intorno ai 2-4KHz (che è la banda vocale utile trasmessa ad esempio sui cellulari); inoltre, come è facile intuire, con l’avanzare dell’età il limite superiore dei 20KHz tende a diminuire. Provate voi stessi, cliccate play sul video qui sotto e sentite che età hanno le vostre orecchie!!!

Le variabili che entrano in gioco nella registrazione del suono, nella propagazione e successivamente nell’ascolto fanno si che, nel tempo, l’informazione contenuta nella registrazione sia andata via via diminuendo cercando di far risaltare maggiormente le frequenze dove l’orecchio ha la massima sensibilità. Così si risparmia memoria nei supporti a scapito di una “fantomatica qualità”. Dico fantomatica perché non fà differenza se ascoltate un vinile, un mp3 (con compressione decente) o un compact disc; non è il supporto a creare la differenza ma un insieme di cose come la qualità della registrazione, le vostre orecchie, il tipo di impianto Hi-Fi che avete in casa, l’ambiente che vi circonda e poi il supporto audio utilizzato. Quindi, lasciando perdere la registrazione perché non dipende da noi, le nostre orecchie per le quali c’è poco da fare, l’assenza di impianto Hi-Fi visto che i soldi sono sempre pochi, cerchiamo di capire che differenza c’è tra i supporti più diffusi.

Il Vinile è il supporto analogico per eccellenza e, seppur molti di noi non abbiano mai sentito il suo suono, rimane sempre un must per gli appassionati, tanto che alcuni riferiscono che il suo effetto acustico risulti “più caldo”: ma è solo l’irregolarità dei solchi che produce una lieve distorsione che lo fa sembrare tale. Messi da parte i gusti personali, l’incisione su vinile rimane molto fedele alla qualità dei trasduttori (microfoni) utilizzati per la registrazione. Sfatiamo però qualche mito: per prima cosa, è vero che durano anche 100 anni, certo ma a patto che li manteniate con cura, non li facciate cadere e che possediate un giradischi con una buona testina. Giradischi che, per suonare sfruttando tutte le qualità, ha bisogno di manutenzione periodica e di una spolverata se non utilizzato di frequente, dopo ovviamente aver sostenuto una spesa iniziale per l’acquisto cercando di non risparmiare troppo. Incidono sul suono, ad esempio, le vibrazioni derivanti dal motorino che lo fa girare e, del resto, si tratta pur sempre di suono riprodotto per mezzo semi-meccanico. GIUDIZIO: tanti ricordi portano da lui ma in fin dei conti al giorno d’oggi è scomodo da utilizzare.

Il Compact Disc è il primo surrogato dell’era digitale; l’audio stereofonico (LPCM) viene memorizzato in formato digitale, campionato a 44,1 KHz con campioni di 16 bit che regolano l’andamento della pressione sonora. I 44,1 KHz sono il risultato del teorema del campionamento di Nyquist-Shannon secondo cui la frequenza di campionamento deve essere doppia rispetto alla frequenza massima del segnale da acquisire. Ricordate la sensibilità dell’orecchio umano, 20 KHz? Ecco spiegato perché il CD ha un campionamento a 44,1 KHz e cioè per accogliere tutte le frequenze udibili dall’uomo. Seppure queste specifiche tecniche hanno reso il CD il migliore dei supporti, c’è da dire, come ben sappiamo tutti, che se non conservati bene alla lunga si rovinano. GIUDIZIO: ottima qualità, facilità di utilizzo, ma attenti a non lasciarli al sole.

MP3 e FLAC sono i nuovi formati digitali, “senza supporto”, adatti alla trasmissione e condivisione in rete. Ulteriormente compressi e campionati secondo specifici algoritmi ed estratti dal CD sono, rispettivamente, con perdita di qualità, lossy e senza perdita di qualità, lossless. Il formato FLAC (768 kbit/s) lossless rimane il più adatto all’ascolto, grazie alla sua alta fedeltà, molto simile al CD e una più versatile archiviazione che però vede file dell’ordine dei 10/20 MB. Non è facile trovare in rete del materiale con questi standard. GIUDIZIO: ottimo compromesso, adatto ai tempi che viviamo; peccato non sia così facile reperire album in questo formato. L’MP3 rimane il più utilizzato e diffuso ai giorni nostri grazie alla ridotta occupazione di spazio, 3/4 MB leggeri da streammare. Esistono tre diversi livelli di compressione sviluppati negli anni. Sintetizzando, possiamo dire:  Layer I, compressione a 384 kbit/s, eccellente qualità audio, utilizzato nei sistemi professionali digitali, utilizza il metodo di eliminazione delle frequenze mascherate sfruttando gli studi di psicoacustica. Layer II, compressione tra i 192 e i 256kbit/s, usa algoritmi più sofisticati del precedente ottenendo una qualità eccellente a 256 kbit/s ma anche a 192 kbit/s raggiunge buoni livelli. Layer III, compressione tra i 112/128kbit/s, utilizza, oltre che i precedenti metodi, anche una codifica estrema basata sull’entropia del contenuto informativo. Con 128 kb/s otteniamo un suono molto vicino all’originale. GIUDIZIO: è impossibile farne a meno al giorno d’oggi e se proprio potete scegliere prediligete il rapporto di compressione più elevato.

Ognuno ha i suoi gusti, o meglio le sue orecchie, basta non cadere troppo in basso e cercare il compromesso migliore nella situazione in cui vi trovate. Un sano trasformismo, senza bandiere da sventolare, ci può portare a scegliere il Vinile per gli album che ci hanno segnato o che non possiamo far a meno di possedere. Il Compact Disc in caso volessimo gustare a pieno o sostenere un gruppo. Il FLAC se proprio volessimo archiviarci tutto. Per tutto il resto c’è il buon vecchio e pirata Mp3.

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Biagio Accardi

Written by Interviste

Abbiamo l’onore e il piacere di essere in compagnia di un grande artista, uno di quelli che sembrano sbucati da un passato remoto. Biagio Accardi, cantautore calabro, reduce dalla sua esibizione a Pratola Peligna (AQ) con il suo spettacolo Kairos, ultima tappa di gennaio del tour e abbiamo voluto con lui cercare di capire meglio la sua visione della musica e della vita.

Ciao Biagio, come stai?
Ti rispondo con una battuta di un grande cantastorie (Otello Profazio): “Tutti i grandi cantastorie sono morti; Rosa Balistrieri, Ignazio Buttitta, Orazio Strano, Cicco Busacca …ed io non mi sento tanto bene” …sono anni che fa questa battuta sul palco e pur avendo una certa età lo vedo in buona salute (dire questo gli serve come atto scaramantico ?!) … comunque anch’io non me la passo male … Anzi!

So che oltre ad esibirti a Pratola Peligna, sei stato anche nei bellissimi borghi abruzzesi di Anversa e Bugnara. Che ci faceva un calabrese ad Anversa?
Respiro aria buona (ride ndr)

Cerchiamo subito di capire meglio che tipo di musicista sei. Cantastorie, menestrello, folk singer, cantautore. Chi è, insomma, Biagio Accardi e che cos’è Kairos, il tuo spettacolo che, ricordiamolo, solo a gennaio ha toccato anche Cuneo, Reggio Emilia e Imperia?
Artista, suonatore, viaggiatore e autore di canzoni. Ricerco ed elaboro sonorità ispirate al panorama etnico-mediterraneo. Le composizioni sono un affresco poetico a tratti psichedelico e ipnotizzante e a tratti ammaliante per il suo forte e intenso potere nostalgico. Studio la società tradizionale e moderna dei luoghi in cui vivo, ho sempre cercato di promuovere eventi artistico-culturali votati a valorizzare il Sud. Anche se spesso faccio date al nord per l’appunto !!! KAIROS smaschera i nefasti sotterfugi legati al mondo del lavoro, gli ideali del falso benessere che hanno fatto perdere alla gente la semplice comprensione del bello e delle cose vere, togliendogli la possibilità di essere felici. Le politiche delle multinazionali, che ci controllano, ci annientano e letteralmente avvelenano la nostra vita, vengono spacciate come indispensabili per la crescita economica e per il nostro benessere. Invertire questo sistema è possibile, adottando uno stile di vita rispettoso dell’ambiente e iniziando ad allontanarsi dai vecchi e logori schemi politici, economici e sociali. Gli antichi greci utilizzavano due parole per definire il tempo: Kronos e Kairos. La prima parola si riferisce al tempo logico e sequenziale, mentre la seconda rappresenta un tempo di mezzo, un momento in cui qualcosa di speciale sta per accadere. “Kairos” rappresenta quindi il tempo propizio per agire, quel momento è ora!

Mi sono giunte all’orecchio alcune voci che raccontano di un Biagio Accardi che se ne va in tour per la Calabria girovagando per le piazze dei paesi sul dorso del suo asino. Mi dicono anche che viaggi solo ed esclusivamente in treno o comunque con i normali mezzi di trasporto pubblico. Il tuo è un rifiuto del progresso come lotta contro uno sviluppo incontrollato e devastante o piuttosto una scelta di vita personale, legata a fattori più intimi?
L’idea mi è nata leggendo un libro di Mauro Geraci dal titolo Le Ragioni dei Cantastorie e che parlava di Orazio Strano, uno dei più grandi cantastorie siciliani; partiva dalla sua terra con l’asino e il carretto per portare i suoi spettacoli perfino in Calabria e nelle Puglie. Questa immagine del cantastorie che girava di piazza in piazza mi ha spinto a volerla “restituire” nell’immaginario nella memoria collettiva. Subito mi è venuto in mente che avrei potuto farlo anch’io, così avrei potuto evitare di percorrere grandi tragitti che implicano l’uso di mezzi di locomozione. ..ma se proprio devo, preferisco il treno; ecologico, economico e comodo per leggere, scrivere e ascoltare musica.  “Per fare quello che a me piace non per forza mi devo spostare in poche ore da Palermo a Milano ..e neanche è detto che devo possedere un’auto per sentirmi realizzato …passo dopo passo, con la mia amica L’asina Cometina, calpestando terra e respirando polvere realizzo sogni, faccio ciò che mi piace e mi sento vivo…    già sono in viaggio!”

Spostiamo l’attenzione su cose meno impegnative. Parliamo della musica italiana attuale. Credi che un musicista come te possa trovare un suo spazio dentro la scena emergente e indipendente italiana (parlo di Tv, webzine, spazi web, web radio, locali di musica dal vivo) o sei, volente o nolente, relegato a un ruolo marginale come visibilità anche se non certo come espressione artistica? Qual è attualmente il tuo ruolo in questo senso?
La maggior parte del lavoro è svolto, in autonomia, dalla nostra associazione culturale Cattivoteatro. Poi ci sono delle realtà che ci supportano: Marasco Comunicazione, Video8 Calabria, Immaginerie, Suoneria Mediterranea, Rock Bottom Records e altri …ma la domanda “se c’è spazio per la mia arte nella scena emergente” dovremmo farla al pubblico e agli addetti al lavoro.

Come Biagio Accardi è diventato il cantastorie che stiamo imparando a conoscere? Ci sono stati momenti o eventi precisi che ti hanno spinto a prendere questa strada?
Sin da bimbo ho avuto un’attrazione per l’arte. Crescendo quello che mi ha attratto di più è stata la musica. Avendo avuto anche una formazione da operatore turistico ho cercato di mettere insieme le due cose, realizzandole in alcune strutture ricettive della mia zona. Mi occupandomi del lato ricreativo. Dopo c’è stato in me un conflitto interiore; non riuscivo a capire perché la gente andando in vacanza ricercava le stesse cose che aveva già quotidianamente … ho fatto una lunga pausa di riflessione, finché ho incontrato il Maestro Nino Racco con cui ho fatto vari laboratori e seminari. Racco ha messo insieme le tecniche cantastoriali con quelle teatrali della commedia dell’arte. Cosa che mi affascinò molto al punto di prendere spunto dal suo lavoro. Inoltre ho conosciuto di persona Otello Profazio che è il cantastorie che ha fatto più lavori discografici a riguardo.

A proposito, facci capire bene. Nella vita ti occupi di altro o sei musicista a tempo pieno? E comunque, pensi che nel 2014 si possa scegliere di essere musicisti professionisti (turnisti esclusi)?
Ho dedicato tutta la mia vita a questo mestiere e credo che continuerò a farlo fino alla fine dei miei giorni.

La tua musica è molto legata al teatro e alla teatralità. Non a caso Kairos è strettamente in contatto con l’associazione Cattivo Teatro. Di che si tratta?
L’ASSOCIAZIONE CULTURALE CATTIVOTEATRO è nata nel 2002 dalla commistione di svariate esperienze e competenze, il cui scopo sociale è la promozione e la realizzazione di spettacoli teatrali, convegni, manifestazioni artistiche, musicali, folkloristiche e letterarie, che abbiano carattere educativo. “Si propone in particolare la promozione di iniziative atte a sviluppare una maggiore coscienza socioculturale”. CATTIVOTEATRO è un’esperienza unica, che nasce dalla voglia di fare cultura fuori dagli schemi aberranti della cultura massificata e mercificata che nei tempi che corrono, ci opprime e ci aliena, essendo una non-cultura, una forma di ignoranza massificata. Laddove per ignoranza si intende appunto la mancata conoscenza. Mancata conoscenza di se stessi, mancata conoscenza del mondo che ci circonda. La cultura di massa che ci travolge è, infatti, mercato e basta.

Tra le tue tantissime avventure a spasso per l’Italia, ti sarà capitata una serie infinita di situazioni strane. Raccontaci l’episodio più divertente e grottesco che ricordi ma anche il più antipatico e brutto, quello che vorresti cancellare per sempre?
L’evento più grottesco è stato quando si avvicinò un signore dall’accento (ma anche di più dell’accento) partenopeo che mi contestava che non riuscì a capire bene lo spettacolo, colpevolizzando l’uso del dialetto in alcune parti. La cosa che mi stupiva è che il 70 % dello spettacolo è in Italiano; ho concluso, tra me e me, che forse non conoscesse che il suo dialetto …solo quello! Quelle più antipatiche e da cancellare per sempre sono state già rimosse!

La tua musica ha un forte valore culturale e sociale, soprattutto come strumento di preservazione e conservazione della memoria. La musica (e comunque l’arte in generale) deve sempre avere un ruolo sociale per essere scritta con la maiuscola?
Ne sono fermamente convinto ! …tutto il resto non è arte ma mero intrattenimento che si basa sul concetto di estetica e basta …ma non credo che sia questo il ruolo dell’arte e degli artisti.

La tua musica, oltre che influenzata dalla tradizione folkloristica italiana, sembra attingere anche al Folk più attuale e pare ispirarsi vagamente a band come gli Yo Yo Mundi o la Bandabardò. C’è questo nella tua formazione musicale? E cosa ti piace ascoltare abitualmente?
Abitualmente ascolto di tutto, ovvero tutto quello che ha un certo spessore poetico e culturale. Frank Zappa gira spesso in playlist!

Facci il nome di qualche band, magari emergente, che non dovremmo lasciarci scappare?
Magari, Adriano Bono e la Minima Orchestra oppure le fantastiche Honeybird o i giovanissimi Musicanti del Vento.

Che cosa distingue il Biagio Accardi uomo dal Biagio Accardi musicista e dove vedi entrambi tra vent’anni?
Li vedrei sicuramente, entrambi, negli stessi luoghi: tra la musica, sulle strade del mondo e fra la gente!

Ti faccio ancora i complimenti per l’esibizione che ho avuto il piacere di gustarmi. A proposito, si può portare anche musica come la tua fuori dai teatri e piuttosto nei luoghi di aggregazione giovanile come può esserlo il locale che ti ha ospitato?
Questa potrebbe essere una sfida stimolante!

Ciao Biagio con l’augurio di rivederci presto.

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Almamegretta 18/01/2014

Written by Live Report

Sabato diciotto Gennaio, l’Arenile di Bagnoli (NA) era pieno di gente; in molti erano accorsi per ascoltare un gruppo napoletano di grande spicco, storico senza ombra di dubbio: gli Almamegretta. Arrivo al locale giusto in tempo, dieci minuti prima che Raiz e soci iniziassero lo show. Il pubblico era variegato e poteva capitare di imbattersi nell’adolescente, come nella milf, nel fighetto o nel tipo alternativo che ogni tanto rotolava uno spinello; insomma, questo show degli Almamegretta erano in molti a non volerselo perdere, compreso il sottoscritto che nutre una grandissima stima per il gruppo protagonista della serata. L’esibizione fila liscia, tutto sommato, tra grandi classici e qualche pezzo più da intenditori e fanatici. Lo stile è sempre quello, l’energia anche e l’unica pecca, se devo essere sincero, che ho notato e che anche altri colleghi hanno sottolineato, è stata la voce di Raiz. Non tanto per stonature o altro del genere ma più banalmente perché troppo spesso coperta dai suoni, probabilmente non proprio per un errore tecnico ma per una precisa scelta della band, scelta certamente da rivedere e sulla quale c’è molto da lavorare. Le canzoni proposte, come già accennato, sono chiaramente quelle perfette per accontentare un po’ tutti, andando a pescare le più rappresentative di ogni album, magari concentrandosi maggiormente su Controra, il loro ultimo disco. Ottima l’esecuzione e quindi da sottolineare per quanto riguarda “Amaromare”, “La Cina È Vicina”, “O Sciore Cchiù Felice” e “O Buon e o Malament”.

La chiusura dello show spetta alla bellissima e riuscitissima “Nun te Scurdà”, canzone che tutto il pubblico dimostrava di conoscere a memoria e non pare un caso che Raiz l’abbia lasciata cantare per buona parte ai suoi sostenitori; mentre il palcoscenico per l’ultimo respiro è tutto per l’immancabile “Sanacore”. Era la prima volta che sentivo gli Almamegretta dal vivo; il loro è uno show suggestivo, soprattutto se gustato, come è capitato a me, in compagnia di un paio di birre e un bel pacchetto di Marlboro. Personalmente appena avrò una nuova occasione di ascoltarli live non ci penserò due volte e correrò subito da loro.

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Il Video della Settimana: Putan Club – Filles de Mai

Written by Senza categoria

Musica e video proiezioni, note e instant art, arte e azione. Tutto questo si nasconde dietro il nome di Putan Club, insieme al duo François R. Cambuzat (music, vox, DJing, programming) e Gianna Greco (bass, programming) ai quali si aggiunge l’action painting di Vincent Fortemps.

“Il Putan Club è una unità di resistenza , caratterizzata da un modo di agire vicino alle prime cospirazioni partigiane europee e resistenti in Iraq , Afghanistan e Cecenia.”
Il tutto è organizzato con i modi arcaici e immediati del nostro secolo, dall’ Avant Rock alla musica moderna contemporanea fino alla più brutale Techno e House, “dal bacio sulla bocca al calcio in culo”. Questa sinergia dà forza e potenza al progetto: musica più arte visiva e luoghi d’azione diversi: dalla Parigi e le sue gallerie d’arte, si passa per uno squat bosniaco, dal museo tedesco, al club giapponese , dal teatro belga, a terre slovene.

Il videoclip scelto, “Filles de Mai”, è diretto da Carlo Mazzotta e ritrae scene di un’esibizione live a Taranto. Potete vedere e ascoltare il brano di seguito e in homepage per tutta la settimana.

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La Band della Settimana: The Pussywarmers

Written by Novità

Il quintetto svizzero si appresta a tirare fuori I Saw Them Leaving, il terzo album in studio in uscita il 28 febbraio per l’italiana Wild Honey Records. Il disco del gruppo d’oltralpe vede, per la prima volta, la partecipazione aggiuntiva dell’artista ungherese Réka che sarà con la band anche durante il tour di promozione che farà seguito all’uscita dell’album. Il primo singolo tratto dal full length è “Something You Called Love”, il cui videoclip nasce proprio da un’idea di Réka e del produttore del disco, Nene Baratto (bassista dei Movie Star Junkies) ed è realizzato dalla stessa artista con la tecnica dello stop-motion. The Pussywarmers, sono loro la nostra Band della Settimana.

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I Cani 16/11/2013

Written by Live Report

Non sono mai stato un fan sfegatato dei romani I Cani, anzi,  conoscevo appena un brano tratto da uno split realizzato con i simpatici e altrettanto grandi Gazebo Penguins. Eppure la possibilità di assistere a un loro concerto mi ha smosso un inquietante entusiasmo. Sarà stato merito di quell’unico pezzo di cui accennavo in precedenza? Chissà…

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In un Pin Up pieno a metà assistevo ancora tiepido alla performance del gruppo di apertura, i Testaintasca, quartetto capitolino e piacevole e inaspettata sorpresa che ha interagito meravigliosamente con il pubblico presente, sfoderando uno dietro l’altro i migliori colpi del repertorio, compresi alcuni brani del loro ottimo esordio, Maledizione! da “Un Minuto Duro” fino a “Maledizione!” passando per “Sai che c’è”, “Cazzi Tuoi”, “Collaborare”, “Blu”, “Settembre”, “Grazie al Cielo”, “La Musica (Mi Piace Tanto)”. Dopo mezzora di live il palco si svuota, avvolto dalla penombra e da un suono che ricorda le astronavi della pellicola Independence Day. Silenziosi, senza nessuna altezzosità, i quattro ragazzi si sono posizionati ai loro posti di combattimento. Il primo colpo diretto e micidiale è stato dettato dalla batteria metronomica di Simone, che scandiva l’opening di “Come Vera Nabokov”, una canzone viscerale e a tratti romantica, la summa della loro proposta musicale.

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Una a una, come da una Gatling, sono partite le altre tracce in uno spettro sonoro che racchiudeva molte song tratte dall’ultimo Glamour senza rinunciare ai classici come “Hipsteria” o “Velleità”. Menzione particolare va anche al brano citato in apertura di questa recensione,“Asperger”, delirio elettronico dai toni amari e malinconici. Ogni paragone con i vari Subsonica o Bluvertigo, raffronto che personalmente trovo fuori luogo, si demolisce nell’esecuzione disperata di “Storia di un Impiegato” e soprattutto della punteggiante “FBYC (Sfortuna)”, una piccola perla che ha traslocato da giorni nella mia mente e mi costringe a canticchiarla a oltranza. Un lungo e bellissimo concerto che si chiude con un bis nel quale Contessa da sfoggio di due suoi gioielli che già in tanti stavano reclamando, “Velleità”, presente nel precedente Il Sorprendente Album d’esordio dei Cani e “Lexotan”, già hit del nuovo lavoro. Il modo migliore per lasciarmi, appena dopo aver fatto conoscenza.

scaletta cani

Non sono ancora diventato un fan sfegatato de I Cani, per ora mi ritengo solo un giovane segugio. Tuttavia il mio fiuto col tempo è migliorato notevolmente.

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