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Spotify senza limiti?! Paura di Beats Music & co.

Written by Senza categoria

Spotify, la più popolare piattaforma di music streaming, ha deciso, pochi giorni fa, di superare i suoi limiti eliminando i 6 mesi di prova e le successive 10 ore di streaming gratuito al mese. Buona notizia. Ovviamente la pubblicità rimane, ma a far scattare la molla è stata l’imminente scesa sul mercato di un’altra applicazione: Beats Music. Promessa lo scorso anno da Trent Reznor, cantante dei Nine Inch Nails, Beats Music promette un esperienza più social annunciando che il motore si comporterà come se entrassimo in un negozio di dischi. Lo stesso Reznor dice: “sa cosa ti piace, ma è anche in grado di indirizzarti verso band che magari non avresti mai avuto modo di conoscere”.

Staremo a vedere!!! Il lancio è stato ufficializzato per il 21 gennaio sul mercato USA. Intanto che aspettate Rdio lancia la versione free sul web. Noi l’abbiamo provato e sicuramente solo per il fatto che non ci sono interruzioni pubblicitarie merita la vostra attenzione.

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Il Video della Settimana: Gabriele Deriu – “Verso la Fine” feat. En?gma

Written by Senza categoria

Gabriele Deriu è un’artista di Olbia trapiantato a Roma. A distanza di tre anni dal suo primo lavoro Gabriele Deriu Ep (2010) esce con un nuovo lavoro, Oltre il Muro Ep, che intreccia Cantautorato, Elettronica, Dubstep e Rap. Il singolo è “Verso la Fine” ed è anche il nostro videoclip della settimana. A duettare con Gabriele Deriu troviamo En?gma, rapper della crew Machete. Il testo racconta dell’annuncio di una rivoluzione da parte di un popolo stanco di sopportare ogni cosa, un popolo che vuole far rinascere il valore della verità. Il videoclip ufficiale è diretto da Mirko De Angelis, regista che ha firmato i video di molti rapper italiani.

Anche questa settimana dunque, una scelta insolita per la redazione di Rockambula che dimostra ancora una volta di non avere alcun tipo di pregiudizio verso nessun genere musicale. Di seguito trovate il nostro Video della Settimana che, ricordate, sarà presente in home fino a sabato prossimo.

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La Band della Settimana: Spiral69

Written by Novità

Vi avevamo già parlato in passato di questa band Darkwave romana e oggi, quasi in concomitanza con l’uscita del loro nuovo videoclip, cogliamo l’occasione per parlarvi ancora di loro, o meglio per suggerirvi gli Spiral69 eleggendola a nostra Band della Settimana.

Riccardo Sabetti, già fondatore della band Pixel e bassista/chitarrista del gruppo Darkwave partenopeo Argine, nel 2007 lascia gli Argine per dedicarsi al proprio progetto solista Spiral69. Il nome Spiral69 viene da una pellicola hard tedesca degli anni 80 e viene scelto durante le session di registrazione del primo album, avvenute in una villa sull’isola di Procida. Nel progetto Spiral69, Sabetti mischia le proprie precedenti esperienze, l’Industrial dei Pixel e la vena gotica e malinconica degli Argine, con un suono a metà tra il Folk, la New Wave, l’Elettronica e il Rock. Nel maggio 2009, in co-produzione con l’etichetta indipendente Megasound, pubblica l’album d’esordio, A Filthy Lesson for Lovers, scritto, arrangiato e suonato interamente da Sabetti. Al disco segue un tour di più di settanta concerti in quindici mesi in Europa. Da questa esperienza si costruisce attorno a Riccardo Sabetti un vero e proprio gruppo: Licia Missori (piano), Enzo Russo (chitarra) e Stefano Conigliaro (batteria). Nell’album e nei concerti vi sono collaborazioni con altri musicisti, come: Marco Manusso, Andrea Ruggiero, Edo Notarloberti, Stefano Ratchev ed Emanuele Colella.

Nel marzo 2011 la band pubblica il secondo album, No Paint on the Wall. L’album è realizzato insieme con la band che ha accompagnato Sabetti nel tour del primo album. Spiral69 non è più una “one man band” ma una band a tutti gli effetti. Si susseguono i singoli che promuovono l’album, tra i quali il brano “Best Porno” e “The Girl Who Dances Alone in the Disco” che vede la band duettare con Tying Tiffany. Durante il tour di “No Paint on the Wall” del 2011, Stefano Conigliaro viene sostituito dal batterista Andrea Freda. Ad aprile 2012, gli Spiral69 entrano in studio per la produzione del nuovo album. L’album questa volta sarà prodotto da Steve Hewitt, missato da Paul Corkett e registrato nei Moles Studios di Bath, in Inghilterra. Il 18 Febbraio 2013 viene pubblicato il primo singolo estratto dal nuovo album, “Please”; il brano è accompagnato da un video che ripercorre in forma di documentario, le tappe più importanti percorse dalla band negli ultimi anni.

Questo invece è il nuovo singolo e videoclip “Low Suicide”.

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Sito ufficiale

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Skunk Anansie + Blastema 13/08/2013

Written by Live Report

Gli Skunk Anansie hanno infiammato l’antistadio Flacco di Pescara; circa tremila, infatti, gli spettatori che hanno seguito il loro concerto lo scorso 13 agosto nell’ultima data del loro tour italiano. È stata una grande serata: la band inglese ha entusiasmato il pubblico con una scaletta che si è rivelata un ottimo mix fra vecchi successi brani dell’ultimo disco “Black Traffic”. Skin ancora una volta impeccabile regala una performance di una grinta unica, come raramente capita di vedere sul palco.

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La vocalist ha fornito prova di quanto sia una trascinatrice di folle; ha riso e scherzato ed è salita letteralmente sulle persone durante una canzone. La sorpresa più grande l’ha riservata però nel finale, quando ha chiesto a tutti di abbassarsi e si è messa a camminare tra i fan delle prime file che la guardavano quasi increduli. Straordinario l’invito al pubblico a non usare i telefoni cellulari per scattare foto per cercare solo di godere al massimo della musica.

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Tornando al live, tanti i momenti “top”: fra questi “Hedonism”, “Secretly” mentre una menzione speciale va sicuramente a “You Follow me Down” eseguita in una versione acustica chitarra e voce da brividi. Grande assente della serata la hit “Squander”, una delle tre canzoni inedite contenute nella loro unica raccolta, “Smashes and Trashes” (2009).  Sin dagli esordi della carriera gli Skunk Anansie hanno avuto un legame speciale con i fan italiani che li hanno aspettati e accolti con il solito calore anche dopo la lunga pausa (ricordiamo che si erano sciolti nel 1999 per poi ricompattarsi nel 2009). A testimonianza di ciò anche quest’ultimo tour estivo, sicuramente fra quelli di maggiore successo della stagione.

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Il concerto è stato aperto dai Blastema, band italiana (rivelatasi, dopo anni di gavetta, allo scorso Festival di Sanremo) che ha scaldato a dovere l’atmosfera con una mezzora granitica. Le due band hanno legato molto a tal punto che i Blastema hanno fatto da supporters in tutte le date italiane riscuotendo grandi consensi e presentando alcuni brani tratti dal loro nuovo album “Lo Stato in cui Sono Stato”.

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Il cantante Matteo Casadei inoltre si è rivelato un “animale da palcoscenico” e la band è stata raggiunta per ben due volte sul palco dagli Skunk Anansie pronti a incitarli durante la loro esibizione.

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Insomma, uno spettacolo in tutti i sensi!

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Rockambula partner del Pending Lips Festival. Aperte le iscrizioni!

Written by Senza categoria

Pending Lips nasce come rete sotterranea di resistenza e realtà parallela di controcultura. E’ richiamo alla vita libera e alla consapevolezza dell’istante.
E’ la scoperta di sé stessi, della vita on the road e della coscienza collettiva.
E’ “un gruppo di bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo”.
E’ espressione del sottosuolo musicale che rifugge paillettes e lustrini.
Pending Lips è merito ed ossigeno.

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L’intento collettivo è quello di proseguire nel segno della continuità rispetto all’enorme riscontro, in termini di pubblico e richieste d’iscrizione, riscossi nelle prime due edizioni, aggiungendo importanti tasselli, ampliando il numero delle band partecipanti e incrementando il numero e l’importanza di premi e riconoscimenti, nell’ottica di alzare sempre di più l’asticella e offrire un’opportunità concreta e irrinunciabile alle band del territorio.

La cornice del Maglio, cuore pulsante della storica zona industriale di Sesto, ospiterà le serate della fase contest, rispettivamente suddivise in Eliminatorie (24 febbraio, 10 marzo, 17 marzo, 24 marzo e 7 aprile) e Semifinali (14 aprile, 28 aprile e 5 maggio), in cui si daranno battaglia i migliori progetti musicali emergenti con lo scopo di ottenere l’accesso alla Finale (12 maggio) e giocarsi la vittoria.

Il vincitore avrà la possibilità di registrare gratuitamente un singolo presso un importante studio di registrazione milanese (HM Studios di Cornaredo), di avere quest’ultimo in rotazione sulle frequenze nazionali di Radio Popolare, di ottenere tre mesi di pacchetto promozionale gratuito (ufficio stampa, promozione, booking) messo a disposizione dall’agenzia Costello’s e di mettersi in mostra infine, all’interno della prestigiosa cornice del Carroponte, al fianco di una band di grande rilievo sul piano nazionale e/o internazionale.

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Il tutto sarà condito poi da numerosissimi altri “premi speciali”, recensioni, live report ed interviste, possibili grazie alle innumerevoli partnership con importanti webzine (tra cui Rockambula) musicali, quotidiani e radio nazionali e locali.

Le iscrizioni sono aperte da oggi, 07/01/2014, fino al 17/02/2014.
A questo link tutte si possono scaricare regolamento, modulo d’iscrizione, info sulla giuria, info sui premi e partners, e i volantini:

Troppo spesso le scelte che la realtà propone sono tali da togliere il gusto di scegliere. Pending Lips è utopia ed eccezione. “Pendiamo dalle vostre labbra

Sulla pagina Facebook trovate tutto quello di cui avete bisogno.

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Beppe Malizia e I Ritagli Acustici

Written by Interviste

Il Rap italiano non è quello che vedete su Mtv; su strade più o meno battute camminano artisti capaci, dopo tanti anni dalla genesi del genere, di riscoprirne alcuni dei valori fondamentali, musicisti in grado di ridare al Rap la dignità che merita, scavando nella sua essenza. Signore e signori, Beppe Malizia e I Ritagli Acustici.

Ciao ragazzi, come state?
Ics!

Mi permetto di iniziare con una domanda banalissima ma non posso non farvela. Beppe Malizia posso capirlo, ma I Ritagli Acustici che diavolo di nome è?
I ritagli acustici sono la prerogativa di questo progetto, perché in tutti i brani ci sono collaborazioni con musicisti differenti che hanno partecipato alla stesura musicale cantando o suonando strumenti diversi sui campioni assemblati da Beppe e prestando il loro operato, a loro volta come veri e propri “campioni”, al libero arrangiamento della produzione; ognuno di loro é stato uno dei ritagli acustici del progetto. In poche parole “ritagli acustici” é stata un’ esigenza di produzione e vuole diventare l’attitudine del gruppo. Poi suonava bene!

Da dove viene questo progetto (possiamo chiamarlo cosi?), quale è la sua storia, la sua genesi e dove pensa di poter arrivare?
Questo progetto (fai bene a chiamarlo così) è figlio di una collaborazione nata nel 2010 fra Beppe Malizia e il produttore Andrea Narratore, nello studio di quest’ultimo, il Bunker Café, studio dove fino a poco tempo prima Beppe ha registrato tutta la sua produzione musicale, antecedente quella dei Ritagli Acustici, fin dal 2002, sotto lo pseudonimo di Matiz Mc e, per il momento, la meta è sempre il disco a divenire.

Musicalmente siete molto vicini agli artisti che avete affiancato sui palchi italiani, da Frankie Hi Nrg a 99 Posse, da Mondo Marcio a Brusco. Eppure suonate comunque tanto diversi. Quanto Rap c’è nella vostra musica e cosa vi distingue dagli altri?
Il Rap é il comun denominatore di tutti i brani, per quanto riguarda questo progetto, e si distingue dagli “altri” per le caratteristiche capacità di adattamento ai diversi arrangiamenti musicali, un po’ come hanno fatto i Movits! in Danimarca.

Nello specifico, come descrivereste la vostra musica, quale ne è il suo processo creativo?
Ricollegandoci alla domanda precedente il rap nella nostra musica è proprio un processo creativo e, nonostante l’uso di musicisti, il workflow produttivo si discosta molto da quello di una band.

Oltre a I Ritagli Acustici, Beppe Malizia si fonde con The Acousticutz. Chi sono costoro?
The Acousticutz è stata una band nata circa tre anni fa, dall’esigenza di poter suonare live questo disco, anche all’infuori dei soliti spazi dedicati al Rap, di cui sopra. Questa formazione, cambiata ed evolutasi nel tempo, è ora la base dei Ritagli Acustici.

Quale ruolo avete occupato nel panorama indipendente italiano? Riuscite a vivere solo di musica?
Non viviamo di ruoli e non moriamo di musica. Lavoriamo per mantenerci e manteniamo la nostra musica. Stiamo investendo su noi stessi e non è detto che smetteremo mai di farlo.

Oggi sembra che le band emergenti possano imporsi solo attraverso le esibizioni dal vivo eppure, in alcune realtà, suonare live è diventato quasi impossibile. Locali minuscoli e non strutturati per la musica, impongono spesso situazioni fuori dalla consuetudine della band (come unplugged) a cachet ridottissimi, magari pretendendo anche che sia la band a fare promozione. Come uscire da questo tunnel?
Se parliamo di soldi, parliamo di commercio e quindi non più di musica fine a se stessa. Dunque a domanda segue risposta e di conseguenza molti gruppi dovrebbero suonare in spazi creati più per fare musica che per vendere aperitivi. Se non si porta un servizio non è giusto essere pagati. Quindi, per quanto riguarda gli spazi culturali, dovrebbero essere di più e meglio sostenuti, e chi vi suona essere ripagato anche dalla possibilità d’esprimersi in determinati contesti mentre, per quanto riguarda gli spazi commerciali, questi seguono la domanda ragion per cui il musicista che vuole camparci deve fare in modo di essere l’offerta, promozione compresa.

Tuttavia credo che sia anche giusto che la band si renda capace di crearsi un seguito; perché un locale dovrebbe spendere mille euro per un artista se poi non viene nessuno a vederlo? Come riuscite voi a crearvi un pubblico?
Da questo tunnel non se ne esce se non evitando d’entrarci. La band che non porta trecento persone non deve prendere mille euro, indipendentemente dalle capacità tecniche. Noi solitamente ne portiamo molte meno e infatti veniamo pagati molto meno. Quando non ne portiamo suoniamo anche gratis e, per suonare in un bel posto pieno di gente che non abbiamo portato noi, siamo disposti anche a pagare. Basta mettersi d’accordo prima del tunnel.

Molti collegano questo problema alla crescente presenza sulla scena di pseudo Dj e Tribute Band, capaci di riempire i locali senza troppi sforzi. Quanta colpa hanno loro? Veramente alla gente non frega nulla della Musica (con la M)?
Dj e cover band han solo la colpa di vendere il prodotto giusto e, credo, non con pochi sforzi e pochi investimenti. Chi invece dedica studio e creatività alla composizione della Musica (con la M maiuscola), non dovrebbe farlo per soldi.

Altra questione da affrontare è quella dei Talent Show. Non voglio mettere in dubbio il loro valore nella creazione di spettacolo e monetizzazione (le case discografiche hanno trovato la loro gallina dalle uova d’oro) ma piuttosto mi chiedo. Come fare per evitare che lo show venga confuso con la Musica? Come far capire ad un diciottenne pieno di talento che per arrivare in alto, la strada migliore non è quella di X Factor, che anzi può rovinarti per sempre?
Sia nel caso dei Talent Show che in quello della musica tradizionale o indipendente, la ricerca del successo comporta gli stessi rischi o le stesse scorciatoie; ciò che cambia è solo la rapidità con cui il processo si svolge. Un diciottenne PIENO di Talento non ha di questi problemi. Più talenti ai Talents.

Tornando a voi e parlando di talento. Cosa significa questa parola? Pensate che abbiate più talento o più cose da dire o i due concetti sono legati tra loro?
Il talento é una particolare predisposizione a fare una determinata cosa quindi, finché avremo qualcosa da dire ci toccherà farlo.

Perché in Italia sappiamo fare cosi bene Musica Leggera ma siamo quasi incapaci a fare Pop?
Ormai non crediamo più che sia così.

Che strada avete scelto per promuovere la vostra musica, trovare date, vendere cd, ecc…?
Dal digitale al territorio passando per Facebook, Twitter, Myspace, Souncloud, iTunes, Youtube, website, web radio, radio, riviste, webzine, associazioni, circoli, comuni, festival e rassegne. Ci manca solo l’agenzia ma stiamo valutando.

Di cosa parlano le vostre canzoni? E pensate che nel Rap come nella musica cantautorale i testi abbiano o debbano avere un ruolo più pesante che in altri generi, ovviamente non strumentali? La musica non dovrebbe parlare prima attraverso le note che le parole?
Le nostre canzoni parlano di bianco e di nero, di vita e di morte, di schiavi e di padroni, di odio e di amore. L’equilibrio della bilancia fra parole e musica per noi non ha regole. Balla di qua è di la.

Cosa vi distingue dalla nuova ondata di rapper per ragazzine, Emis Killa e tutti gli altri?
Ci distingue da questa ondata il fatto di non farne parte, per età innanzitutto e poi per tutto ciò che per età ne consegue.

Chi vive per la musica deve veramente inseguire il successo?
La nostra esigenza è quella di costruire la cosa migliore per le nostre capacità e rispetto ai nostri canoni e gusti, se sarà di successo tanto meglio, forse.

Nella scena Rap Underground di nomi ce ne sono tanti, alcuni validissimi come gli Uochi Toki, altri meno. Fate qualche nome, escluso quello di Beppe Malizia.
Non facciamo parte della scena Rap underground, ci escludiamo a priori, escluderei tanto più i Uochi Toki da qualsiasi etichettatura. Potremmo suggerire Kaos e Colle der Fomento, se si possono ancora considerare underground.

Fatevi un po’ di promozione. Un nuovo album dopo Bianco e Dal Cilindro, tanti  video e che altro in programma?
Un altro nuovo album, altri nuovi video e un nuovo sound, il tutto anticipato da un singolo rimasto nel cassetto con tanto di video ad illustrazioni.

A proposito, so che i tanti video non sono frutto del caso. C’è un filo conduttore che li lega. Spiegateci di che si tratta. E poi, come siete riusciti a far patrocinare i video di un rapper dal comune di Acqui Terme?
Abbiamo la fortuna di poter girare i video noi stessi avendo a disposizione il team bunker@work in casa. Il filo che li lega poi non è così spesso. In realtà sono legati gli uni agli altri da tante piccole scelte prese a priori: colore bianco e nero, location, personaggi del territorio, oggetti di scena e comparse dovevano ricorrere in più video. In più, invece che girare e montare ogni singolo video come al solito, prima li abbiamo girati tutti (ci son voluti 6 mesi) dopo di che siamo passati al montaggio.
Riguardo al patrocinio, beh, è bastato mostrare il nostro progetto e chiedere…

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto. Poi, se volete rispondetemi.
Vi ritenete più musicisti, cantautori, rapper o altro?
Risposta: ALTRO!

Ringraziamo Silvio Pizzica e tutta la redazione di Rockambula.

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Il Video della settimana: Luminal – Donne (Du, du, du)

Written by Senza categoria

Chi sia questo folle trio romano ormai non potete non saperlo, perchè il loro ultimo album, Amatoriale Italia, è stato tra i più chiacchierati dell’ormai passato 2013 e tra i più apprezzati dalla critica di settore, soprattutto per la capacità di rinnovare considerevolmente il proprio sound e per la durezza e la franchezza delle tematiche trattate e dei modi utilizzati, irriverenti ai limiti della più spinta spregiudicatezza. Prove di queste peculiarità targate Luminal si trovano tutte nel loro nuovo videoclip, relativo al brano “Donne (Du, du, du)” che ci mostra gente comune nel momento intimo della masturbazione sulla tazza del cesso, forse veramente l’unico momento in cui nessun uomo può mentire a se stesso e quindi l’unico in cui si riveli la vera natura umana.

Trovate il video (vietato ai minori di 18 anni) qui sotto e in homepage per tutta la settimana.

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Sito Internet (semplicemente fantastico)

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No Love Lost

Written by Interviste

Come ci piace fare spesso, Rockambula è stato media partner dell’evento organizzato questo dicembre a Sulmona (AQ) denominato Soundwave Christmas Nights, festival dedicato alla musica originale indipendente. Pur non trattandosi espressamente di un contest, Rockambula ha voluto comunque istituire un piccolo premio che consiste in un mini pacchetto promozionale comprensivo di recensione e/o intervista più banner pubblicitario sul nostro sito per circa un mese. La band che abbiamo scelto in quanto protagonista con il progetto più interessante e originale anche solo in ottica potenziale è stata quella denominata No Love Lost. In questa intervista cerchiamo di capire meglio di che progetto si tratta, quale possa esserne il futuro e cercheremo anche di ragionare su alcune tematiche care sopprattutto alle scene di provincia.

Iniziamo da una domanda ovvia. Il vostro nome richiama alla mente la grande band capitanata da Ian Curtis e voi avete iniziato la vostra avventura proprio come cover band dei Joy Division. Aver fatto cover è più utile a scrivere e proporre pezzi propri o più un ostacolo dovuto al rischio “imitazione”?
Aver iniziato come cover band dei Joy Division ha sicuramente contribuito a creare amalgama e affiatamento nel gruppo. Il rischio imitazione volontaria non c’è mai stato perché in fase compositiva seguiamo le nostre idee e l’istinto del momento senza doverci preoccupare di imitare qualcuno o assomigliargli. Se ci sono delle affinità con altre band non sono volute e cercate ma sono solo frutto dei nostri ascolti e gusti giovanili. Quando abbiamo deciso di cominciare a proporre un nostro repertorio abbiamo iniziato come nuovi No Love Lost e non come costola della cover band che eravamo prima.

Perché avete scelto di iniziare con le cover e perché avete scelto di passare a proporre pezzi vostri? Suonate ancora brani dei Joy Division dal vivo?
Il gruppo inizialmente è nato come una sfida a proporre una band poco conosciuta ai più e comunque poco coverizzata. L’idea era di fare alcune esibizioni in pubblico e divertirci a suonare una musica che aveva sempre esercitato un certo fascino su di noi. Abbiamo deciso di cominciare a proporre brani nostri perché da sempre noi tutti abbiamo avuto un approccio compositivo alla musica, ci viene naturale. Ognuno di noi tre normalmente compone in proprio e a maggior ragione trovandoci tutte e tre insieme, idee vecchie e nuove si sono accumulate con una certa rapidità dandoci la possibilità di scegliere tra un materiale numericamente consistente ancora in fase di definizione e composizione. In eventuali serate dal vivo in cui avremo la possibilità di suonare per più di un’ora sicuramente riproporremo dei brani dei Joy Division.

La vostra formazione attuale non prevede batteria, o meglio batterista. Il suo ruolo è affidato all’elettronica. Quanto la batteria elettronica può essere un vantaggio (Albini ci ha costruito una carriera, passatemi il termine, con una certa Roland) e quanto un limite per la vostra proposta? E perché avete fatto questa scelta?
La batteria elettronica (ma le basi in generale) per noi e per il nostro sound è un vantaggio in quanto la nostra musica necessita di ritmi definiti e ben schematizzati; ci da la possibilità di far lavorare il basso in modalità non usuali (uso di ottave alte quando lavora in contemporanea con un basso synth) mantenendo una certa corposità del suono e avendo virtualmente una sorta di seconda chitarra. Inoltre la batteria elettronica permette al basso di esprimersi liberamente con riff definiti e di effetto e permette al cantante/tastierista di dedicarsi totalmente al canto. Attualmente non vediamo svantaggi nell’utilizzarla e non escludiamo neanche il ritorno di una batteria acustica in futuro quando e se necessario.

Vi ho ascoltato dal vivo durante l’esibizione a Sulmona (AQ) al Soundwave, un piccolo Festival di cui Rockambula è stato media partner (ndr I No Love Lost hanno vinto qui il premio Rockambula). Perché avete scelto di parteciparvi? È questa la strada migliore per la musica emergente? Cosa non vi è piaciuto?
Abbiamo scelto di partecipare al Soundwave Christmas Night per avere una vetrina e far sentire i nostri brani inediti a un vasto pubblico. Per i gruppi della scena Indie la via migliore per farsi conoscere è comunque soprattutto quella di partecipare a manifestazioni ad hoc come questa e ovviamente utilizzare la rete nei suoi numerosi canali e avere tanta voglia di mettersi in gioco credendo a quello che si fa. Più di quello che non ci è piaciuto, preferiremmo invece mettere in rilievo il fatto che questa manifestazione non era un concorso ma appunto una rassegna. È stata un’ottima idea in quanto nei concorsi è molto facile che a vincere sia la band raccomandata o che porta più pubblico; diverso è stato invece creare un premio per il progetto e l’idea espressa da una band come ha previsto il Soundwave con Rockambula.

Una cosa che, ad esempio, mi pare di aver notato è che, specie nelle piccole realtà cittadine, mancano vere e proprie scene e ognuno tenda a fare musica inseguendo, spesso scimmiottando, i propri idoli, senza alcuna voglia di sperimentare, osare, innovare. Uscire da questo tunnel credete sia possibile? Come?
Uscire dal tunnel delle imitazioni è possibile ma richiede apertura mentale, un discreto background culturale, creatività e voglia di mettersi in gioco. Il problema principale è che si tende, soprattutto nelle nostre realtà, a giudicare l’operato di un musicista solo ed esclusivamente dal punto di vista tecnico senza mettere in rilievo che la creatività costituisce un elemento fondamentale per chi fa musica.

Una delle soluzioni potrebbe essere una certa apertura (date, concerti, festival, contest) alle band, anche poco note, che vengano da fuori (vedi il Progetto Streetambula di cui siamo co/organizzatori). Ma il pubblico dei piccoli centri è pronto a questa sorta di “rivoluzione”? Sembra piuttosto disposto ad ascoltare solo i propri amici, di là dell’interesse ridotto verso la musica.
Finché i piccoli centri ragioneranno con la logica bigotta e culturalmente ristretta, non ci sarà alcuna rivoluzione. La rivoluzione va stimolata e secondo noi, molti in questa valle (Valle Peligna, provincia de L’Aquila ndr), a partire da chi organizza eventi musicali e si occupa di band emergenti come voi di Rockambula, stanno lavorando bene per creare un circolo virtuoso in tal senso.

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Cambiamo discorso ma non troppo. Perché i musicisti vanno con tanta fatica ad ascoltare i colleghi?
Molti musicisti (non tutti), disertano le serate dei loro colleghi, semplicemente per mancanza di umiltà, attenzione, informazione e forse anche invidia. È una costante fra colleghi, Morrisey ci ha scritto anche una canzone.

Passiamo a voi. La vostra musica è fortemente influenzata dal Post Punk dei Joy Division. Quali altre influenze vi si possono ascoltare?
La nostra musica è influenzata da diversi artisti del passato e del presente. Sicuramente i Joy Division hanno avuto un’influenza importante ma non principale. Prima di loro vorremmo citare Gary Numan, Depeche Mode, New Order, Asylum Party, Pj Harvey e Massive Attack senza dimenticare le forti influenze Punk che arrivano dalla nostra chitarrista Francesca Orsini e in particolare in brani come “Closer”, “Torture” e “The Party’s Over” che speriamo avrete presto la possibilità di ascoltare su disco.

Che progetti avete per scoprire il vostro peculiare sound e renderlo più moderno?
Premesso che oggi parlare di suono vecchio e nuovo risulta un po’ difficile in ambito Indie, vista la varietà e le molteplici combinazioni sonore tra i vari decenni e tra i vari generi, stiamo valutando di “svecchiare” il suono cercando, in fase di registrazione, di applicare con astuzia quelle caratteristiche sonore che possono far risultare il prodotto più moderno e muovendoci all’interno di questo impianto sonoro per mantenere il nostro suono volutamente vintage.

Oltre al limite dovuto dall’ovvia somiglianza con i padri del genere, ho notato che, dal vivo, c’è ancora qualche imprecisione soprattutto in chiave vocale e andrebbe attuata anche una più attenta ricerca melodica. Come pensate di muovervi in tal senso? Credete di dover lavorare ancora anche sulle canzoni ormai già ascoltate live?
Per ciò che riguarda la voce stiamo lavorando continuamente per perfezionare quanto già ascoltato dal vivo. Sicuramente un paio di brani richiedono una maggiore attenzione melodica e rivisitazione da parte nostra, per molti pensiamo che la soluzione attuale sia soddisfacente ma sappiamo che un gruppo deve essere sempre alla ricerca di novità’ e aperto a rivedere le soluzioni già date per stabili se necessario e se rispondono a una reale esigenza dei compositori. Pertanto anche le versioni live che avete ascoltato sono suscettibili di qualche cambiamento in fase di registrazione.

Uno dei modi migliori per superare i propri limiti è distruggere quelli mentali che ci portano ad ascoltare sempre le stesse cose. Per questo credo che per tutti, e ancor più per i musicisti, sia importante ascoltare tanta musica, vecchia e nuova, e sempre molto diversa. Qual è il vostro modo di approcciare alle nuove sonorità, alle nuove band? Chi vi piace tra le nuove proposte italiane e straniere e consigliateci un paio di dischi di questo ormai andato 2013?
È essenziale uscire dagli schemi mentali acquisiti, pertanto ci poniamo sempre con grande interesse all’ascolto di quanto di nuovo viene proposto dal mercato discografico soprattutto indipendente. Del 2013 ci sono piaciuti il nuovo dei Soviet Soviet e degli Arcade Fire senza dimenticare The National ma anche in ambito Pop ci sono molte produzioni di valore.

Sul palco si nota una certa spensieratezza alle chitarre (basso incluso) mentre Fabrizio D’Azzena (voce) mantiene un’aria seriosa, tesa, quasi preoccupata e ansiosa. Studiate attentamente le vostre performance, anche per quanto riguarda l’immagine oppure suonate cosi, come viene?
Sinceramente abbiamo ancora forse poca attenzione per l’immagine globale del gruppo ma ciò’ deriva principalmente dal fatto che per ora non è la priorità e pensiamo che sia la nostra musica a dover trasmettere sensazioni emotive a chi ci ascolta. Indubbiamente il nostro cantante è tipo ansioso ma la sua espressione seriosa è risultato di forte concentrazione e passione.

Per ora non avete nessun album pronto. Tra le varie motivazioni che ci hanno spinto a dare a voi il premio Rockambula c’è: “una delle band di cui ascolteremmo molto volentieri il prossimo disco”.  Ce n’è uno in cantiere?
Attualmente stiamo per entrare in studio per registrare il nostro primo cd; vi diamo qualche anticipazione, si chiamerà Lust e sarà composto di otto o nove brani, sette li avete già ascoltati live e due che stiamo selezionando tra il corposo materiale a nostra a disposizione.

Vi faccio il nostro “in bocca al lupo”.

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Happy Birthday Grace (Streetambula Winter Session) 21/12/2013

Written by Live Report

Ho aspettato molto prima di buttare giù queste due righe su Happy Birthday Grace (Streetambula Winter Session) e, a essere sincero, non avrei mai voluto essere io a scriverne. Non è mai facile, forse neanche troppo simpatico parlare (e con amore, perché questo è il caso) di un evento del quale si è anche co-organizzatori eppure alla fine mi sono deciso ma con la promessa, che spero possiate confermarmi mantenuta, di non lasciarmi trasportare dalle mille emozioni che hanno scaldato le pareti di Caffè Palazzo il 21 dicembre a Pratola Peligna (AQ). Ormai sapete tutti che Streetambula è il braccio di Rockambula, quello che organizza festival, contest ed eventi e mette le band in contatto con tutte le realtà interessate dal panorama indipendente, etichette, studi di registrazione, uffici stampa, pubblico, locali, webzine. La storia di questa Winter Session nasce qualche mese fa, quando Lorenzo Cetrangolo, nostro fidato redattore e proprietario degli studi milanesi dalla QB Music (da poco anche etichetta), ci propose di partecipare attivamente a un contest intitolato appunto al ventennale di Grace, storico album di Jeff Buckley.

Ovviamente la risposta di Rockambula è stata positiva ma è andata anche oltre. “Perché non lasciare un posto per la compilation tributo che realizzerete il prossimo anno a una band di Streetambula”? Questa è stata la mia domanda e la Qb Music si è presto dimostrata entusiasta della cosa. Vi spiego subito di che si tratta. Il prossimo agosto Grace compirà vent’anni. La Qb Music darà la possibilità a tante band quante sono le canzoni del disco di registrare un brano dell’album, pezzo che andrà poi a finire nella compilation tributo prodotta e distribuita dalla stessa QB Music. Da quel momento è iniziata la discesa che ci ha portati al contest invernale di cui sto per parlarvi, Happy Birthday Grace (Streetambula Winter Session). Come anche ad agosto, ci sono state delle preselezioni e per la finale sono stati scelti quattro protagonisti che hanno confermato sul campo il loro valore, dando all’evento un valore aggiunto e alzando l’asticella della qualità molto in alto, mediamente anche più di quello che tutti si aspettavano.

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Giunti alla serata fatidica, Caffè Palazzo è stato addobbato a festa, con striscioni, stand, maglie, spille, gadget e quant’altro e soprattutto, ricoperto di musica. La finale vera e propria sarebbe iniziata solo intorno alle 21:00, anche mezz’ora più tardi, ma già all’aperitivo ci aspettava una graditissima sorpresa. Basandosi su un testo scritto da me (lo trovate a fine articolo, per chi fosse interessato), Paride Sticca e Jacopo Santilli de À L’Aube Fluorescente hanno iniziato un racconto musicato che partendo da “Gloom”, un loro singolo di prossima uscita, ha attraversato tutte le mitiche canzoni di Grace, con un mix di note, cantato, teatralità, poesia e Spoken Word. Circa quaranta minuti da sogno, per uno dei momenti più toccanti di tutta la serata. Lasciata alle spalle questa fantastica introduzione, ci si andava avviando verso la gara vera e propria, mentre sullo schermo scorrevano le immagini della serata del 31 agosto, prima edizione di Streetambula Music Contest. La giuria schierata confusamente per evitare l’effetto esame di Stato era pronta. Oltre a me, in qualità di caporedattore di questa webzine e redattore di Ondarock, c’era Margherita Di Fiore, collaboratrice di RockIt, Luca Di Pillo, musicista, Salvatore Carducci, tecnico del suono, fonico, collaboratore di Rockambula e gestore di negozio di strumenti, Duilia Del Gizzi, rappresentante di Nuove Frontiere (organizzatrice dell’evento con Rockambula), Jacopo Santilli, musicista e poi c’era anche per il pubblico la possibilità di votare, per circa il 15% del verdetto finale.

Primi a esibirsi, dalla provincia di Teramo, i Two Fates, coppia anche nella vita che ha proposto un Indietronic coinvolgente e travolgente, carico di melodia ma anche di teatralità, fatto di note orecchiabili e improvvise sferzate avanguardistiche. Bellissima la voce di lei e superbo l’utilizzo di Ableton Live (ribattezzato, Two Fates Machine), strumento abusato nel campo dell’elettronica ma che nel Rock non ha forse mai trovato in Italia un impiego tanto funzionale, pratico eppure artistico. Nessuna imperfezione, i Two Fates sanno come proporsi e sanno come interagire col pubblico, hanno carattere e talento e per tutti il verdetto sembra già scritto, se non fosse per quella cover di Buckley, forse non all’altezza del resto. Poi però sale sul palco un certo Dr. Quentin, tutto solo con la sua follia che odora di gioia. Mette allegria, mette una carica pazzesca, i suoi testi traballano in un inglese claudicante ma tutto sommato comprensibile. Sembra il fratello pazzo dei Two Gallants. Il suo è un misto di Folk Rock, Folk Punk e Alt-Country che mette i brividi e quando intona Hallelujah, a modo suo, mette la pelle d’oca. Certamente la migliore della cover proposte in tutta la serata.

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Superato il Dr. Quentin, entra in scena il Rock dei Droning Maud da Rieti. Il loro sound è potenza pura, ma non di quella esplosiva quanto un big Bang, quanto piuttosto quella di un buco nero, sfuggevole e misterioso. Certamente gli unici che abbiano veramente travolto il pubblico, i più maturi, anche se magari senza stupire troppo. Ascoltarli a due passi è stato come essere investiti da un tornado di note. A chiudere la gara, i liguri Caligo. Ragazzi di una disponibilità unica, una simpatia e un amore per la musica da far invidia. Avrebbero meritato di vincere solo per questo eppure, c’era che dell’altro, nella loro esibizione. Il loro Pop/Rock è puntuale e si mette tutto al servizio della voce e dei movimenti di Marco Ferroggiaro, vocalist e leader della formazione di Chiavari. Melodie e canzoni, di quelle belle, di quelle che si possono cantare anche solo dopo averle ascoltate una volta. I Caligo erano proprio quello che mancava alla serata. Ora è proprio tutto. È ora di scegliere un vincitore.

Il pubblico ha già deciso. Per loro a vincere è il Dr. Quentin. Ma lui, è l’unico che gioca in casa e a Streetambula ci teniamo a fare le cose nella maniera più obiettiva possibile. Il pubblico conta solo per il 15% e come vedrete, non basterà. A vincere infatti non sarà il Dr. Quentin, nonostante tutti abbiano apprezzato la sua cover, nonostante quasi tutti ne riconoscano la voce stridula ma perfetta. Nonostante io stesso abbia affermato che il dottore “scrive canzoni, melodie, come pochi sanno fare”. Non sarà lui a vincere perché tutti ne sottolineeranno i limiti. Suonare Folk Rock, in inglese, solo chitarra e voce e farlo senza stancare dopo venti minuti è difficile e, infatti, anche in questo caso la giuria lo farà notare. A vincere non saranno i Droning Maud, nonostante l’apprezzamento incondizionato di tutta la giuria che ha rilevato solo l’uso eccessivo di una precisa effettistica sulla voce in sostanza per tutta l’esibizione. Non vinceranno non per i problemini tecnici dovuti all’audio e la resa nel piccolo locale ma perché è vero che c’era da fare una sola cover di Jeff Buckley, ma a lui era intitolata la serata e quindi, quella cover, avrebbe avuto un certo peso. Non è piaciuto che quel riarrangiamento sia stato fatto con un paio di minuti di ritardo perché il testo non era stato imparato a memoria e il foglio dove era stato scritto non si ritrovava. Inoltre non è piaciuto molto il riarrangiamento. Dispiace, perché i pezzi originali targati Droning Maud si sono dimostrati una bomba, e forse questo conta più del verdetto finale. Non hanno vinto neanche i Caligo, forse troppo emozionati, certamente stanchi per i 500 Km percorsi per arrivare dalla Liguria in Abruzzo, qualche errore di troppo in fase esecutiva e uno stile troppo magro, asciutto, con poca personalità esclusa la voce di Marco Ferroggiaro, per poter arrivare davanti ai colleghi, i Two Fates.

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Già, proprio loro. I Two Fates. Per una volta hanno vinto quelli che tutti si aspettavano che avrebbero vinto; la band più completa, che ha fatto meno errori, che ha arrangiato con cura il brano di Jeff Buckley (una curiosità, Giuliano Torelli mi ha confidato di essere uno dei mille ad aver visto Buckley dal vivo in Italia), che ha messo sul piano le composizioni più curate, più interessanti e, anche in ottica futura, dalle prospettive più rosee. Senza ombra di dubbio, hanno vinto i migliori ma tutti gli altri si sono dimostrati non solo all’altezza ma certamente capaci di ritagliarsi un gran bello spazio nel mondo della musica. Basta capire quale spazio.

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Di seguito trovate il testo suonato e recitato dagli À L’Aube Fluorescente e scritto da me, nel caso qualcuno voglia leggerlo. Alla fine trovate invece il trailer realizzato per la serata da Andrea Puglielli.

Per i ragazzi di Streetambula, scegliere Jeff Buckley e il suo unico album compiuto Grace, il suo capolavoro che tra qualche mese compirà vent’anni, come cuore del Contest invernale non è stata certo scelta agevole. Ogni canzone di quel disco racchiude una magia che solo pochi capolavori possono vantare e anche le cover interpretate da Jeff hanno acquisito un’aura singolare, un abissale senso di eternità e spiritualità. Avete capito bene, quell’opera d’arte contiene ben tre cover. “Lilac Wine” di Nina Simone, “Corpus Christi Carol” di Benjamin Britten e “Hallelujah” di Leonard Cohen. Tre riarrangiamenti che hanno dato in dono a quei brani l’immortalità che meritano palesando come un artista possa adagiare la sua essenza anche in brani di altri, quando si suona con sentimento. Quello che speriamo possano fare stasera i Droning Maud da Rieti, il Dr. Quentin, pratolano Doc, i Caligo da Chiavari in Liguria e i Two Fates di Colonnella. Fare musica col cuore, per farci sognare il suo volto ancora una volta. Sognare la sua vita.

Una vita che per Jeff non doveva essere stata facile. Il 17 novembre del 1966 nasceva il figlio di Tim Buckley. Il padre di Jeff era proprio quel Tim Buckley che qualcuno sta fantasticando ora. Una delle voci più strabilianti che si ricordino e uno dei più eccelsi sperimentatori vocali e del Folk. Musicista mirabile, non proprio come nel suo ruolo di genitore. Non si consacrò molto al piccolo Jeff, prediligendo cercare buona sorte nella Grande Mela; più in là i due si sarebbero rincontrati ma quest’abbandono non fece altro che appesantire, col tempo, la grandezza di Tim sulle fragili spalle del figlio.

Jeffrey Scott Buckley, “Scotty” per chi lo amava, perse il padre che in fondo non aveva mai veramente avuto, a Santa Monica il 29 giugno 1975; Tim fu schiacciato dal peso di alcol, eroina e da una vita impossibile da sopportare. Tim entrava nella leggenda e Jeff era ancora un bambino. Poche volte “Scotty” ebbe la possibilità di stare con lui ma fu proprio durante una serata in omaggio al padre, nell’aprile del 1991 a New York, che per la prima volta le sue sorprendenti abilità canore furono alla portata di un pubblico di un certo spessore.

Da quel giorno Jeff Buckley ha inseguito il modello del padre, talvolta superandolo e diventando a sua volta un mito, nella sua fragilità una specie di divinità carnale fatta di sogni, illusioni, angosce e dei suoi molteplici amori; si dice che amò tante donne, forse anche Courtney Love con la quale di certo fu fotografato a teatro; di sicuro Joan Wasser (qualcuno tra voi la conoscerà come Joan As Police Woman) ma anche Elizabeth Fraser, splendida voce dei Cocteau Twins. Jeff presto sarebbe diventato una leggenda però consapevole della vacuità della sua vita, che, come in una premonizione, sembrava sapere che non sarebbe stata molto più duratura di quella del padre. Jeff inizia a suonare come tanti di noi hanno fatto, come io stesso ho fatto, con piccole band, con i Group Therapy; quindi incide le Babylon Dungeon Sessions e poi lavora con Gary Lucas e con i Gods And Monsters fino a giungere al colosso Columbia.  Nascono una moltitudine di tracce, tanto materiale spesso ancora inedito che finirà soprattutto per alimentarne il mito, nella sua sfuggevolezza.

Jeff non dimentica mai da dove viene. Forse non sa ancora dove vuole andare . Sapete a chi è intitolato uno dei suoi primi Ep? Al Sin-è. Il locale nella parte orientale di New York dove giovanissimo si guadagnava il pane come sguattero e poi incominciò a esibirsi. Da lì e da allora ha iniziato una corsa frenetica che l’ha portato a Grace, uno degli album più importanti e struggenti di tutti i tempi. Dopo Grace, in un’inquietante analogia con le vicende emotive del padre, Jeff, che certo non era uno scrittore maniacale, si dimostra impossibilitato a reggere i ritmi del mercato e soprattutto a sottostare alle sue pressioni. Sketches For My Sweetheart The Drunk, l’album seguente, uscirà postumo e incompleto; Jeff non riusciva a produrre tanto e velocemente quanto il sistema richiedeva.

Ma chi era veramente Jeff Buckley? Un musicista stravagante e anticonformista, non sempre attento agli aspetti tecnici della sua arte, un uomo capace di non prendersi sempre sul serio, anche quando si trattava di spiegare il senso delle sue parole. Anche un uomo che si sentiva solo, ma non aveva paura della sua solitudine. Sapete, una volta iniziò un tour, otto date, in posti sperduti d’America, con un falso nome, sempre diverso. Spesso suonò solitario, in quel Phantom Tour, senza pubblico. Avete capito bene. Cercava nel suo isolamento di ritrovare se stesso, la tranquillità dell’essere “uno qualunque”, l’unico modo per capire chi sei è forse non essere nessuno, agli occhi degli altri.

Come il padre, Jeff aveva però tanti problemi, con l’alcol, con la droga e con se stesso anche se in maniera meno romantica (aperte e chiuse le virgolette) e meno meravigliosa. Nonostante questo però non sarebbe mai arrivato al punto di morire per sua intenzione. C’era un disco in cantiere sotto l’ala protettrice di Tom Verlaine, leader dei Television; quindi il trasferimento a Memphis. Il padre era morto ventidue anni prima, “Scotty” ne aveva trenta all’epoca. Il suo talento era ancora tutto da scoprire e quello che resta delle sue incisioni racconta di un uomo che non si sentiva certo arrivato, anzi aveva voglia di vedere fin dove la sua mente, la sua arte poteva spingersi.

Era il 29 maggio 1997 quando Jeff e il suo autista si stavano dirigendo verso gli studi di registrazione. Si fermarono, Jeff voleva fare un bagno nelle acque del Wolf River. Si tuffò vestito, cantando “Whole Lotta Love” degli Zeppelin. Non era drogato, non era ubriaco. Non aveva deciso che quello sarebbe stato il momento di lasciarci. Qualcun altro, forse, lo aveva deciso, se ci credete, forse Dio. O forse il destino, il caso, chiamatelo come volete. Fatto sta che in quelle acque fresche di un affluente del Mississippi Jeff, “Scotty” per chi lo ama ancora, ci lasciò facendo quello che più amava, cantando.

Di lui restano poche canzoni ma per chi lo chiama ancora “Scotty” nelle sue preghiere, ha lasciato molto di più. Resta il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e soprattutto resta un album inarrivabile come Grace, al di là del mito.

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La Linea del Pane

Written by Interviste

Partiamo subito con una domanda legata al vostro nome, La Linea del Pane. A cosa si riferisce? E qual è il vostro rapporto col cibo, in un periodo in cui proliferano associazioni, organizzazioni ed eventi legati al cibo sano, biologico, alla filiera corta e così via?
“La linea del pane” è una falsa traduzione dall’inglese breadline, termine che starebbe ad indicare (nei grafici demografici) la “soglia di povertà”, la linea ideale al di sotto della quale la popolazione è indigente. Figurativamente, venivano chiamate breadline le file di persone che attendevano il rancio o il sussidio, durante la grande depressione del ’29. La scelta del nome è stata del tutto casuale, è preso a prestito dal titolo di una poesia, non è legata in alcun modo all’etica del biologico, per intenderci.

I vostri testi sono impegnati e colti, in un modo che sembra più guardare ai primi Marlene Kuntz e a un certo cantautorato anarchico, che non ai più recenti Ministri, Teatro degli Orrori e compagnia. Non è usuale trovare al giorno d’oggi una band che non sia incazzata per la situazione sociopolitica e non manchi di farne la questione centrale dei propri brani. Discostarsi da questo filone è una scelta naturale o anche un modo per distinguersi da una corrente Alternative che ha già i suoi portavoce?
Essere incazzati per la “situazione socio-politica” impegnando la medesima evanescente isteria di quando si è imbottigliati nel traffico è assai facile. E assai futile, anche. Quando il traffico si dipana si torna sempre tranquilli e mediocri. E sono i mediocri appunto che percorrono sempre la stessa strada e finiscono, inesorabilmente, imbottigliati nel traffico. Non so se ho reso l’idea… Ad ogni modo gli encomiabili gruppi che citavi non sono naturalmente nostri capostipiti, quindi in realtà non ci sforziamo troppo di distinguerci da loro dal momento che non ne sentiamo la vicinanza. A dire il vero, nella nostra pur breve vita di band abbiamo ricevuto riscontri molto disparati, e riferimenti a mondi anche totalmente divergenti tra loro. La cosa non è limpida, probabilmente cercare analogie con altri gruppi non è il modo migliore di ascoltare il nostro disco, dal momento che la cosa pare sia molto arbitraria.

Nel recensirvi, ho sottolineato quanto spesso la componente letteraria sia fin troppo aulica, tanto da rischiare di diventare ostica e oscura. Qual è il messaggio principale che un ascoltatore medio dovrebbe cogliere da una vostra canzone?
Beh, diciamo che chi scrive canzoni per dare un “messaggio” fraintende un tantino il mezzo. Forse è per questo che pullulano gli intrattenitori e scarseggiano gli artisti. A parte questo discorso, che richiederebbe più tempo, i nostri testi non si può dire siano immediati. Ma non si può dire nemmeno che siano “aulici”, che letteralmente significa “di corte”, ovvero il linguaggio che si converrebbe in presenza del mecenate. È evidente che non sia il nostro caso. Sono il contrario di aulici, forse peccano di “enigmismo”, ma la maggior parte degli interrogativi possono dissiparsi al secondo o al terzo ascolto. Nulla è lasciato al caso, su questo possiamo garantire; certo è che non ha senso ascoltare “Utopia di un’Autopsia” una sola volta. Comunque, qualora un autore o un poeta volessero scrivere un testo o una lirica lasciando tutto al caso lo potrebbero fare, senza essere perseguibili. Lo fanno in molti senza essere scrittori, né poeti… L’importante è essere chiari, non essere espliciti. Forse la poesia in genere non si capisce subito, ma non per questo è equivocabile.

Musicalmente si sentono radici intellettuali anche nei vostri arrangiamenti. Qual è l’iter con cui nasce un vostro brano?
L’iter per questo disco è stato molto semplice, partivamo dal brano chitarra e voce e lo arrangiavamo insieme. Ognuno di noi tre ha un trascorso musicale diverso dagli altri due, ma bene o male un punto di equilibrio l’abbiamo raggiunto.

Qb Music ha preso a cuore l’edizione del vostro primo disco, Utopia di un’Autopsia. Com’è nato il rapporto con l’etichetta? Come avete lavorato per la realizzazione dell’album?
Il nostro rapporto con QB Music è nato dall’amicizia con Roberto Rizzi, che abbiamo conosciuto ad una serata in cui condividevamo il palco con i suoi Guarentigia, ormai un paio di anni fa. Ai ragazzi di QB dobbiamo anzitutto l’apprezzamento incondizionato che hanno avuto sin dal principio per le nostre canzoni. Di questo gli siamo grati e a questo dobbiamo la nostra decisione di lanciarci nella registrazione di un disco, che in quel momento non era nei nostri piani immediati.

Il panorama musicale nostrano è particolarmente puntellato di piccoli gruppi promettenti che spesso non vengono presi sufficientemente in considerazione né dalle produzioni, né dai media. Come ovviate a questa situazione? C’è qualche collega che è stato immeritatamente meno fortunato di voi?
Ce ne sono parecchi, abbastanza da mettere in discussione l’attendibilità degli addetti ai lavori. Per quanto ci riguarda, nel nostro piccolo, non ci interessiamo della cosa. Per vivere facciamo altro, io ad esempio faccio il magazziniere.

Tra i vari espedienti per la promozione, oltre ai soliti social network, voi avete utilizzato dei brevi video che riprendevano i lavori in corso, il backstage della preparazione del disco. Fidelizzare il pubblico è sicuramente fondamentale, è stato utile anche per rintracciare nuovi fan? La componente visiva è ancora così importante nel lancio di un prodotto fondamentalmente sonoro?
La componente visiva è importante mediamente per le persone, non per la musica. È così a prescindere da ciò che ne pensiamo noi, dunque è anche inutile parlarne. Su di noi possiamo dire che non è stata una nostra scelta precisa; abbiamo attorno a noi amici molto bravi in quel campo, sono stati loro a proporci la cosa e noi abbiamo acconsentito volentieri.

L’altra grande risorsa che una band ha per farsi conoscere è il live. Qual è la vostra esperienza in merito alla possibilità di esibirsi in locali e festival nostrani? Si sente spesso parlare di quanto sia difficile trovare date in situazioni che siano realmente efficaci per il lancio di un prodotto artistico o della possibilità di esibirsi senza essere meritatamente rimborsati…
Prima di registrare il disco abbiamo suonato per un anno nei luoghi più vari, noti e meno noti. I soldi non ci sono, è evidente, ma non ci sono da nessuna parte. In linea generale, suonando in acustico nei posti piccoli si guadagna di più e si “fidelizza” di più, anche se con poche persone alla volta.

La domanda è standard ma doverosa: quali saranno le vostre prossime mosse?
Da febbraio torneremo a suonare in giro. Inoltre stiamo girando un videoclip non tradizionale, in realtà è più un cortometraggio cinematografico, realizzato da alcuni ex-studenti della Scuola Civica di Milano. Crediamo sarà un bellissimo lavoro e speriamo che lo vedano in tanti, naturalmente.

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Il vincitore del premio Rockambula al Festival Soundwave

Written by Senza categoria

Ieri si è concluso il Festival Soundwave a Sulmona (AQ). Rockambula, come sapete, ha messo in palio un pacchetto promozionale che prevede intervista e/o recensione più banner pubblicitario per un mese, non alla band migliore in quanto a esibizione ma al progetto più interessante, dalle più ampie prospettive, più originale, anche solo in ottica potenziale.

Tra le tantissime formazioni presenti, la scelta del vincitore del premio Rockambula era da farsi, a nostro avviso, dentro un cerchio che comprendeva i Meticci di Razza Bastarda, i Remains in a View, gli Only Ten Left, gli Allcost, Stephanie e i No Love Lost. La prima band, Rap Hardcore, ci è piaciuta tantissimo ma ha pagato la quasi impossibilità a comprenderne i testi (“rappati” in italiano). Grande carica quella dei giovani punkers Only Ten Left anche se troppo “standard” per il premio. Stessa cosa per i Remains in a View. Gli Allcost hanno provato a fare un Pop insolito ma in fase esecutiva sono parsi un po’ spogli e poco coinvolti. Perfetta Stephanie con Fabio Rosato alla chitarra che pagano solo il fatto che la loro musica sia troppo convenzionale per il nostro premio. Forse con tutta la band ad accompagnarla sarebbe stato diverso.

A vincere sono i No Love Lost, un Post-Punk vecchio stile, batteria elettronica e con un eccelso Marco Di Ianni al basso. Da migliorare le linee melodiche vocali e anche l’impostazione di D’Azzena, cosi come la presenza sul palco ma certamente, in ottica futura, può essere la formazione che, a nostro avviso, potrà sviluppare discorsi sonori più interessanti, magari rinnovando le sonorità adattandole ai tempi.

Il vincitore del premio Rockambula al Soundwave è:

NO LOVE LOST.

Grazie da Rockambula a tutte le band partecipanti, al comune di Sulmona, agli organizzatori e in particolare a Silvio Mancinelli e Antonio Ranalli.

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Deathless Legacy

Written by Interviste

Horror ed Heavy Metal, questo il connubio che portano avanti i Deathless Legacy un gruppo con alle spalle un vagone di date  live ma da poco alle prese con un disco d’esordio intitolato Rise from the Grave. A parlarci del gruppo c’è la carismatica frontwoman della band Eleonora “Steva” Vaiana, nota non solo per le sue qualità canore ma anche per la teatralità. Non resta che gustarsi quest’intervista.

Ciao Steva e benvenuta su Rockambula. Tanto per cominciare perché non presenti i Deathless Legacy al nostro pubblico?
Ciao Vincenzo, grazie mille per questa opportunità che ci hai dato. I Deathless Legacy sono una band Horror Metal, attiva dal 2006 come tribute band dei Death SS prima, che man mano è andata a crearsi il proprio mondo e ha lavorato per dar vita al primo disco di inediti: Rise from the Grave.
Fin dagli esordi abbiamo sempre puntato molto oltre che sulla componente musicale, su quella scenica, entrambe improntate su tematiche horror, gore e splatter: la teatralità, nei nostri spettacoli, va così a fondersi con le cupe atmosfere evocate dalla nostra musica, e il tutto è arricchito dalle splendide performance di un membro fondamentale della nostra band, la Red Witch.

A breve uscirà il vostro primo full lenght, Rise from the Grave, a cosa vi siete inspirati per comporlo e quali tematiche toccate nel disco?
Ci siamo ispirati ai nostri demoni interiori, a quegli elementi nati dalla repressione del proprio sé quotidiana, ai mostri che amiamo tanto dei film horror. Le tematiche affrontate dal disco sono una sorta di traduzione della comunicazione tra le nostre menti e le nostre coscienze e ci auguriamo che abbiano lo stesso valore per tutti coloro che lo ascolteranno: le paure vanno affrontate, la disposizione dei brani nel disco è una sorta di cammino iniziatico, che porterà a un salto nel vuoto della conoscenza di sé e del proprio universo interiore. Il nostro album dovrebbe essere una specie di esorcismo di tutto ciò che temiamo perché ignoto, compresa la propria interiorità, solo che anziché usare formule in latino e croci, abbiamo scelto di optare per un Heavy Metal denso e circondato di lapidi.

Il disco è stato registrato e mixato negli Inner Enclave Studios; che tipo  di lavoro avete svolto, come sono andate avanti le diverse fasi di lavorazione del platter?
Le registrazioni sono state precedute da una serie di pre-produzioni che ci sono state molto utili per capire e formare il nostro sound: alcuni dei pezzi presenti in tracklist risalgono a qualche anno fa, ma per tutti i cambi di line-up che ci sono stati all’interno del nostro piccolo mondo, siamo stati costretti a rimandare le registrazioni dell’album fino al 2012. Con l’entrata nella band del nostro Cal’aver, ci siamo messi a lavoro per creare il nostro piccolo mostro musicale e agli inizi del 2013 abbiamo concluso i lavori di registrazione.

Ho notato che vi siete dati da fare anche per la promozione attraverso video promo e foto. Anche qui come vi siete mossi?
Anche la promozione attraverso video promo e foto è un’estensione della nostra teatralità: cerchiamo di fare tutto il possibile, con le nostre disponibilità e forze, rendendo omaggio in qualche modo al mondo dell’horror non solo musicalmente, ma anche visibilmente e con tutti i media possibili! Per promuovere i nostri live abbiamo proposto più di una volta veri e propri cortometraggi, principalmente perché ci divertiamo a girarli!

Chiaramente i Deathless Legacy non campano di musica, cosa fate oltre che i musicisti, come sopravvivete?
Siamo non morti, quindi mangiamo poco e ci muoviamo il giusto, altrimenti perderemmo pezzi per strada! Quando le giornate sono buone e non sentiamo il peso di tutti questi anni da non-vivi, io, la Red Witch ed El Cal’aver siamo studenti universitari, gli altri si sono infiltrati alla perfezione nel mondo del lavoro e svolgono mansioni da vivi per i vivi!

Mi ha incuriosito l’entrata nel gruppo di The Red Witch, la vostra dancer e performer. Come è nata l’idea e la collaborazione?
I nostri spettacoli sono fatti al 50 % di musica e al 50% di scena: lo show che offriamo presenta una componente teatrale di spessore, nel senso che da sempre ci muoviamo per far sì che i nostri spettatori possano trovarsi immersi a 360° in quello che stiamo facendo e in quello che vorremmo trasmettere. La nostra Red Witch non è solo la nostra performer, ma è un membro pilastro nella band: partecipa regolarmente alle prove settimanali, durante le quali prendiamo decisioni che interessano le nostre sorti e quelle degli show imminenti. È la nostra  sorella non-morta, senza la quale i Deathless Legacy non potrebbero essere quello che sono oggi e non potrebbero lavorare a quello che vorrebbero essere domani.

I Deathless Legacy hanno  alle spalle una sfilza d’interessanti concerti, uno di questi  mi ha incuriosito molto ovvero quello con Steve Sylvester, Halloween 2011. Che effetto vi ha fatto esibirvi con lui?
In occasione di Halloween 2011 ci siamo esibiti al Jump Rock Club di Montelupo (FI), dove in seguito al nostro live, Steve Sylvester avrebbe tenuto un dj set. Posso solamente dire che vedere il vampiro salire sul palco dopo “Vampire” e il battesimo di sangue che proponevamo e proponiamo tutt’ora su “Bow to the Porcelain Altar”, come performance, è una cosa che non dimenticherò mai.

Come è stato accolto Rise from the Grave dal pubblico e come dalla critica?
Ancora è abbastanza presto per poterlo dire, dato che l’uscita ufficiale è prevista per il prossimo 3 gennaio 2014. Possiamo per ora sperare per il meglio, dato che abbiamo avuto pareri molto positivi da parte di personaggi di un certo spessore nel panorama musicale del metal, e riscontri eccellenti anche oltreoceano!

Adesso una piccola curiosità: a quale festival ti piacerebbe suonare con il tuo gruppo e affianco a quale band di prestigio?
Parlando a nome di tutti, senza dubbio sarebbe un vero piacere poter aprire ai Death SS, i nostri padri spirituali e musicali che ci hanno sempre ispirato durante il nostro cammino. Anzi, se non fosse stato per loro, probabilmente i Deathless Legacy non sarebbero esistiti!
Magari una bella data con Death SS, King Diamond e Ghost sarebbe un bel traguardo, ecco!
Come festival, l’Interiora Horror Festival si è rivelata una splendida esperienza che ci ha dato modo di conoscere il calore e il pit che solo a Roma ci hanno saputo regalare: ci piacerebbe sicuramente poter replicare una delle esperienze più belle che abbiamo potuto vivere!

Bene Steva l’intervista si chiude qui concludi come meglio ti pare…
Ti ringrazio di nuovo per la bella intervista, è stato un vero piacere per me! Che dire, che l’orrore sia con tutti voi e preparatevi: i non-morti stanno uscendo dalle loro tombe e vi porteranno incubi, vermi e putrefazione!

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