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I Totale Apatia in una cover strumentale in omaggio ai Ramones

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In occasione dei 40 anni dalla nascita di una band fondamentale per il movimento Punk mondiale , i RAMONES, la Punk Rock band bresciana Totale Apatia ha registrato una versione acustica di “Pet Sematary”. Il brano comparirà sulla compilation ONE,TWO,THREE,FOUR..I CRETINI SALTANO ANCORA, super raccolta con 50 band italiane impegnate a rivisitare un brano dei RAMONES, la cui uscita digitale è prevista per i primi mesi del 2014 su Rocketman Records.

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Regia : Luca BZK Catullo

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Il Video della Settimana: Edoardo Borghini – Ci Riproviamo, Ci Ricaschiamo

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“Ci riproviamo, ci ricaschiamo” è la storia di due persone che sono state fidanzate e si sono amate tanto; si sono poi lasciate perché il sentimento d’amore da parte di una delle due si è esaurito e a distanza di un po’ di tempo si ritrovano, ci riprovano, accorgendosi però che nulla è più come prima. Il video rende bene l’idea: un lui e una lei ormai esauriti, annichiliti e annullati che, nonostante abbiano le stesse abitudini, non hanno ormai più nulla di nuovo da dirsi.

Regia, riprese e montaggio: Giacomo Favilla.
Soggetto: Marco Baracchino, Giacomo Favilla, Edoardo Borghini.

Lui è Edoardo Borghini e suo è il videoclip che abbiamo scelto come video della settimana. Lo trovate di seguito e in Homepage per tutta la settimana.

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Concorsi e contest per band emergenti: vera promozione o pura speculazione?

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Qualche tempo, fa con la mia band mi è capitato di partecipare a un concorso per gruppi emergenti. Non farò il nome né della band né del contest, perché il mio scopo è solo riflettere un momento sulla tendenza, vigente da parecchio e ogni anno sempre rinverdita da qualche filantropo più o meno sincero, di organizzare rassegne con la formula dell’agone musicale. L’obiettivo è ogni volta il medesimo: dare occasione alle giovani formazioni di esibirsi su un palco più o meno prestigioso, ottenere premi più o meno rinomati e costosi, uscire dal proprio contesto urbano e poter suonare in location a cui difficilmente si sarebbe potuto accedere. Ma è tutte le volte vero?
Nel caso specifico dell’ultimo concorso a cui ho partecipato l’associazione organizzatrice richiedeva 30€ a gruppo come quota di partecipazione. E fino a qui ok. Ce ne sono di molto più cari e in quattro la cifra procapite diventa irrisoria. Il contest è organizzato nel capoluogo di regione (che da noi dista 55 km) oramai da diversi anni; le varie fasi eliminatorie prevedono di itinerare per un po’ di locali finendo con la fase finale in un super posto parecchio rinomato.

La prospettiva di passare qualche fase di selezione e inanellare un po’ di date in locali in cui diversamente non avremmo potuto suonare (perché sei di fuori, non porti gente), non ci dispiace affatto. La registrazione del singolo con videoclip, prevista come premio del vincitore, non ci interessa assolutamente invece, ma è sicuramente un bell’incentivo. La faccenda comincia a stridere con l’assoluto obbligo di consegnare i soldi a mano pena l’esclusione, in un giorno prefissato per la riunione tra organizzatori e partecipanti, antecedente all’inizio delle fasi eliminatorie (quindi un ennesimo viaggio da mettere in conto). Riunione, oltretutto, per parlare del nulla e fondamentalmente per non tracciare il denaro, visto che non abbiamo avuto nemmeno una ricevuta che attestasse l’avvenuto pagamento (e visto che alla nostra richiesta di poter fare un bonifico bancario ci è stato risposto picche).

La rassegna si svolge di martedì. E ok, siamo in una grande città: si uscirà anche infrasettimanalmente. Noi della band lavoriamo tutti ma è un impegno, l’abbiamo preso, si va. Convocazione alle 17. Di martedì. Ma stiamo scherzando? Ci dividiamo. Due di noi che non lavorano vanno su all’ora delle convocazione per presenziare, quelle che lavorano arrivano appena possono. Se non fosse che l’orario tanto infelice era scomodo anche ai tecnici del suono che alle 19 ancora dovevano allestire il palco per il soundcheck. La mia band ha mosso, di questi tempi!, due auto per fare più di cento chilometri andata e ritorno, quando avrebbe potuto semplicemente fregarsene delle convocazioni, degli orari, dei dettami e muoverne solo una e risparmiare. Lasciamo stare che non ci sia stata offerta né la cena né una simbolica birra (e noi band sappiamo accontentarci anche del cibo come formula di rimborso spese). Chicca delle chicche: in un concorso che prevede la famosa “giuria popolare”, tutte le altre formazioni in gara con noi erano del capoluogo, quindi ben fornite del loro codazzo di amici (comunque una trentina di persone, non immaginatevi chissà che folla) nonostante il giorno feriale. Non c’è neanche bisogno di dire il risultato della selezione.

Di esperienze infelici come queste è sicuramente pieno il panorama emergente nostrano. Sono formule in cui appassionati di musica, musicisti, giovani disoccupati che cercano di arrotondare, si lanciano a pesce divertendosi a fare i promoter e, complice una certa improvvisata (in)esperienza, fanno solo danni e pagliacciate. Fortunatamente ci sono le dovute eccezioni e sta alle band vagliare molto bene la professionalità di chi organizza. Anzitutto bisognerebbe chiedere una trasparenza nei pagamenti. Sono pochi soldi, ma messi insieme tra tutti i partecipanti, fanno cifre abbastanza considerevoli e meritano un ritorno in professionalità e competenza. In secondo luogo bisogna sincerarsi dell’onestà organizzativa (puntualità e rispetto degli orari, fasi eliminatorie organizzate in modo da non privilegiare le formazioni del luogo, assenza della fantomatica “giuria popolare” che tanto ricalca l’odioso ragionamento del proprietario di locale che ti chiede, al momento dell’ingaggio “Ma tu, quante persone mi porti?” e che di sicuro tradisce un interesse tutt’altro che filantropico e musicale da parte di chi mette in moto la macchina del contest). Abbiamo voluto raccogliere, in questo articolo, tutta una serie di testimonianze di chi ruota attorno ai concorsi, tanto dalla parte di chi partecipa, quanto da quella di chi organizza. Traete voi le conclusioni. E in bocca al lupo!

Alla luce di questa esperienza diretta di uno di noi e visto che anche Rockambula, con Streetambula, si sta proponendo come organizzatrice di eventi simili, abbiamo voluto parlare anche con band esterne, che tra l’altro già hanno partecipato ad un nostro live contest, per capire se ci si sta muovendo in una giusta direzione.

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Dopo una breve chiacchierata con i De Rapage e gli À L’Aube Fluorescente (rispettivamente primo e secondo classificato a Streetambula) abbiamo scoperto che sì, a volte partecipare a un Contest musicale può dare visibilità a una band, e rappresenta anche un’occasione concreta per rendere “reale” la propria musica. Ma a volte anche no.

In merito alla partecipazione a concorsi e contest musicali:

Qual è stata l’esperienza più assurda e negativa che avete dovuto affrontare? Quale invece quella che vi ha lasciati maggiormente soddisfatti?
De Rapage: Una parte importante delle piccole realtà musicali, dovrebbe essere il mutuo supporto e la reciproca condivisione: un aspetto molto negativo di questi contest è proprio che questo genere di collaborazione viene a mancare in quanto gara, ed al momento dei verdetti, al posto di prepararsi a festeggiare tutti insieme in un terzo tempo a suon di birra, si accendono le polemiche. Questa è di sicuro la faccia della medaglia che non ci piace. Di aspetti positivi, oltre a quelli di suonare dal vivo, di farsi conoscere da un pubblico che non è il tuo e di conoscere nuove persone con la tua stessa passione, ce ne sono davvero pochi altri.

À l’Aube Fluorescente: Siamo una band con circa un anno di attività e non abbiamo partecipato a molti contest. Alcuni erano esclusivamente on line e personalmente li trovo abbastanza fini a se stessi, anche se a volte i premi in palio sono molto interessanti. Tuttavia la meritocrazia fatica a trovare spazio con questo sistema di giudizio. Streetambula ci ha sicuramente lasciato un bellissimo ricordo ed un premio utilissimo! Tutti i vari sistemi di selezione hanno funzionato molto bene. Lo consigliamo vivamente.

Quali sono gli errori che secondo voi si dovrebbero evitare a livello organizzativo?
De Rapage: Qui si parla di eventi in cui vengono mischiate in un grande calderone band dagli stili e dai generi a volte anche antitetici; un buon service in grado di gestire differenti approcci musicali è il primo elemento da prendere in considerazione; avere una giuria competente e di livello, evitando nomi che lavorano con la musica ma che di musica non capiscono un cazzo è il secondo. Ultimo ma non meno importante è essere sempre disponibili con gli artisti.

À l’Aube Fluorescente: si deve evitare in primis di sottovalutare l’aspetto tecnico riguardante la strumentazione per permettere alle band di esibirsi. Si deve garantire un palco di qualità per dare piena riuscita al contest. Le altre accortezze da porre all’attenzione delle organizzazioni sono innumerevoli. La realtà dei fatti è che alla fine la differenza la fa la voglia e la passione di chi organizza. Grazie a tutti quelli che lo fanno per vera vocazione.

In che modo i contest a cui avete partecipato vi hanno aiutato nella vostra carriera artistica?
De Rapage: Ci hanno aiutato a capire che possiamo divertirci indipendentemente dal risultato finale. Partecipare ad un contest pensando di vincere perché sei il migliore del tuo paesino disperso fra i monti o del tuo quartiere è proprio da sfigati. Divertirsi è l’unica cosa a cui una band da sottobosco dovrebbe ambire; un po’ di sana competizione la si va a cercare sui campi di calcetto!

À l’Aube Fluorescente: Alcuni ci hanno fornito visibilità e promozione; altri occasioni concrete per rendere reale la nostra musica. Sono due aspetti importanti, uno più aleatorio, un altro pragmatico. Il consiglio che mi sento di dare a tutte le band che cominciano o che, come noi, proseguono un percorso è quello di scegliere con attenzione le proprie battaglie. Non si può agire sempre su tutti i fronti ed al contempo fare musica: ottimizzare le proprie dinamiche per ottimizzare i risultati. È  poco poetico lo so, ma funziona.

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A quanto pare, le nostre idee sembrano combaciare perfettamente con quelle di chi, al nostro contest ha partecipato e ha aderito anche ad altri. Noi di Rockambula e conseguentemente di Streetambula cerchiamo di metterci sempre dalla parte di chi suona ed è per questo che non chiediamo e non chiederemo mai soldi per iscrivere una band a un contest. Tutta la nostra webzine e tutto il lavoro che c’è dietro è veramente frutto della nostra passione per la musica e questo si riflette anche sull’organizzazione degli eventi. Con il progetto Streetambula organizziamo serate alle band senza chiedere alcuna percentuale, con il solo scopo di fare promozione alle nostre serate (2/3 all’anno). Stanziamo cifre cospicue per service e premi, e conti alla mano, ci guadagnano ben più le band di noi che organizziamo. Con questo non vogliamo certo dirvi che Streetambula è un contest migliore di ogni altro in Italia ma certamente possiamo garantirvi che è fatto con onesta e forse anche troppa passione (quando magari non guasterebbe del sano egoismo). Con la prima edizione di Streetambula, su otto band finaliste abbiamo garantito otto premi, di cui il primo premio del valore di 1000 euro. Abbiamo garantito una promozione alle band notevole, anche grazie al sito di Rockambula, oltre che quello di Streetambula. Abbiamo creato un progetto col quale stiamo organizzando serate alle band iscritte, sempre gratis (guadagniamo qualcosa con lo stand di gadget e le birre). In pratica, chi partecipa non partecipa solo per il premio ma per avere un rapporto diretto ed essere supportato in ogni situazione possibile. Abbiamo migliaia di contatti di ogni tipo, quindi se una band ha bisogno di supporto, noi diamo una mano. Il contest è una minima cosa. Spesso le band credono che la formula del contest sia un modo facile per fare serate a costo zero. Non è proprio cosi. Nel nostro caso, ad esempio, abbiamo speso in premi lo stesso che se avessimo fatto un festival, nel qual caso avremmo risparmiato tempo e fatica. Inoltre i premi sono scelti tutti per aprire nuove porte alle band che spesso non sanno neanche come muoversi in un certo ambiente. Grazie a Streetambula i De Rapage hanno delle splendide foto, Doriana Legge andrà in radio, gli Old School hanno attrezzatura, i Suricates promozione e À l’Aube Fluorescente ha registrato un singolo e molti avranno lezioni di batteria gratuite. Inoltre tutte le band del contest e le altre che hanno chiesto di essere inserite nel progetto, hanno avuto o avranno recensioni sincere, news, spazio sul sito di Streetambula e di Rockambula. E le nostre giurie sono sempre qualificatissime, variegate e il giudizio del pubblico nel contest estivo non era previsto, mentre per il contest invernale (21/12/2013 Caffè Palazzo Pratola Peligna) avrà un ruolo comunque marginale.  Insomma, noi siamo dalla loro parte. Vi lascio alle parole del nostro direttore e vicedirettore di Streetambula, Riccardo Merolli.

Da organizzatore di Contest posso dire con estrema sincerità che quelli a pagamento non hanno motivo di esistere, nel rispetto della musica come arte. Ho fatto parte di molte organizzazioni nel corso degli anni e vi assicuro che far pagare una band per esibirsi è come rubare la cioccolata a un bambino, una tristezza infinità che aumenta la nostra pochezza culturale. Tutti i contest nel giro di qualche tempo dovrebbero trasformarsi in festival, esclusi naturalmente quelli che ti portano a suonare in un grande festival. Capisco le difficoltà economiche ma questo è un problema che toccherebbe risolvere a chi scalda poltrone, noi ci mettiamo la faccia almeno fino a quando non sarà completamente ricoperta di sputi.”

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La Band della Settimana: Noàis

Written by Novità

Noàis è una richiesta garbata di servire le cose senza diluirle perché non ha più senso farlo. Senza ghiaccio per gli intenditori, senza senso per tutti gli altri. Un insieme di istantanee e impressioni che fissano storie comuni, come comuni sono le musiche che le accompagnano. Il viaggio più che un senso diventa una scusa per non star fermi e ciò che resta è: canzoni per chiedere scusa e ringraziare, ballate d’amore e dis-amore, parole di rabbia e speranza. Senza pretese, senza meta, non vuoti a rendere ma vuoti a perdere. Per poi ritrovarsi.”

Jacopo Perosino – Voce e tutto il resto
Paolo Penna – Chitarrine Giocattolo
Luisa Avidano – Violini Violenti
Simone Torchio – Bassi Bitonali
Roberto Musso – Pentole e Coperchi

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“HAPPY BIRTHDAY GRACE: SI VOTA!

Written by Senza categoria

Il concorso, promosso da QB Music, arriva alla fase due: una votazione online per decretare il vincitore del “Premio del pubblico”.

Il favorito della giuria popolare verrà poi affiancato agli artisti scelti dallo staff di QB e dalla redazione di Rockambula per partecipare alla compilation-tributo che QB Music produrrà nel corso del 2014, in occasione del ventennale dell’uscità di “Grace”.

Per partecipare alle votazioni, seguite QB su www.facebook.com/QBMusicStudio

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Rockambula al servizio del Soundwave Christmas Night.

Written by Senza categoria

In occasione del Soundwave Christmas Night la nostra webzine mette in palio un pacchetto promozionale comprensivo di Intervista e Recensione più un banner pubblicitario sul sito per la durata di circa un mese. Il Soundwave è un Festival che permetterà di produrre un album con le canzoni inedite dei partecipanti e si svolgerà il 26, 27 e 28 dicembre al Club le Piscine di Sulmona (AQ). La redazione di Rockambula seguirà questa tre giorni con attenzione e assegnerà il premio alla band che proporrà il progetto più interessante, sia sotto l’aspetto compositivo ed esecutivo e sia sotto quello progettuale. Ancora una volta, Rockambula si schiera al fianco della musica indipendente ed emergente. In bocca al lupo a tutte le band dallo staff diRockambula!

 

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Il Video della Settimana: Fitness Forever – Lui

Written by Senza categoria

La band campana sceglie un’inconsueta strada del Pop Italiano retrò e lo fa sia nelle liriche, sia nella musica ma anche nell’aspetto estetico. La conferma di questa passione per un epoca ormai andata si ha anche con il video di “Lui”, diretto da Alfredo Maddaluno,  la nostra scelta della settimana, tratto dall’ultimo e secondo album Cosmos.

Potete vederlo di seguito e in home per tutta la settimana.

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La Band della Settimana: Hola la Poyana

Written by Novità

La Poyana nasce, cresce e si sviluppa in un bosco, liberatosi degli ingombranti genitori, decide di non fare più niente. La Poyana incontra casualmente colui che lo inizierà alle arti chitarrose, Sig. Gufo. La Poyana e Sig. Gufo suonano insieme per anni, drogandosi spesso. La Poyana conosce Mr. Nuvola, che introduce il nostro alle arti divinatorie e gli insegna ad andare di corpo con regolarità. Mr. Nuvola ha molte conoscenze, per lo più losche, in cima ad una montagna. La Poyana, Sig. Gufo e Mr Nuvola intraprendono una tournée nella montagna, dalla quale non si riprenderanno mai più. La Poyana viene iniziato al sesso estremo e all’alta cucina. Dopo tre anni di tourneè ininterrotta, Sig. Gufo sparisce misteriosamente. Mr. Nuvola si trasferisce in un isola sconosciuta, nella quale imparerà a lavarsi da solo. La Poyana decide di cercare Sig. Gufo, che aveva rubato il suo diario segreto, da allora non si hanno più sue notizie…. to be continued

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Dimartino 02/11/2013

Written by Live Report

Voi non ci crederete ma dopo il concerto dell’altra sera al Circolo degli Artisti, la prima cosa che mi viene in mente se penso a Dimartino è Niccolò Fabi. Non perchè sia possibile accostarli stilisticamente, questo nessun recensore in Italia avrebbe l’ardire e l’ardore di dire (notate il gioco di parole che denota la padronanza linguistica del sottoscritto, altro che “scusate il gioco di parole”), ma perchè a pochi passi da me al concerto di Dimartino c’era Niccolò Fabi. L’ho incontrato in fila, era dietro di me, lui ha pagato ed io avevo l’accredito stampa; mi ha guardato mentre dicevo “ho un accredito” (magari solo perchè gli ero davanti) e io l’ho riguardato sprezzante negli occhi con uno sguardo western che nel mio cervello di idiota significava chiaramente “Stai attento a quello che fai con la tua chitarrina, sono un recensore spietato, se mi fai un disco di merda ti stronco”. Nel suo sicuramente significava: “mo’ a sto’ pigmeo si nun’ ze leva ooo meno”. Avrebbe fatto bene. Comunque sono qui per parlare del concerto di Dimartino e cascasse il mondo lo farò.

Apertura di Valentina Gravili, brindisina di nascita, romana d’adozione cantautrice dalle influenze mediorientali sia in viso che nelle melodie. Mi ricorderò della sua performance per il pedale che il batterista aveva collegato al microfono il quale moltiplicava le voci in maniera che la Gravili sembrasse accompagnata da un coro di Bonzi. Bell’effetto. Ma arriviamo al concerto del cantautore siciliano: Dimartino si presenta in total black: giacca, pantalone, barba rifilata e t-shirt scollatissima senza peli sul petto: non aggiungo altro. Bel trio, quello di Dimartino, dal suono particolare e dovuto al fatto che lui suona alternativamente il basso o la chitarra e quindi pur in ambito rock complessivamente risulta molto pulito e ben equilibrato. Talmente equilibrato che quando in qualche pezzo vengono utilizzate delle sequenze la voce finisce per soffocare in mezzo al volume sonoro accresciuto. Una per una sfilano molte delle canzoni che compongono i suoi primi due dischi e l’ultimo ep Non Vengo più Mamma e in più una bella e intensa versione di “Sobborghi” di Piero Ciampi. Giusto Correnti alla batteria sembra suonare in un gruppo Indie Rock inglese più che in una band di un cantautore, Angelo Trabace con la partecipazione teatrale e la gestualità facciale di un cantante neomelodico dà bella mostra delle sue indiscutibili doti di pianista. Complessivamente il live è piacevole ed anche più energico di quello che mi aspettassi dalla produzione in studio, una bella sorpresa. A volte ho avuto la senzazione che l’ interplay fosse ancora un pò acerbo, come se fosse la risultante monolitica di tre diversi modi di sentire il repertorio, poco comunicanti tra di loro e ancora un pò postadolescenziali.

Nulla che non si acquisti con qualche altro anno di live. Spettacolo nello spettacolo la presenza di Fabi vicino al bancone e gli sguardi furtivi di molti degli spettatori per cercarne di capire le impressioni dalle reazioni, quasi a volere da lui una legittimazione per farsi piacere il concerto. Una sorta di imperatore musicale che con lo scuotere della testa invece che con il pollice in alto poteva legittimare o meno un pezzo piuttosto che un altro. Spettacolo nello spettacolo, nello spettacolo all’uscita: alcuni vanno verso il banco del merchandising di Dimartino ma molti di più rimangono a chiedere autografo e foto ricordo a Fabi. Non cambieremo mai.

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Vote For Saki – Ulisse

Written by Recensioni

È la seconda volta che mi trovo ad ascoltare un disco dei Vote For Saki, precisamente questa volta a passare tra i mie ascolti è un EP di sei brani chiamato Ulisse. Le mie impressioni rispetto alla volta precedente non sono affatto cambiate, anzi, la corteccia diventa ancora più spessa e la voglia di Rock invade ancora una volta le mie giornate, di questi tempi le contaminazioni sono talmente tante da perdere la memoria dell’origine. Il disco (è un EP ma lo chiamerò disco punto e basta) rappresenta la visione più vorace del Rock, inteso come musica di strada e popolarmente aperta a tutte le genti, a quelli con la puzzetta sotto il naso, a quelli che vivono di espedienti e a quelli che pensano di essere veri rocker pagando centinaia e centinaia di euro per scodinzolare nel backstage di qualche rincoglionito artista americano. Cose che purtroppo accadono ma alla passione non si comanda. Insomma musica per tutti, musica per chi vuole sentirsi vivo. Se poi mettiamo sul fuoco che il disco è cantato interamente in italiano dal frontman Riccardo Saki Carestia dobbiamo ammettere che il miracolo del Rock esiste anche in Italia. E su quest’ultima considerazione avevo quasi perso le speranze. Ma se la speranza è sempre l’ultima a morire i Vote For Saki ci cazzeggiano alla grandissima, chitarra ed armonica a bocca come nei migliori copioni del genere, capello dannatamente lungo e chilometri di strada da bagnare col sudore. Il precedente lavoro mi aveva colpito sostanzialmente nell’intero complesso, ero entrato in simbiosi con tutti i pezzi arrivando alla considerazione finale di un concept strutturato ad arte. Ulisse invece è figlio bastardo della strada, ogni brano vive di luce propria viaggiando in solitudine sul proprio pianeta, tante piccole storie diverse a comporre un libro di racconti piuttosto che un romanzo. Suoni grezzi che non disdicono mai la naturalezza delle sensazioni, brani come “Ulisse” o “Punto e Basta” regalano attimi di purezza incontrastata, il concetto di sperimentazione non entra troppo nelle loro corde ma il risultato è comunque apprezzabile sotto ogni punto di vista. Anche quando sembrano perdersi nella banalità come in “Razza Umana” trovano sempre un motivo valido per lasciarsi ascoltare con attenzione, sarebbe bello assistere ad una live performance, chissà cosa combinano questi Vote For Saki. Un disco (sempre un EP) da prendere in considerazione, la mia votazione rimane sopra una decisa sufficienza perché la band trova nel tempo sempre lo stesso entusiasmo dell’inizio, ho deciso di credere nella loro musica, ho deciso di votare per Saki. Corna al cielo!

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Una Volta Erano Buskers

Written by Articoli

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La musica come forma d’intrattenimento e di comunicazione è legata inscindibilmente con la pulsante vita della strada. Ogni nazione ha avuto la propria dose e storia di corrente musicale on the road, dove gli artisti facevano di piazze, angoli e vicoli il loro personalissimo palco. Comunicavano, raccontavano, protestavano ed in cambio non chiedevano nulla, se non offerte libere. Musicisti itineranti e non che della musica hanno fatto la propria vita e il proprio mezzo di sussistenza, creando nelle varie nazioni veri e propri movimenti musicali. Dai tempi della gloriosa Roma passando per i cantori dell’amor cortese dell’alto medioevo come i Troubadours della Francia settentrionale e i Minnesingers tedeschi, oppure i musicisti Tzigani dell’est europa, i Mariachi messicani fino ad arrivare addirittura alla cultura nipponica con i Chyndon’ya giapponesi. Esempi ce ne sono moltissimi. Chiamati nel mondo moderno genericamente buskers, parola di origine indo europea che significa “cercare”. Intrattenitori che nella ricerca, dunque, anelano fortuna, fama o “semplicemente” la sopravvivenza. Anche nel corso dell’ultimo secolo, il busking ha trovato varie connotazioni nelle diverse scene musicali. Dagli itineranti bluesmen lungo le rive del Mississippi, passando per i vagabondi del cantautorato folk, fino agli anni della controcultura dei figli dei fiori.

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La strada vista come sfogo comunicativo del proprio essere e del proprio pensiero, un ambiente (non sempre, ahi noi,) libero, dove poter manifestare la propria passione e il proprio talento. Oggi più che mai rappresenta per gli artisti di tutte le arti un banco di prova fondamentale, probabilmente il banco di prova più importante. Nella musica non basta solo il talento, ma bisogna saper emozionare ed emozionarsi. È proprio qui che la musica di strada diventa giudice generosa e spietata della performance dell’artista. Uno strumento di trasporto diretto dell’individualità personale. Il busker interagisce direttamente con l’ascoltatore. Niente palchi, niente divisioni. Spettatore e artista insieme sullo stesso piano. La conquista di un pubblico passante assorbito nei propri pensieri e la capacità di gestire un’audience, trattenerlo, farlo tornare sono qualità che si imparano con l’esperienza, con il coraggio di osare e combattendo lo stress e la sempre viva possibilità del non essere cagati. In fondo tutti i musicisti vogliono solo qualcuno che li ascolti e che diano un senso di approvazione alla loro indole artistica, altrimenti cercherebbero fortuna in altri modi. È proprio grazie al confronto con la strada che molti artisti hanno trovato la fiducia, la forza e la spinta per riuscire a trovare se stessi e far si che la propria carriera musicale decollasse.

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Nascere in una nazione come l’Australia dove il busking è una delle forme di espressione più rispettate e dove in ogni angolo delle città è possibile immergersi in esibizioni di straordinari performer, è senza dubbio un vantaggio di non poco conto, ma allo stesso tempo un pitch di non facile conquista. Nel 1996 nella colorata cittadina di Fremantle, nel Western Australia, il 21enne John Butler attratto dal richiamo della strada inizia a suonare la sua chitarra lungo i marciapiedi della città.  Chitarra e voce l’unica forma di comunicazione con la quale riesce a esprimere la propria personalità. Succede, dunque, che l’umiltà, la passione e il talento che il giovane dimostra, incanta ed intrattiene costantemente pubblico. Non solo gli appassionati di musica si fermano ammaliati, intontiti e sbalorditi durante le note del pezzo intitolato “Ocean”, brano strumentale scritto all’età di 16 anni che esprime tutta l’essenza del chitarrista australiano il quale in un misto di vibrazioni emotive intense parla di amore, vita e perdita. Accetta i consigli del pubblico e decide, con i soldi guadagnati, di incidere una cassetta. La intitola Searching For Heritage, vende più di 3000 copie in brevissimo tempo. Dalla strada passa ai locali per poi conquistare con il suo John Butler Trio tutto il continente australiano e non, in un escalation continua di approvazioni di pubblico e critica. Chitarrista dal talento cristallino che grazie alla sua tecnica e alla sua miscela di musica Bluegrass, Folk, Blues, Funky, Roots, probabilmente avrebbe avuto successo anche se avesse iniziato in una maniera differente. Ciò che è certo è che la strada aiuta John ad avere fiducia nelle sue possibilità e nelle sue capacità, ad acquisire carisma e personalità e, per sua stessa ammissione, a intrattenere il pubblico e a capire le dinamiche dello show. In una recente intervista ricordando quei giorni dichiara:” Vivi la tua vita giornalmente struggendoti, per cercare di trovare la tua voce o il tuo posto nella società. Poi tutto ad un tratto ti trovi di fianco ad un bidone dell’immondizia con il tuo strumento e facendo facce che spaventano i bimbi. Il pubblico ama ciò che suoni e tu riesci a sentirlo. Continui semplicemente a farlo e a seguire questo flow”. I live del suo pezzo Ocean hanno raggiunto oramai più di 30.000.000 visualizzazioni, tant’è che nel 2012 per ringraziare il pubblico decide di incidere una versione in studio e offrirlo in free download sul suo sito. “ È un pezzo parte del mio DNA, raccoglie tutto ciò che non posso spiegare con le parole.” Il virtuoso musicista ha regalato fin da subito il suo spirito alla strada, esibendosi in quello che tutt’ora è ancora il suo pezzo più personale. E la strada lo ha premiato.

John Butler in una non recentissima ma molto evocativa versione di Ocean, molto vicina alla versione incisa su Searchin for Heritage

Legata ad una storia simile è la incredibile Kaki King, chitarrista statunitense amata tantissimo, tra l’altro, dal popolo italiano. Artista dal talento puro ed esploratrice assoluta dello strumento a sei corde, sempre alla ricerca di sonorità al di fuori dei canoni stilistici classici (pur partendo da una profonda conoscenza/amore per la musica classica del 20th secolo). Una prima passione per la batteria per poi passare ad interessarsi alla chitarra, che suona con una tecnica finger picking caratterizzata dalle percussioni di derivazione Flamenco e dal fret tapping. Un talento che inizia a diffondere le proprio note nei tunnel della metropolitana di New York nel settembre del 2001. Trasferitasi, infatti, per motivi di studio dalla natia Atlanta ed ancora poco certa sul  futuro, decide di  scendere nella subway neworkese munita della sua chitarra e del suo estro. Spinta dalla necessità di guadagnare qualche soldo e dalla semplice voglia di suonare per strada, inizia la sua carriera di busker nelle stazioni lungo la linea metropolitana. La spontaneità ed originalità delle sue performance non passano assolutamente inosservate. La meraviglia che desta nei concentrati pendolari americani si trasforma in una continua e insistente richiesta di demo. Troppo brava per non essere notata, troppo brava per non vendere la sua musica. Inizia a lavorare come cameriere al Mercury Lounge dove nel 2002 viene organizzata una festa per l’album creato dalle sue performance live nella metropolitana. Una copia dell’album finisce sulla scrivania della Knitting Factory che le offre la possibilità di suonare nel loro Tap Bar. Come spesso capita nella musica la persona giusta al momento giusto nota il talento di Kaki durante un’esibizione e grazie a quell’incontro pubblica nel 2003 l’album strumentale Everybody Loves You per l’etichetta Velour. Un disco d’esordio acclamato dalla critica che le permette di accrescere la propria notorietà e di esibirsi aprendo i concerti di artisti più affermati conquistando anno dopo anno la stima del mondo della musica. Sei gli album pubblicati fino ad oggi, tante le collaborazioni e i premi. Una musicista fantastica molto legata e grata fortemente agli insegnamenti tratti dalle perfomance da buskers. Racconta delle sue esibizioni in metropolitana come un vero e proprio allenamento che le ha dato la giusta forza, formandola fisicamente e mentalmente. In un’esperienza lunga poco più di un anno, si è forgiata, aumentando e migliorando la propria creatività e divertendosi facendo ciò che più ama. Suonare per strada ammette che spesso le manca; le manca, molto semplicemente, la libertà ,anche di poter scegliere di mollare tutto nel mezzo di un brano ed andare a casa.

C’è invece chi deve alla strada la propria sopravvivenza e storia, non solo musicale ma di vita vera. Steven Gene Wold, in arte Seasick Steve, americano classe 1941, lascia la casa materna per via di un patrigno manesco all’età di 13 anni. Pochi spiccioli e una chitarra. Inizia il suo cammino in lungo e in largo per gli States alla ricerca di ogni tipo di lavoro, in un girovagare degno di un romanzo della beat generation. Ci sono giorni in cui lavoro manca e la fame fiacca il corpo e lo spirito. In quei giorni Steve prende la chitarra, sfoga la propria frustrazione, condivide il proprio amore per la musica  e racimola qualche dollaro. Per resistere e sopravvivere con il suo Rock Boogie nel cuore. Suona per le strade d’America e i fatti della vita lo portano a suonare nelle metropolitane di Parigi. Il successo per lui non è certo immediato, il suo stile di musica viene riconosciuto poco interessante e, stando ai suoi racconti, non colpisce  particolarmente i passanti.  Non abbandona mai la propria indole e personalità musicale. In un girovagare continuo finisce addirittura nella zona di Seattle, nell’epoca dell’esplosione del Grunge. Apre un piccolo studio di registrazione nella città di Olympia e viene in contatto con dozzine delle giovani band della zona. Si riesce a ritagliare un spazio in piccole gigs. I ragazzi di Washington mostrano di apprezzare lo stile musicale di dell’ hobo Steve (lo stesso Dave Grohl racconta di avere assistito entusiasta  ad uno suo show). Per insistenza della moglie, norvegese, Seasick Steve torna in Europa ad Oslo dove nel 2003 con una piccola etichetta indipendente e due musicisti svedesi incide il primo album Cheap. Il lavoro arriva all’orecchio di alcuni importanti dj inglesi generando un discreto successo in Inghilterra, tanto da invitarlo ad andare a Londra per alcuni show. Sembra iniziare la carriera del bluesman americano quando purtroppo un’infarto gli pregiudica lo stato di salute e  deve mollare promozioni ed esibizioni. Sull’orlo dell’abbandono della speranza di fare della musica la sua professione, trova la forza (anche grazie alla moglie) di reagire e di incidere “Dog Blues Music” con l’etichetta indipendente Bronzerat Label, registrato interamente su un recorder a traccia unica nella cucina di casa.

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Un secondo album che sorprendentemente in Inghilterra in molti stavano aspettando. Il giorno della svolta, però, avviene il 31 dicembre del 2006 notte dove si esibisce al programma televisivo ingelse Jools  Holland’s Hootenanny e dove accade ciò che Seasick Steve non si sarebbe, alla veneranda età di 65 anni, mai aspettato. Canta “Dog House Boogie” canzone biografica con una strampalata chitarra a tre corde ed un semplice drum box machine e conquista tutti. Con la sua barba lunga, il look da farmer e il suo three strings transboogie conquista il pubbico presente in sala e tutto il popolo inglese e da quella fatidica notte Seasick Steve, sempre impegnato nell’impresa di sfamare sé e la sua famiglia diventa una celebrità. Il popolo musicale inizia a celebrarlo. Ne apprezza la genuinità, il folklore del suo essere, la sua non semplice storia e la stravaganza degli strumenti musicali, alcuni dei quali costruiti da sè, ricchi di aneddoti e  tanta umiltà. Dalla strada ai più grandi e importanti festival di tutto il mondo, dopo una gavetta durata mezzo secolo. Dall’anonimato più totale alle collaborazioni con artisti come Dave Grohl, Jack White, i Wolfmother e il mitico John Paul Jones degli Zeppelin che lo accompagna in moltissimi dei suoi concerti live. Le esibizioni per le strade d’Europa e d’America hanno avuto per Steve un’importanza fondamentale. Nella stesso brano  “Dog House Boggie” racconta: “Sometimes gettin’ locked up an’ somet- sometimes just goin’ cold and hungry/ I didn’t have me no real school education, so what in the hell what I was gonna be able to do?/ But I always did pick on the guitar; I used to put the hat out for spare change /But now I’m makin’ this here record and I’m still tryin’ to get your spare change/ I don’t know why went wrong but it ain’t bad now. And I just keep playin’ my dog house music/ Sing the dog house song…!” Busker non solo come espressione di creatività ma come ultima speranza di vita.  Ciò che la performance e la vita passata in strada ha insegnato a Seasick Stee è di non demordere. Nonostante sembrasse che a nessuno interessasse il suo sound, ha sempre persistito e continuato senza accettare compromessi, suonando il suo Blues, rimanendo se stesso, buttando fuori il suo mondo interiore. Un esempio di come a volte la strada possa essere spietata, ingenerosa ma allo stesso tempo maestra.

L’autobiografica Dog House Music in una versione del 2011 carica di energia con il batterista Dan Magnussen

Tre storie di successo diverse, in tre continenti diversi. Lontani nel tempo e nello spazio  ma legati dall’indissolubile esperienza che la strada ha regalato. Tanta bravura in ognuno di loro, tanta sfacciataggine ed ovviamente anche culo. Ciò che pero è palese da queste storie è di come il Busking possa rappresentare un punto di partenza importante per ogni artista e di  come il mantenimento e l’espressione della propria personalità sia alla base del successo. Umiltà, verità e personalità i fondamentali ingredienti di una musica autentica che viene dal cuore e in grado di colpire anche i passanti più distratti. Peccato, però, che spesso, diffidenza e soprattutto burocrazia, specialmente in Italia complichi sempre le cose, ma questa è  tutta un’altra storia.

 

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Preti Pedofili

Written by Interviste

Questa volta Rockambula ospita i Preti Pedofili, un gruppo all’avanguardia che da poco ha sfornato il secondo disco, L’Age d’Or. Ai microfoni c’è Andrea che oltre a parlarci del gruppo ci chiarirà qualche dettaglio sul disco.

Salve ragazzi e benvenuti su Rockambula. Per cominciare l’intervista che ne direste di presentare il gruppo ai nostri lettori?
L’11 agosto 2012 ad Affile, un comune in provincia di Roma, è stato dedicato un monumento a Rodolfo Graziani, criminale di guerra, terrorista, responsabile di sistematici stermini durante l’imperialismo italiano in Etiopia. A Pietro Badoglio, altro criminale di guerra, è dedicato addirittura un museo. Entrambi, con il benestare del loro superiore Benito Mussolini, decisero l’utilizzo sistematico di armi chimiche per lo sterminio di donne, bambini e uomini. Il 3 ottobre 2013 sono morte in acque italiane quasi 200 persone, in parte provenienti da terre in cui l’Italia ha commesso efferati crimini in passato. Italia che è stata già condannata nel 2012 dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per l’utilizzo della pratica barbara dei respingimenti in mare. Siamo un popolo di nazisti. I Preti Pedofili sono una rock band. Proviamo a rappresentare con la musica il disagio che viviamo oggigiorno.

Il nome del gruppo è un moniker forte, critico e molto accusatorio. Come mai avete deciso di chiamarvi cosi? Ma soprattutto vi siete procurati rogne dal 2011 ad oggi?
L’obiettivo del nome è quello di generare reazioni forti, di sdegno deciso o di abluzione indotta nei confronti dell’ascoltatore. Il prete pedofilo è considerato il massimo livello di degrado raggiunto dal genere umano nell’età contemporanea, la guida spirituale che si fa profanatrice dell’infanzia, il custode della fede che tradisce la propria comunità. Non ci sono particolari implicazioni anticlericali in questo moniker, a nostro modo di vedere. Il prete pedofilo è un uomo. E nell’osservarlo, inevitabilmente, si finisce per guardarsi allo specchio.

Per quanto riguarda il vostro stile di musica cosa ci dite, da chi sono influenzati i Preti Pedofili?
I nostri ascolti sono molto eterogenei e le influenze numerose. Si va dal Post Punk americano di Fugazi e Jesus Lizard, alla New Wave inglese, alla scena italiana degli anni 80 che ha visto nascere numerose band di spessore, sottovalutate sia dai contemporanei che dalla critica odierna. In più noi proviamo a metterci un gusto letterario nella stesura dei testi che sicuramente va in scia a quanto prodotto dai Bachi da Pietra e dai Massimo Volume, ma che evidentemente trae spunto da differenti letture. Fernando Pessoa è presente nel nostro ultimo lavoro in maniera esplicita, ma tra le righe è possibile leggere, in ordine sparso, anche Ciòran, Mordecai Richler, John Fante, Wu Ming, Lovecraft, Dino Campana, Vittorio Sereni e qualcos’altro che adesso non ricordo.

L’Age D’Or è il vostro nuovo EP o sbaglio? Perché non ci parlate della sua realizzazione, dove e come si sono svolte le fasi di registrazione e mixaggio?
L’Age d’Or non è un EP ma un disco full lenght, quindi un LP. Il lavoro è completamente autoprodotto. Ci piace curare in prima persona tutti i passaggi della fase creativa, dalla composizione alla registrazione al mixaggio e mastering finale. Cerchiamo di proporre qualcosa di nostro, di originale e quindi affidarci a terzi potrebbe compromettere i nostri propositi, indirizzandoci su sentieri già ampiamente battuti.

Per quanto riguarda le tematiche cosa ci dite, di cosa parlate e qual è il messaggio che vorreste far passare?
Le tematiche di questo nuovo lavoro sono abbastanza intimiste e introspettive, narrano delle microstorie di degrado che provano a costruire un mosaico di totale sfiducia nelle sorti dell’umanità. Parole altisonanti. Forse sarebbe meglio rispondere a questa domanda con una bella supercazzola o dicendo che ci piacciono i videogame. Ci siamo resi conto che è in atto un costante processo di “rincretinimento” nel panorama della musica underground. Una sorta di controcultura fatta di assenza di contenuti, o di contenuti idioti, un’involuzione che ha anche un significato sociale oltre che antropologico. Della serie: studio fino a trent’anni, mi prendo 4 lauree e resto disoccupato, a sto punto faccio lo scemo anch’io, chissà che ne esce qualcosa. O semplicemente hanno dequalificato a tal punto l’istruzione pubblica che oggi un ignorante può anche laurearsi. In questo senso ci rendiamo conto che il nostro progetto è totalmente fuori contesto, forse anche anacronistico da un certo punto di vista.

Ebbi il piacere di recensire Faust, il lavoro che vi fece esordire, tempo fa. Lo trovai fresco, originale, di buona qualità insomma. A parer vostro quali sono le principali differenze tra Faust e L’Age D’Or?
Sono due lavori antitetici. Faust sviscera i suoi brani nella lentezza esasperante dei tempi e delle strutture, L’Age d’Or è fulminante, isterico nelle sue continue e inaspettate variazioni. Faust è un monolite Doom, compatto e coerente. L’Age d’Or invece è più eterogeneo, mischia sonorità completamente diverse tra loro anche nello stesso brano. La cosa incredibile è che nonostante la virata netta, nei nostri live i brani de L’Age d’Or si alternano alla perfezione con quelli di Faust. Stiamo mettendo in atto un processo identitario e siamo contenti di questo.

Ho notato sulla vostra pagina Facebook che c’è anche un tour di supporto al nuovo lavoro. Ho visto che le date toccano diverse città. Come siete riusciti a procurarvi  un tour cosi sostanzioso in  Italia, che tipo di lavoro avete svolto?
Le etichette che hanno co-prodotto il disco, Toten Schwan, Sinusite Record, Spettro su tutte, hanno fatto un ottimo lavoro per far girare la nostra musica il più possibile. Noi ci abbiamo messo del nostro fondando una Netlabel, L’Odio Dischi che di fatto gestisce il nostro booking. Per il resto abbiamo un repertorio di quasi due ore di musica e il nostro cachet è davvero basso, quindi c’è un buon rapporto qualità prezzo nella nostra proposta.

A cosa aspirano i Preti Pedofili?
Il nostro sogno è arrivare a San Remo. Chiaramente senza dover sborsare un solo euro. Sul palco dell’Ariston finalmente potremo realizzare la nostra maggior aspirazione: pestare a sangue Fabio Fazio.

Bene ragazzi l’ intervista si chiude qui, concludete come meglio vi pare…
Vogliamo semplicemente ricordare che L’Age d’Or è in streaming e download gratuito a questo indirizzo. Anche i nostri concerti sono tutti gratis, potete scegliere dove e quando venire a vederci consultando l’elenco delle date sulla nostra pagina facebook. Gratis il disco, gratis i concerti. A tal proposito sarebbe legittimo da parte vostra chiedervi come facciamo a campare. Avanti fammi quest’ultima domanda. Come fate a campare?

Come fate a campare?
Grazie all’8 per mille.

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