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What’s up on Bandcamp? [ottobre 2023]
I consigli di Rockambula dalla piattaforma più amata dalla scena indipendente.
Continue ReadingLe Volcan! – V.1
Un altro breviario di Rock’N’Roll dalla belga Rockerill Records (l’altro era Josette Ponetteand The Poneymen). Corto, ma denso di quella necessità di fare musica genuina. Un Hard Rock degli albori, molto inglese nei suoni ma insolitamente cantato in francese. I quattro pezzi dei Le Volcan! ricordano la frenesia e la ribellione dei The Who e la velocità dei TheSonics, il grezzume degli Mc5 e la spensieratezza dei Ramones. Certo grandissimi nomi in confronto a questo atteggiamento molto più amatoriale che pone le basi del suo sound più su di un revival passionale che sulla utopica pretesa di essere le nuova “big thing” del Rock nel 2015. Inoltre poche informazioni sulla band: nessun video ufficiale, nessun sito e assenza totale in tutti i social network. L’attitudine porta dunque i dieci minuti scarsi di questi quattro pezzi ad un livello più basilare e naturale della musica, portandola dritta in garage dove nasce e poi subito si struscia tra le pareti umidicce. Anacronistico e romantico. “A Bout Portant” è un Proto-Punk maledetto che richiama la voracità degli svedesi The Hives, con quelle chitarre squadrate e mai troppo distorte, perché il gain non serve se le tue corde tagliano le gole con questa facilità. Un basso scazzato introduce “Paddock” dove compare anche un bell’organo hammond, sempre d’effetto nell’economia del pezzo nonostante gli incastri di batteria siano ben lontani dall’essere precisi. Assolutamente nulla di nuovo anche nell’andamento Beat di “Langue de Vipere” e nel rumore sudicio (nel senso che di microfono in ripresa qui sembra ne sia stato messo uno e in cantina) de “L’indecise”, ma solo tanta passione e l’esigenza di fare musica e farla subito. Nessuna pretesa, nessuna possibilità di uscire da quel garage. Ma se non fosse per gruppi così il garage e la sua sporca musica perderebbe tutto il suo schifoso fascino.
The Poneymen – Josette Ponette and The Poneymen
Da buon adulatore del Rock tamarro non posso che provare un irrazionale fascino nei confronti di chi sale sul palco mascherato. Che sia da demone, da wrestler messicano o da ermafrodita, la maschera affascina sempre e comunque il mondo dello spettacolo, ma crea anche quell’aspettativa in più che deve giustificare la sboronaggine di andare sul palco con una faccia diversa dalla tua. The Poneymen vengono dal Belgio e molto probabilmente non conoscono affatto il fenomeno qui ben noto di Mc Cavallo, da cui a dir la verità prendono solo la spassosa faccia da cavallo. La band è infatti composta da sei elementi (con tanto di fiati) e dalla fanciulla Josette Ponette che presta il suo volto un po’ più scoperto: solo gli occhi sono celati da una mascherina da film sexy fine anni 80. La sua voce è distante, sensuale e dinamica, segue perfettamente l’andamento onirico ma molto ballabile dei quattro pezzi che compongono queso 7’’. Tutto sembra avvolto da una nube di mistero: poche informazioni, foto divertenti quanto paradossali (immaginate un uomo con testa di cavallo che fuma o che si mette la chitarra dietro la schiena?), persino la lingua francese, quasi un sottofondo sotto il tappeto costante di Surf, è surreale. Per non farsi mancare nulla in “Bourricos Picantos” e “Mexican Hippic Sauce ” c’è pure quella venatura di mariachi ad introdurre un’atmosfera di siesta e vacanza perenne. Il sound rimane comunque sempre compatto, una galoppata in mezzo alle onde di un oceano amico e divertente, con una bel cocktail che attende a riva. I fiati riempiono e danno colore a pezzi non di certo memorabili, sempici ma terribilmente accattivanti. Una bomba che sicuramente live potrebbe esplodere in folli danze dentro piccoli club sudici. Basso e batteria fanno il loro diligente lavoro. Il rullante di “Vilaine Petite Ponette” è uno schiaffo e quel pizzico di synth rende il brano chic e molesto allo stesso tempo. La sensualità è violenta e piccante, una prostituta frenetica come le chitarre blueseggianti e sinuose che rincorrono lo stesso riff per tutta la canzone. “Chorizo de Jument” è invece più Swing, ancora più surreale e pazzoide con ilcontinuo dialogo tra donna e uomoe sembra proprio catapultarci dentro il set di un film americano degli anni 30. I cavalli sono impazziti, sono fuori da ogni schema e genere. Il loro spazio non esiste, non esiste il loro tempo, hanno la foga di un animale che cerca il cibo e la pazienza di chi aspetta ancora l’onda giusta.
Petula Clarck /X25X – Petula Clarck /X25X Split
Qualcuno si è mai chiesto cosa nascerebbe se due Paesi fondessero la propria musica? Gli split album non sono di certo una novità, ma stavolta siamo costretti a destreggiare le nostre conoscenze addirittura fra Belgio e Francia. Siamo innanzi a un totale di cinque artisti, che ben hanno pensanto di tentare un’opera innovativa attraverso quattro capitoli di pura pazzia. Sul versante A troviamo il duo “Spontrash” (dicono di sé), che vede come protagonisti Mat e Vinch, a formare i Petula Clarck. Bene, ma chi sono i Petula Clarck? Di certo non è l’inglesotta che debuttò nel lontano 1956: lei non aveva la “c”. Sono belgi e si descrivono in maniera piuttosto bizzarra, attraverso un Boum Boum Bang Dang. The two of us devoured stupid animals. We are the music of their last scream. Eccentrici, non c’è che dire. All’altro angolo, si asciugano il sudore i marsigliesi X25X (Acid 25) e dicono a chiari caratteri di essere abrasivi, grezzi, semplici, sporchi, squilibrati, urlanti, conflittuali, acidi e piccanti, tinti in rosso e con gli occhi scarlatti. Sono in tre e sufficientemente matti. Il risultato è uno split di quattro capitoli…ne vedremo delle belle!
Il 75% dell’opera è pura responsabilità belga e la proposta è un mix di Funk e Trash senza peli sulla lingua. L’intera stesura dei brani è istintiva e diretta, un vero e proprio stream of consciousness a colpi di chitarra e batteria. Sono gli artisti stessi ad ammetterlo, dichiarando che la stesura di un brano non può richiedere più di un’ora e mezza, dopodiché o la va o la spacca. Non sono ammessi ritocchi. Non sono ammessi cambi di rotta. Non sono ammessi ripensamenti. L’idea è quella di creare istintivamente pezzi Funky Trash Blues Punk Disco Dance. Non posso che palesare in via diretta i miei strabuzzi: questi due sono seriamente fuori di testa! “Ad un artista non si può chiedere di più”, mi diranno, ma sentire scimmie urlanti incise su disco sortisce sempre un certo effetto. Non è una critica, è la verità: in Yago Wago (capitolo uno) è possibile ascoltare urla di primati amalgamate con la musica, a livello di 1’43’’. Le stesse urla ce le propone Supreme, ma stavolta è il duo ad interpretarle al termine di un lungo e monotono giro. L’intero brano è un repeat continuo di un minuto e venticinque secondi. Sconvolto. Mi ci soffermerei, se non fosse che non vi è nulla su cui soffermarsi e, con estrema angoscia, tocca riconoscere la stessa sorte anche all’ultima chance dei giovani belga: NXT mstred.
Il B side si compone di un unico capitolo (Saturate), ad opera degli X25X. La proposta è un remake di qualcosa di già sentito e risentito, suonato da mani più esperte. Cinque minuti di Noise Punk, che bastano a rendere tale lato dell’opera più longevo del lato A. L’intera traccia è un elettrocardiogramma piatto, fermo sugli stessi effetti, sulle stesse parole, sulla stessa idea, sulla stessa linea e sulla stessa noia. Risultato? Anche tale ultimo 25% non è soddisfacente e l’amaro lasciato dai Petula Clarck non è sanato in modo alcuno.
In sintesi, oserei affermare che l’intero lavoro è un azzardo. È stressante, è sporco e non sa farsi apprezzare in modo alcuno. È un disco a prova di nervi, ragazzi che sanno suonare, ma che non hanno voglia di lavorare. La critica vola alta e tocca tanto i cieli belga quanto quelli di Marsiglia. Se è vero che l’unione fa la forza, se è vero che due negazioni affermano e se è vero che l’arte va d’istinto e l’istinto è una forma d’arte, beh, è pur vero che il risultato dello split album è l’esatto opposto di quel che ci si aspetta ponendo fiducia in un antico modo di dire.