Rocketman Records Tag Archive
Goose Bumps – “Big Dick” [VIDEOCLIP]
“Big Dick” è il primo estratto da Tremendous Rock ‘n’ Roll (Rocketman Records), disco d’esordio dei giovani Goose Bumps, band rockabilly lombarda Il videoclip è stato affidato a Paolo Meroni per Altered Studio (Punkreas, Rugby Sound Parabiago…). Il brano è dedicato alla qualità nascosta dell’uomo (big dick). Non importa dunque che tu sia ricco, povero, abbronzato o pallido… Ci si augura solo che questo grande “cuore” sia abbastanza per la tua lei !
Latte+ – No More Than Three Chords
Ho trentaquattro anni, non studio, non lavoro e non guardo la tv e quando, da giovane, blateravo di no future mi ero fatto un’idea più idealista di quest’anarchia che a oggi pare solo essere un costante stato di caos interiore. Gli unici momenti in cui riesco a ristabilire l’ordine è quando mi passano tra le mani ricordi degli anni più belli della nostra vita, quelli in cui tutto era Punk e a tutto si pensava tranne che al giorno in cui avrei scritto ho trentaquattro anni e blah blah blah. Qualche settimana fa, a distanza di oltre quindici anni, sono riuscito ancora a pogare e ballare e fare un bagno di birra e risate con i mitici Chromosomes e ora, eccomi a far girare nello stereo l’ultima fatica dei Latte+, tra i meno vicini al mondo Flower Punk dei suddetti, anche perché arrivati con qualche anno di ritardo (1997), ma di certo capaci di incarnarne perfettamente lo spirito ribelle e un po’ romanticamente cazzone. Con questo nuovo lavoro, i Latte+ tornano alle loro origini, mettendo da parte la lingua madre e tornando all’inglese, scelta che certo sarà stata decisiva per arrivare alla coproduzione statunitense della Infested Records. Oltre a questo, cosa dovremmo aspettarci da una band nata negli anni 90, che fa Punk senza spostarsi di una virgola dai suoi cliché, con cinque album all’attivo, compilation, split, live con Punkreas, Derozer, Senzabenza? Niente più che il tirare una linea, fissare un momento preciso in cui urlare al mondo: “questo siamo noi, questi sono i Latte+!”. Non aspettatevi altro che un manifesto postumo di una generazione incapace di crescere, se crescere significa diventare schiavi di una società che ci vuole quanto più conformi agli standard scelti dai potenti. No More Than Three Chords è un disco che prende a prestito, com’era lecito aspettarsi, i sound dei mostri sacri Queers e Green Day ma che ha nei Ramones il suo massimo punto di riferimento; in tal senso, non pare certo un caso, l’omaggio del brano “Johnny Ramone” (oltre al titolo, anche i coretti iniziali stile “Blitzgrieg Bop”), che in realtà molto ricorda anche lo stile di un’altra immortale formazione italica che dei fast four ha fatto un credo, gli Impossibili con la loro “Rock’n Roll Robot”.
La rilettura della lezione del professor Joey Ramone avviene tuttavia in maniera del tutto diversa, puntando su una maggiore dinamicità rispetto ai colleghi compatrioti, grazie anche all’uso della lingua inglese, e quasi sottolineando l’aspetto più duro e crudo della band di New York. Se Joey rappresentava il lato sensibile della band, Johnny ne rappresentava quello più grezzo e battagliero e soprattutto a questo sembrano ispirarsi Chicco (basso e voci), Sunday (chitarra e voci) e Puccio (batteria) tanto che brani come “Rise Up” o “I Wanna Be Like Steve Mc Queen” somigliano più ai durissimi pezzi stile “The Crusher” che non alle sdolcinate “Do You Wanna Dance” e simili. La sottile linea che divide l’ispirazione e l’omaggio dal plagio, si assottiglia ulteriormente in “Anyway I Wanna Be with You” quando per poco non ci si trova con la testa sprofondata in una cover di “Palisades Park”. L’unico fattore che riesce a differenziare il sound pelle, jeans e converse è la voce, la quale regala al tutto un sapore californiano che almeno in talune circostanze (“It’s Been a Long Time”), si avvicina alle linee più melodiche di certi Guttermouth. Ho trentaquattro anni. Alla mia età dovrei essere sposato, con due figli, laureato (questo sì, anche se non mi serve a un cazzo), avere un conto in banca (sì, ma ormai a zero), un mutuo da pagare per un monolocale e invece mi ritrovo ad ascoltare Punk e va bene così perché come dice sempre un vecchio amico, l’unica cosa che conta oggi è divertirmi ed essere felice e No More Than Three Chords è il disco perfetto per farlo. Domani penserò al resto.
Soundtrack Of A Summer – Holes
Gli elettrici novanta a stelle e strisce ricostituiti per l’occasione in questo “Holes”, tosto “inizio carriera” dei parmensi Soundtrack Of A Summer, convincono dalle prime battute di pedaliere, ancora una volta un debutto che non si attacca alle decadenze creative o ai fiatoni inconcludenti di tanti emuli di divinità bolse, ma che si affaccia nell’irresistibile e destrutturata emancipazione di un sound che senza fantasticare artificiosità amperiche va sul sicuro, verso le dolorose istantanee soniche che hanno rigato, graffiato e lacerato la pelle di chi non ha mai abbandonato l’ascolto autoreferenziale del pop damerino e “bamboccione”.
Dodici takes che invadono lo stereo come una compagine hi-fi battagliera e dolciastra, punto di fusione tra emo-rock, rappresaglie rock e schizzi punk che una volta “incollati insieme” conferiscono un ascolto carico, energetico e pieno di gioventù testosteronica da ogni prospettiva; Sense Field, Seven Storey, Christie Front Drive con retrogusti di Sunny Day Real Estate e Jimmy Eat World, sono le anime ispirative di quest’ottima band che non lesina – anzi – rinvigorisce pure atmosfere indie finalmente denudate dal castrante power-pop che molti colleghi alle prime armi iniettano come glucosio appiccicoso d’eterna giovinezza, e questo è ulteriore punteggio per questo quartetto adrenalinico e dagli attributi cubitali.
I quattro – impareggiabili nel contesto d’insieme – mettono in riga brani irresistibili che aggiungono anche lievi frammenti poesia tra le architetture mai ferme, mai calme, mai appesantite, uno scorrere vorticoso d’elettricità e melodia di qualità che orecchie svezzate ne faranno incetta come una riserva da accumulare per momenti di magra; e nulla si può fare per arginare l’epicità sgolata “Colors missing”, “Setting Forth”, i patterns ferratissimi e accorati “Light”, l’agra scorreria di chitarre sciolte alla Jejune “Goodnight lovers”, “The hardest thing – Fiesta red”, o fermare il rilascio senza peso che “Late in June” annuncia come un comandamento laico a pogare, scotto sacrificale beatamente da patire con la benedizione dei Fugazi.
Gran debutto da gustare al volo.