Rough Trade Tag Archive
Horse Lords – The Common Task
Il disco giusto per scoprire che la musica può correre per strade diverse da quelle che avete sempre conosciuto.
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Cindy Lee – What’s Tonight To Eternity
Tra tastiere estasiate, fiati jazzy rilassanti e cacofonie, Flegel mette in musica tutta l’ambiguità della vita e della morte.
Continue ReadingFontaines D.C. – Dogrel
Il Post-punk irlandese fotografa lo sconforto tipico dei millennials.
Continue ReadingWarpaint – Warpaint
Ho visto le Warpaint dal vivo nel loro primo concerto in Italia, al Magnolia di Segrate, non mi ricordo l’anno (ricordo però che chiudevano la serata i Dinosaur Jr). Già all’epoca le quattro fanciulle California-based mi avevano saputo conquistare (dopo aver già conquistato gente tipo John Frusciante, che aveva mixato e masterizzato il loro EP d’esordio, Exquisite Corpse) con la loro miscela di Indie rarefatto e ossessività psichedelica vellutata, sospesa, da persiane chiuse su cappa di fumo da bong, con la luce a filtrare, gialla e pallida, tra le volute lente. Ecco, le Warpaint mi fanno salire l’espressionismo.
In quest’ultimo album self titled, che segue il già fortunato ma alquanto sfilacciato The Fool del 2010, la strada della nebbia Psico Indie è stata presa con ancora più forza e convinzione, trasformandola quasi in un labirinto purpureo di involuzioni fosfeniche, un palazzo escheriano in cui perdersi in saliscendi e false porte. Gli ingredienti del preparato psicotropo sono semplici e neanche troppo imprevedibili (vedere ultimi dischi dei Wild Beasts, per esempio): ritmiche quadrate e ossessionanti, con largo uso di drum machine e percussioni varie; un mare di synth, arpeggi di chitarra in delay, insomma, tutto quanto di più atmosferico ed etereo si possa innestare intorno a pattern ridondanti e riff dai tempi spezzati e rotolanti; e per finire, voci lontane, morbide, d’una femminilità impersonale, una sull’altra, come un coro di occhi lucidi a brillare nel buio.
Il disco (prodotto da Flood, già al lavoro con, tra gli altri, Smashing Pumpkins, Sigur Rós, Nick Cave And The Bad Seeds e mixato da Nigel Godrich di radioheadiana memoria) non ci rimane impresso per qualche canzone in particolare (anche se quelle riuscite per se ci sono: “Love Is to Die”, un instant classic, o “Disco//very”, col suo andamento danzereccio e strafottente, che farebbe la sua porca figura come colonna sonora in qualche episodio di Girls) ma è nel complesso che gira come deve, nella somma delle sue parti: una cavalcata mentale da strafatti californiani che può diventare il ballo ipnotico e lento di qualche sballata nei piccoli locali di LA (d’altronde, “love is to die, love is to not die, love is to dance […] why did you not die, why don’t you, why don’t you dance, and dance…”). Insomma, un buon prodotto in cui perdersi in occasioni rilassate da riempire di fumo e atmosfera. Astenersi cercatori di graffi ed oppositori delle droghe leggere.
Mystery Jets – Radlands
Gli inglesi Mystery Jets preferiscono un week end postmoderno per andare in cerca in qualche modo di un pò di memorabilia anni sessanta e pezzetti di quella strepitosa nigthlife americana un tantino nostalgica, insomma qualsiasi cosa che riporti l’eleganza a perline colorate di quei tempi, ed allora tutti in viaggio verso Austin nel Texas per incidere “Radlands” e per cambiare aria e abitudini, ma anche per crescere un tantino di una spanna.
Tutto poggia su un imbastito 70s folk-rock con glitterama dance accennato, sogni arrampicati come una vite rigogliosa e con Sir McCartney che, come un fantasmino birichino, compare virtualmente in più di un anfratto della tracklist: ma la piacevolezza di queste undici tracce è enorme, con risultati eccellenti insperabili ad una prima “sbircitata d’orecchi”, tracce che suonano di vintage/fresco e alla moda della summerset che la band mantiene senza cedere di una strofa; undici tracce molto a stelle e strisce, assai influenzate – ma del resto lo si voleva – della cultura appena post-freak, forte e tenera insieme e che non disdegna leggere incursioni nella west-coast corale, quella dei CSN&Y “You had me at hello” dirimpetto ai F.lli Gibb “The hale bop”e alle loro surfaggini spumeggianti.
La varietà sonora qui è di casa, una list che si spartisce modi e moduli anti-noia, si è sempre sul filo di una frizzante andatura che si pronuncia nel pop di “Randlands”, “The ballad of Emmerson Lonestar”, nel beat Beatlesiano “Greatest hits”, si lucida delle labbra pronunciate di Jagger e dello sviso chitarristico Richardsiano “ Sister Everett” come nelle immagine solitarie di un Neil Young ringiovanito che in “Lost in Austin” alza la voce e si guarda dentro; se i Mystery Jets volevano stupirci con poco, ebbene ci sono riusciti, hanno richiamato lo spirito di quel decennio e ne hanno riassunto “carnalmente” il sonic operandi alla perfezione.
Che dire, la speranza di catturarli dal vivo in qualche paraggio italico è forte, ma intanto seguirli su disco è altrettanto forte.