Rude Records Tag Archive

10 songs a week // 03.05.2021

Written by Playlist

Kings of Convenience, black midi, Nicolò Carnesi e tanti altri nella playlist per sopravvivere al lunedì.
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Punkreas, annunciate le date di “Il Lato Ruvido Tour”

Written by Eventi

Partirà il 26 maggio da Bologna, la prima parte del tour estivo dei PUNKREAS, che lo scorso 22 aprile hanno pubblicato il decimo album dal titolo IL LATO RUVIDO (Rude Records, Garrincha Dischi, Canapa Dischi, distribuito da Edel Italy/Orchard). IL LATO RUVIDO TOUR toccherà numerose città e festival di tutta la penisola, ecco le prime date confermate, il calendario è in continuo aggiornamento:

26.05 – PIAZZA CARDUCCI, Bologna
01.06 – BIG BANG MUSIC FEST, Nerviano (MI)
02.06 – VOOBSTOCK, Verbania
04.06 – MAYROCK, Crema (CR)
17.06 – SABBIO SUMMER FEST, Sabbioneta (MN)
18.06 – BCONE FEST, Fabrica di Roma (VT)
25.06 – BANDZILLA, Saronno (VA)
01.07 – UMBRIA CHE SPACCA FESTIVAL, Perugia
02.07 – PARCO PONTE NOMENTANO, Roma
08.07 – CARROPONTE, Sesto San Giovanni (MI)
09.07 – MONDIALI ANTIRAZZISTI, Modena
15.07 – “APP” CIRCOLO COLOMBOFILI, Parma
20.07 – BUBBLE FEST, Pavia
23.07 – UBIALE POWER SOUND FESTIVAL, Ubiale Clanezzo (BG)

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Andrea Rock – Hibernophiles

Written by Recensioni

Hibernophiles è un titolo curioso per un album, una di quelle parole che richiedono di essere analizzate per capirne il senso, e in effetti, un significato esiste, sia letterale, sia per il suo autore Andrea Rock. Wikipedia ci da una mano e ci dice che Hiberna è il nome che i romani usavano come riferimento per l’Irlanda, di conseguenza se sei un Hibernophilo sei una persona legata a doppio, se non triplo, filo alla cultura irlandese. Andrea Rock scegliendo questa parola come titolo della sua prima opera da solista, si dichiara quindi amatore incondizionato dell’Irlanda e della sua cultura e ci fornisce subito le giuste coordinate per inquadrare gli undici brani di Hibernophiles.

L’album ha senza dubbio due grandi caratteristiche: una forte impronta autobiografica e la perfetta rappresentazione degli stilemi della musicale irlandese, anche se filtrati e contaminati dalle precedenti esperienze musicali di Andrea. Il cuore selvaggio e irlandese del disco trova forza ed espressione nel singolone “Bury Me a Irish”, conforto nel classicone ritmato e festaiolo “Galway Girl” di Steve Earle, una certa commozione ed emozione nella ballad “Flag”. Il brano “Larry the Legend”, omaggio a Larry Bird, star del basket NBA completa la rose dei brani che usano al meglio le sonorità e i canoni del genere. All’interno di questo mondo popolato da prati verdi, pinte di guinness, violini, banjo e fisarmoniche spuntano qual e là brani meno Irish e maggiormente influenzati  dal Classic Rock come la chitarrosa “Never Stop Drinkin”, la bonjoviana “What It Take To Be a Man” e “Be Still My Heart”, e anche ispirati da un pizzico di Punk come la cover di “Story of My Life” dei Social Distorsion,  anche se il nuovo arrangiamento la priva della grinta e del piglio che la contraddistinguevano. Il racconto di Andrea si chiude con “Not Afraid” un mix ritmato di Hip Hop e banjo, che spazza via le belle immagini di prati verdeggianti e ispirate a favore di un brano più moderno, vicino ad un pubblico giovane. Hibernophiles è un album ben fatto, senza cadute clamorose e molto orecchiabile, fedele alla dichiarazione d’amore dell’autore e per questo forse pecca di poca vivacità. Le tematiche e le storie, perlopiù autobiografiche, sono condivisibili e raccontano un mondo fatto di passioni, esperienze di vita, amici, pub  e pinte di guinness. Tutto questo lo rendono diretto, accesibile e facile da ascoltare.

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3 Fingers Guitar – Rinuncia all’Eredità

Written by Recensioni

C’è coraggio, indubbiamente, nell’animo DIY, scarno, tagliente e infuocato di Simone Perna, testa e mani del progetto 3 Fingers Guitar (accompagnato, in quest’avventura, dalla sola batteria di Simone Brunzu). C’è coraggio, follia, un’inclinazione incosciente alla spettacolarizzazione in Rinuncia All’Eredità, una sorta di concept sul retaggio di un padre nei confronti del figlio, che contiene le prime canzoni in italiano del progetto.  La musica, pensata ed eseguita quasi totalmente dal titolare, è scarna, fumosa, tribale. Chitarre violente, ritmiche ripetitive e ossessionanti, noise e polvere, intimità rarefatta, poi presa ad unghiate, come fosse troppo stretta, come non bastasse cantare, ma ci fosse bisogno di lacerarsi i vestiti, di graffiare le pareti che si chiudono intorno. L’atmosfera (il gioco) sta sull’equilibrio tra le involuzioni senza capo né coda e gli ambienti più fermi, per cui più convincenti – e più ovvi. Il pugno di “Ingresso” scuote, mentre il corpo di “Riproduzione” incanta e ondeggia. L’arpeggio della title track ci riporta all’improvviso in una zona franca, un’isola che sta da qualche parte al di là dell’oceano, in un crescendo avvolgente, che prosegue idealmente in “Fuga”, ancora più a ovest. Sale il Blues nell’intro de “L’Unica Via”, trasformandosi poi in un Post Blues iridescente e ipnotico.  La chiusura (“Fine”) è adamantina e catartica.

Croce e delizia del disco è la voce, sporca, imperfetta, fastidiosa a volte. Un timbro e un tono che possono alternativamente aggiungere profondità o creare punte di doloroso imbarazzo. Il disco è interessante, inserito com’è in un discorso di cantautorato “altro” che vuole staccarsi dalla noia dei quattro accordi con la chitarra e inventarsi un mondo (cosa peraltro non lontanissima – nell’idea – da certe evoluzioni recenti di un Vasco Brondi). Fosse amico mio, Simone Perna, gli consiglierei – da amico – di lavorare sulla pasta vocale, certamente senza snaturare il senso del suo cantare, ma levigando alcuni estremi che possono risultare spigolosi. Per il resto, la strada presa sembra gratificare ampiamente lo sforzo d’intraprenderla. Ma io Simone Perna non lo conosco, e dunque mi limito a riconoscerne i meriti, senza aggiungere altro.

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Adam Carpet – Adam Carpet

Written by Recensioni

Mi arriva una mail. Contiene una serie di informazioni ghiottissime su questa band, Adam Carpet. Vorrei rivelarvele subito dall’inizio, così col convincervi a parole della validità di questo progetto, ma proverò far parlare la musica, per prima cosa. Anche se l’impresa ha il gusto delle cose impossibili.
Il primo brano che ascolto è sul tubo: “Babi Yar”. Avete presente quando siete lì, un po’ annoiati in un qualche anonimo pomeriggio d’inverno e vi arriva quella canzone che appena parte sbarrate gli occhi increduli? Ecco, io ho reagito così: per qualche istante mi sono pure domandato se non mi fossi addormentato, precipitando in qualche sogno di indefinita bellezza.

Che cosa sono questi Adam Carpet?

Dei mostri, forse degli alieni. Suonano musica extraterrestre, un intenso di mix di elettronica, rock, industrial, post rock e tutto quello che potete vederci. È un qualcosa di travolgente, sublime: ci sono groove e ritmiche serrate,suoni pazzeschi, divagazioni, atmosfere intense e dense di ispirazioni.
Ho detto suonano. Sì suonano: di programmato ci sono solo i synth e qualche arpeggiatore, il resto è tutto sudore di braccia e mani. E si sente. L’energia è davvero tanta, ti pervade e ti invade come poche cose. Forse in molti storceranno il naso a sapere che è un act interamente strumentale: mi dispiace per voi, ma qua non c’è posto per le parole, l’organico soddisfa già a dovere ogni esigenza comunicativa.

Ora come ora mi accorgo di quanto questo sia il tipico disco che le parole servono davvero poco a descrivere: ogni brano è talmente ricco di spunti e di sonorità che riuscire a trovare una decina di frasi che li inglobi tutti è praticamente impossibile, almeno quanto descrivere ogni singolo brano. Rileggo le frasi che ho appena scritto: suonano un po’ ridicole rispetto alla potenza sonora che mi sta passando nelle orecchie, una misera briciola di un qualcosa di gigantesco.
Provate per credere: lasciatevi travolgere dalle ritmiche ipnotiche dell’opener “Carpet”, dalla disperata riflessività di “Carlabruni?” e dalle sonorità grezze di “Jazz Hammered”. Fate solo anche un salto sul tubo, sentitevi di due singoli apripista di questo primo lavoro omonimo, “Babi Yar” e “I Pusinanti” e lasciatevi conquistare.

Infine, chi sono questi Adam Carpet?

Due batterie, due bassi, chitarra e synth. Componenti dei Timoria, delle Vibrazioni e di altri gruppi di livello. Certamente dentro questi soggetti vivono dei mostri, forse degli alieni. Oltre a questo è di indubbio interesse la scelta del packaging di questo debutto: un box in carta riciclata contenete un codice per il download digitale, la t-shirt del gruppo e una seed-card, che una volta innaffiata diventerà un fiore.
È un progetto indubbiamente di avanguardia, sia scenicamente che musicalmente. Chiedo scusa per il senso di ineffabile che questa recensione trasmetterà, ma posso farci davvero poco.

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