Salvatore Gualtieri Tag Archive
Musica e Cinema: A Proposito di Davis
A Proposito di Davis (Usa)
Anno 2013
Durata 105 minuti
Regia Joel ed Ethan Coen
In questo film che racconta la vita di Llewin Davis (Oscar Isaac), cantautore Folk ispirato alla figura di Dave Van Ronk, i fratelli Coen (Fargo, A Serious Man, Il Grande Lebowski solo per citarne alcuni) si dimostrano ancora grandi cineasti, manifestando anche questa volta il loro genio poliedrico e surrealista. La trama si snoda con un impercettibile flashback in pochi giorni. Ma nonostante questo, la cosa quasi sfugge allo spettatore, anche grazie a una narrazione lenta e allungata, con colori e ambienti freddi, stretti e claustrofobici (siamo nell’inverno del 1961), con tempi lunghi ma mai morti, dove non mancano punti di ilarità.
Il film è anche una importante citazione visiva del periodo, delle ambientazioni e dello stile di vita dei cantanti Folk, e nonostante si svolga quasi interamente al Greenwech Village, luogo importante e fondamentale non solo per la musica Folk ma per tutto il pensiero artistico intellettuale del Novecento, è un road movie a tutti gli effetti. Llewin Devis vive suonando qui e li in vari locali del Village, scroccando pasti, sigarette e favori vari, dormendo nei divani dei salotti degli amici, barcamenandosi senza una meta precisa, senza un cappotto, senza una famiglia, (la sorella quasi lo ignora e lo sopporta mal volentieri), senza una donna (ha avuto una relazione dalle complicazioni inaspettate con la moglie di una suo amico), senza una casa, senza un futuro e anche se non mancano riferimenti e immagini di pura povertà, quasi a voler rimarcare il vecchio detto folcloristico “è triste la vita da artista”, la sua vita sembra più come una pietra rotolante che come una esistenza miserabile.
Essendo un film sulla strada non può mancare la scena del viaggio (da New York a Chicago), assieme al cantante Jazz eroinomane e invadente Roland Turner (John Goodmann), con discussioni e diatribe tra il Jazz e il nascente e ancora non affermato Folk. Compagno di viaggio è il tenebroso e taciturno poeta valletto di Turner, Johnny Five (Garrett Hedlund) che verrà in modo del tutto surreale (del resto i Coen sono l’ultima espressione del cinema surrealista moderno) arrestato durante il viaggio.
Due sono le figure centrali e emblematiche del film; una è quella del gatto che non a caso si chiama Ulisse e che rappresenta quasi metaforicamente questo stile di vita: incontrato al risveglio, scappato, recuperato, confuso, perduto, abbandonato quasi o forse ucciso e infine ritrovato. L’altra sono i continui riferimenti al compagno suicida di Davis, Mike, con il quale formava un duo artistico. La sua figura aleggia costantemente per tutto il film, tormentando e ingabbiando la carriera artistica di Davis. Alla fine Davis pare rassegnarsi ad “esistere” ma ancora una volta le cose non vanno per il verso giusto, obbligandolo di nuovo a suonare sul palco, riprendendo però uno dei vecchi pezzi che suonava con Mike. Il finale é un colpo di scena fantastico. Ma non per il monumentale personaggio che ci viene presentato, ma perché colloca il film immediatamente prima che il movimento folk esploda definitivamente.
Musica e Cinema: The Doors
The Doors (USA)
Anno 1991
Durata 140 min
Oliver Stone
Quando uscì il film, era il 1991, non fu molto amato dalla critica. A me invece non dispiacque poi tanto. Certo non lo considerai un capolavoro, ma neanche una bidonata pazzesca. Poi mi è capitato di rivederlo per scrivere quest’articolo e, sarà la maturità o sarà altro, devo dare ragione alla critica. Il film di Oliver Stone sulla vita di Jim Morrison (Val Kilmer), parte bene con la prima sequenza, grazie a una fotografia molto forte e delle serie di inquadrature molto acide, ma a lungo andare tutto ciò appare ridondante e ripetitivo. Ne sono esempio due scene significative e i brani che le accompagnano con gli unici due pezzi non dei The Doors presenti nella colonna sonora del film. La prima, quella della festa a casa di Andy Warhol, dove conosce Tom Baker (Michael Madsen) accompagnata in sottofondo da “Eroine” dei Velvet Underground come a voler enfatizzare le sensazioni da sballo presenti in quell’ambiente. Poi la scena a casa di Patricia Kennelay la giornalista-amante descritta come una strega moderna, in cui spiccano i riferimenti ai baccanali e con “Carmina Burana” di Carl Orff, quasi a voler dare un senso (del tutto fuori luogo a questo punto) eccessivamente medievaleggiante (le streghe, i roghi, la Santa Inquisizione, il rompere gli schemi). Si potrebbe continuare con i continui richiami al sesso e allo sballo del personaggio, sicuramente non sui generis, ma che a lungo andare, sfociano del ridicolo.
Jim Morrison quindi viene descritto come un moderno Dionisio, dio greco del vino o meglio sarebbe dire dell’eccesso, personaggio che evidentemente ispira molto Stone, (vedasi la successiva trasposizione biografica di Alessandro Magno, tra l’altro con un Val Kilmer più ispirato nella interpretazione del burbero e irascibile Filippo II di Macedonia che in questo bizzarro ruolo), ma il risultato, se pur possiamo apprezzare l’idea, non cambia. Sciagurata poi appare la scelta di far interpretare Pam Morrison a Meg Ryan. Lasciando perdere che l’attrice ha sempre avuto un faccia da brava ragazza e forse la Courson appariva proprio cosi, ma purtroppo nel film la sua interpretazione si mostra del tutto fuori dal contesto. L’unica scena profonda (ma neanche tanto) del film è quella in cui Jim, rientrando a casa trova, Pam intenta a bucarsi e colto dall’ira o dalla gelosia tenta di darle fuoco chiudendola in uno stanzino. Secondo i beni informati tale episodio non accadde mai, e va bene un po’ di finzione narrativa in una biografia e che i personaggi erano eccentrici ma non si capisce bene il motivo di una tale forzatura.
Come abbiamo detto, il film non piacque alla critica, Ray Manzarek (Kyle MacLanchan) lo definì un veleno e i consulenti tecnici interpellati per il film (gente vicina a Jim Morrison per intenderci) criticarono Stone per la visione distorta che il film da su Jim Morrison.Forse tale risultato è da imputare alla stessa vita di Stone (un giro a vuoto può capitare) che nel pieno di quegli anni, imbracciò il fucile e fu spedito in Vietnam a combattere. Le esagerazioni quindi potrebbero essere dovute a quel senso di giovinezza spezzata che quella generazione ha dovuto sopportare. Una generazione, come ricorda Manzarek, che aspettava l’ascesa di nuovi miti e invece si ritrovò a fare un lavoro sporco, mandati migliaia di chilometri da casa a combattere per una guerra (come tutte le guerre) inutile. Insomma se volete vedete Natural Born Killers oppure ascoltate un disco dei The Doors…
P.S. Per il video avevamo pensato a l’incipit di Apocalips Now, che rappresenta una delle massime espressioni di “cinema e musica” ma su non è disponibile per l’Italia. Quindi beccatevi questo:
Musica e Cinema: Control
Control (UK, USA, Australia, Giappone)
Anno 2007
Durata 122 min
Regia Anton Corbijn
La vita del frontalist dei Joy Division Ian Curtis (Sam Riley), tratta dal libro biografico “Touching from a Distance”, in italia pubblicato da Giunti editore con il titolo “Cosi vicino, cosi lontano” (permettetemi un off-topic, tradurre “toccandosi da lontano” con un titolo che richiama in modo palese un film di Wenders, è semplicemente senza senso) di Deborah Woodruff Curtis, moglie di Ian (Samantha Morton), è descritta, almeno all’inizio, come quella di un adolescente normale. Va, abbastanza svogliatamente a scuola, ha un migliore amico, a cui frega la ragazza che poi diventerà sua moglie, è fruitore dei concerti delle allora emergenti band britanniche Alternative, la sua camera è piena di dischi e di poster dei suoi idoli ed è tifoso del Manchester City. Si sposa, ha una bambina e un lavoro, in un grigio ufficio di collocamento, canta nel suo gruppo per locali e pub di Manchester e dintorni, via via più importanti, fino alle soglie di una tournèe negli Usa che potrebbe consacrarlo.
Come ogni opera biografica che si rispetti, il film rappresenta uno spaccato di quei anni (fine anni Settanta inizio anni Ottanta britannici). Ma a differenza di altre opere del cinema inglese anche recente, non ci sono riferimenti politici e/o sociali in quella che resta uno dei periodi più tumultuosi della storia inglese, ossia l’ascesa della Thatcher e del neoliberismo che tanti squassi provocarono, soprattutto nel nord-ovest dell’Inghilterra da dove Curtis veniva. Invece gli accenni a quell’epoca riguardano solo l’ambiente musicale underground del tempo. E non potrebbe essere altrimenti dato che la sua vita e il suo mondo, la sua arte e la sua estrema sensibilità sono al centro di tutta la pellicola. Il rapporto con la moglie e l’amante Annick (Alexandra Maria Lara) rappresenta in modo molto chiaro e paradossale l’affresco di questo poeta maledetto moderno; cioè il non sapersi staccare da nulla che lui ama, quasi in maniera spasmodica, dai suoi affetti. Ai più, un tale comportamento sembrerebbe egoistico ma qui viene descritto come un estremo gesto di ipersensibilità che lo porterà alla fine all’autodistruzione.
Cosi come per l’ambiente che lo circonda, anche gli altri personaggi risultano schiacciati dalla sua figura: il suo gruppo quasi scompare, Tony Wilson è trattato come una comparsa, i genitori sono dipinti in modo anonimo e asettico. L’unico che emerge un pochino è il manager dei Joy Division, ma forse più per la bravura dell’attore che lo intrpreta (Toby Kebbel) che per altro. Il rapporto con la malattia, incontrata casualmente e che sarà fonte del brano “She Lost Control” e l’abuso di psicofarmaci per curarsi, anche in questo caso, quasi non traspaiono nel film, quasi come scelta di far emergere ancor di più le sue debolezze e i suoi tormenti. La sua musica, poi, è l’elemento centrale del film. Non a caso la regia è curata da Anton Corbijn, qui al suo primo lungometraggio, che proviene dai video musicali (“Atmosphere” dei Joy Division, “Heart-shaped Box” dei Nirvana e “Straight to You” di Nick Cave and Bad Seeds, sono solo alcuni dei video che ha diretto), dal già citato sonoro (i brani sono realmente suonati e cantati dagli attori, escluse le sole “Love Will Tear us Apart” e “Atmosphere”, mentre sono presenti, nella colonna sonora, brani di The Killers, Bowie, Sex Pistols e New Order, spesso risalenti, quando possibile, all’epoca dei fatti), alla scelta del bianco e nero, fino alla lentezza della regia, non fa altro che amplificare il senso di cupezza del personaggio Ian Curtis.
Il regista sceglie di far passare l’ultima notte di Ian , ascoltando l’album The Idiot di Iggy Pop e soprattutto vedendo il film “La Ballata di Stroszek” di Hezog che ci sentiamo vivamente di consigliare. Control è quindi come un bel film, che sicuramente piace e piacerà ai fan dei Joy Division o degli ambienti musicali alternativi, ma sarà difficilmente apprezzato da chi certi ambienti non li conosce non li frequenta o non li ha mai frequentati.
Il film completo in lingua originale
Musica e Cinema. Walk the Line (Quando l’Amore Brucia L’anima).
Da questa settimana inauguriamo un nuovo appuntamento nel quale analizzeremo e presenteremo diverse pellicole che, in qualche modo, hanno avuto a che fare in maniera diretta ed evidente con il mondo del Rock e della musica in generale. Parleremo di film biografici su grandi musicisti, pellicole la cui colonna sonora ha acquisito più fama delle immagini, musical e quant’altro. L’appuntamento è ad ogni martedì, nella sezione articoli. Buona lettura e, magari, buona visione. Quest’oggi tocca al grande Jonny Cash.
Walk the Line (Quando l’Amore Brucia L’anima).
Il film racconta della vita di Jonny Cash (Joaquin Phoenix) e del rapporto con quello che sarà il grande amore della sua vita, June Carter Cash (Reese Whithrspoon). Il canovaccio è il classico del biopic cinematografico americano. L’ascesa: un’infanzia difficile segnata dalla morte del fratello, il rapporto tormentato con il padre, le prime avversità economiche legate alle difficoltà dello sfondare nel mondo della musica, fino ai primi successi. La caduta: i primi problemi legati alla notorietà, i tradimenti coniugali e la spirale di dipendenza di droga e alcool. La rinascita: il ritorno sulle scene e al successo con affianco June. Il plot appare scontato, ma il film ci racconta cose interessanti, come la nascita del genere Rockabbilly, dell’epoca d’oro della Sun Record di Memphis e dei primi concerti di Cash assieme a Elvis Presley e Jerry Lee Lewis. Quindi in generale, dell’epoca del benessere americano, quello che nell’immaginario collettivo sarà legato in modo molto banale a Happy Days (o ad American graffiti per i più esigenti) ma anche i suoi lati oscuri. Il vero personaggio forte della pellicola appare June Carter, anche per l’ottima interpretazione della Whiterspoon (premio Oscar per questo film). June Carter è un personaggio granitico (almeno da come ci viene descritto dalla pellicola); enfant prodige dalla musica, è conscia dei suoi limiti, tanto da compensarli con un’irriverenza del tutto originale.
Una essenziale sequenza ci dimostra tutto il suo carattere, quando nel giro di cinque minuti si sente, prima osannare per la sua carriera e poi criticare per il suo divorzio, uscendone in entrambi i casi con stile. È una fotografia dell’America di quegli anni, abbagliata dal primo divismo, ma ancora bigotta e reazionaria.È lei con la sua forza e il suo amore a salvare Cash dalla sua dannazione. Altro momento importante, come del resto lo è stato per la storia della musica, è come viene raccontata la creazione e la realizzazione del live nella prigione di Folsom. Il concerto apre il film, per poi staccare con un lungo flashback, ma già dalle prime immagini si può ascoltare il rumore di libertà che traspare da quel live. Quando “l’uomo in nero” propose ai produttori quel concerto si vide ricevere un secco rifiuto, lo stesso che gli fece anni prima, con le stesse motivazioni, Sam Philips alla sua prima audizione. Questa volta però, forse per intuito o per cocciutaggine o anche perché quella musica era dentro di lui, Cash va avanti realizzando uno dei migliori album della storia della musica.
Insomma, meglio la sua musica del film che racconta la sua vita (questo è il minimo), ma resta un film godibile e vedibile per tutti, oltre che dai fan del genere e per gli amanti della musica.