L’ex stazzonato raccounteurs della Columbia, Sam Beam, al secolo Iron & Wine, si è ripulito dalla polvere mid-freakkettona degli esordi, e al culmine di una oramai maturità stilistica centrata si “costituisce” ad un suono molto più ricercato, ad una raffinatezza meticciata e a suo modo colta rappresentazione di se stesso e della sua arte musicale; Ghost On Ghost è il disco della svolta piena, un concentrato easy dalle tinte agre e briose nell’insieme che – distribuite in dodici tracce – vanno a scovare e riscoprire timbriche inusuali nell’arte dell’americano.
Quella tempra acustica che nelle precedenti edizioni discografiche ricamava tutto, ora è solo un utensile usato saltuariamente, l’artista colora l’ascolto con vibrazioni sofisticate, corali, orchestrali, prende l’armonicizzazione e la circonda di una climaticità etera, tocchi chic – tanto per usare un termine più che idoneo – che I&W giostra e filtra con l’agilità tenera di un nuovo modo di vedere il mondo; quello che si va ad ascoltare è tutta un’altra latitudine, e per rendersi conto della nuova rassegna stilistica bisogna ascoltare questo disco con il dovuto distaccamento spirituale per non incappare in un giudizio frettoloso e dettato dalla superficialità, tracce che abbisognano di decantazione, proprio come un buon vino d’annata.
E’ un piccolo eden di Soul “The Desert Babbler”, “Grass Widows” un funky Motown a bassa voce “Low Light Buddy of Mine”, il vapore jazzly che stria la bellissima “Singers And The Endless Song”, un’occhiata field mattutina “Sundown (Back In The Briars”, tracce atmosferiche che prendono vita nel momento giusto in cui il suono prende coscienza della vitalità “New Mexico’s no Breeze” o nell’impressione Dubstep che il vibrato di tromba stampa nelle ombre urbane di “Lover’s Revolution”. Si, effettivamente siamo lontani dalle prime mosse, ma è una bella sorpresa ritrovare questo musicista in una magia deep listening estremamente comunicativa e con quel senso confidenziale, da amico.
E’ un bel cambiamento, una buona aria e un grande artista, Iron & Wine un’altra persona. Abbandonatevi tra il tramonto e la notte fonda di “Baby Center Stage”, copritevi del suo tepore e poi venite a raccontarcelo.