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Hate & Merda – La Capitale del Male
Gli Hate & Merda sono un duo fiorentino composto dal batterista Unnecessary 1 e dal chitarrista ed urlatore Unnecessary 2. Oltre a nasconderci i loro veri nomi il duo non mostra i propri volti, coprendoli con impenetrabili calze nere in modo da annullare l’identità visiva, cosa che, oltre che con questi tempi di selfie ad oltranza, risulta in contrasto con le copertine dei loro dischi; un singolo volto accompagnava il loro primo lavoro La Città dell’Odio, una vecchia e piuttosto macabra foto di gruppo accompagna questo nuovo full length, volti di tanti signor nessuno che potrebbero essere chiunque, volti di tanti non necessari. Il sound del gruppo è molto istintivo (il disco è stato registrato in una sola notte) e vi troveremo molteplici riferimenti (Melvins, Yellow Swans, Black Sabbath, Om, The Angelic Process, Earth per citarne alcuni) tutti piuttosto estremi; sarà dunque in modo radicale ed ossessivo che viaggeremo tra la vita e la morte, tra i rapporti umani e la solitudine. “Non esiste filosofia che possa contemplare il male. Quando arriva si mangia tutto(…), però il male è rappresentato, già tempi or sono dal Ponte Vecchio si buttavano le streghe”. Con queste parole del bizzarro filosofo fiorentino Stefano Santoni, prima di essere sommerse da droni e tamburi palpitanti, parte il disco con la title track, subito capace di farci capire quali territori andremo a visitare, subito virulenta, capace di farci smuovere qualcosa dentro, per poi dissolversi e farci ritrovare chiaramente le ultime parole di Santoni: “il male serve, serve anche il male…”. Si prosegue con “Foh”, tiratissimo pezzo Sludge Noise con parte centrale più rilassata, brano in cui inizia a prendere forma una certa circolarità (ma sempre e comunque spigolosa) del lavoro della band che qui ci delizia con un testo ermetico ed intenso che se fosse proposto da un cantautore dalla voce sottile, pizzicando le corde di una chitarra classica, quasi ci farebbe gridare ad un nuovo miracolo della canzone d’autore italiana, invece il non necessario numero due ce lo sbraita in faccia, ci sbraita in faccia queste parole: “l’unica cosa che esiste sono io, ho dovuto accendere una luce per capire che ero solo…le persone sono sempre bellissime quando ti dicono addio, ma un giorno anch’io me ne andrò, e allora anch’io sarò bellissimo”. Violentissime sono “L’Inesorabile Declino”, introdotta da una celebre scena de Il Cattivo Tenente di Abel Ferrara, e “La Capitale del Mio Male”, due veri e propri macigni disturbanti di Noise, Drone e Sludge nei quali si fatica a credere che tale delirio e personalità possano essere proposti da soli due elementi spersonalizzati. Tra queste due rocce si trova “In Itinere”, pezzo col quale ci spostiamo in territori più ambientali e nel quale troviamo come ospiti Matteo Bennici (Squarcicatrici) al violoncello e Stefania Pedretti (OvO, ?Alos) alla voce, che con i suoi versi primordiali accresce l’intensità di questo brano dove tutto è più tranquillo ma non meno scuro: la batteria suona triste, sommessamente marziale, la voce non urla, sembra quasi riflettere tra sé, l’atmosfera è notturna, probabilmente stiamo sognando, ci troviamo in un momento di apertura claustrofobica, è il momento più intimo del disco, e ne è il suo cuore pulsante; siamo partiti ma non siamo cambiati, il male che avevamo dentro ci accompagna ancora, e soffriamo di nostalgia, vediamo, sentiamo e ritroviamo quello che abbiamo lasciato, e non siamo capaci di spiegare noi nemmeno a noi stessi, di nuovo e per sempre soli nella nostra fuga permanente. Il Doom di “Profondo Nero Senza Fine”, conduce alla conclusiva ed urticante “Vai Via” dove troviamo l’essenza della band, sia musicale, con i suoi momenti più duri ed estremi ed i suoi passaggi più pacificati ed ambientali, che lirica (“se il tempo potesse tornare indietro tornerebbero indietro le cose perdute (…) questo album di foto guardato al contrario riporta i morti alla vita di prima (…) non dormirò mai più per non sognarvi mai più”), con parole che sembrano urlate dal nucleo interno della terra. I due Unnecessary firmano un disco tosto e di sicuro impatto che suonato live, con la sua fisicità, non potrà che catturarci in modo ancora più totalizzante, e ci ricordano, con questa storia di chi fugge e di chi resta, che la sensazione di solitudine che ci accompagna non ci abbandonerà mai e che la capitale del male è dentro ognuno di noi, mostrandoci, oltre ad odio e merda, cuore e cervello, nonché due corpi in volo, perpetuo e consapevole, dal Ponte Vecchio alle rosse acque dell’Arno.
Marnero – La Malora
È tempo di conclusioni di inizio anno. È tempo di cominciare l’anno con un finale che lasci il segno. È tempo di chiudere un cerchio cominciato circa sei anni fa. Sto parlando de La Trilogia del Fallimento, concept sulla lunga distanza ideato dai Marnero e sviluppato in tre capitoli, di cui La Malora rappresenta l’epilogo. Come ogni bel libro che si rispetti, “Porti” è per il disco la degna prefazione, catartica, con il violoncello di Matteo Bennici ad addolcire solo parzialmente lo sfogo vomitato dalle parole di J.D. Raudo. Sono “Labirinti” e “L’Ubriaco” ad immergerci pienamente nelle atmosfere Hardcore tipiche dei Marnero, aggiungendo un personalissimo tocco Sludge. In mezzo a tutta questa rabbia abbiamo momenti di stacco, piccoli lampi di luce come la splendida “Il Baro”, sorretta da una chitarra soave e legata da una membrana invisibile a “Il Bambino”, l’episodio più introspettivo dell’album. Altre istantanee indelebili de La Malora sono senz’altro il violino di Nicola Manzan (alias Bologna Violenta) ne “Il Testimone” e la tromba di Paride Piccinini nella lapidaria “L’Altro Lato”. La band bolognese ci ha donato un lavoro dalle mille facce: veemenza, passione, riflessione. Eppure ci troveremo stranamente a nostro agio all’ascolto, cullati da note d’odio. E il naufragar sarà dolce in questo mare…di sangue.
Ruggine – Iceberg
Suonano incazzati e spigolosi i piemontesi Ruggine nel loro nuovo full lenght Iceberg, nove brani di distorsioni e declamazioni dai titoli esotici e affascinanti (“Ashur”, “Raijin”, “Daphnia”, “Pangea”…) che riesumano uno spirito Hardcore d’altri tempi miscelandolo ad una cupezza sonora costruita ad arte, complice il processo compositivo con due bassi e la registrazione analogica che rende la pasta scura e densa, profonda e tagliente. Il disco è un concentrato oscuro di prove muscolari e tensive che si stemperano a tratti in curve fumose e misteriche (con il picco nell’intro della conclusiva “CDS”, che dal vivo deve proprio assomigliare ad un rituale pagano). Il mix di riff spezzati e batterie sanguinanti sostiene testi interrogativi e lineari, diretti, scanditi da una voce graffiante, che ci sputa in faccia molti dubbi e poche, pochissime certezze (o forse solo una, come nella title track). Potrà mai questa tormenta essermi d’aiuto?, gridano in “Ashur”, mentre la batteria spinge ossessiva su chitarre a spirale; Quali sarebbero state le parole giuste? Quelle che avrei dovuto pronunciare allora?, si chiedono tra i colpi violenti di “Siioma”; L’incognita più grande: è questo odio o amore?, continuano sul Post-Metal plumbeo di “Caio”.
I Ruggine rappresentano più il loro moniker che il titolo del disco in questo Iceberg che di freddo ha ben poco: nella ruvidezza del suono, nell’odore di ferro ossidato di batterie scalene e nell’angoscia intensa e arteriosa del flusso distorto di chitarre e voci si scopre il metallo – proprio in senso chimico – come nella splendida copertina: rotaie divelte che curvano nella desolazione di una natura che appare fredda, immobile, distante. Dell’Iceberg c’è forse il nascondersi sotto il pelo dell’acqua, un ribollire di forme immense che stanno nelle profondità e che poco alla volta si liberano oltre la superficie. Un disco fatto con stile, con coerenza, focalizzato e compatto, che lascia la forte curiosità di poterli godere dal vivo.
Ruggine, le prime date del tour di Iceberg
Uscirà il 3 novembre 2014, in cd per V4V-Records, Canalese Noise, Vollmer e vinile per V4V-Records, Sangue Dischi, Escape From Today, Canalese Noise e Vollmer Industries, Iceberg, il nuovo album dei piemontesi Ruggine, rei di aver portato la lezione/reading spoken word dei Massimo Volume ad un livello successivo con la loro amalgama di Math Post Rock e liriche caustiche.
– venerdì 21 Novembre 2014 Release Party @ Blah Blah (Torino)
– sabato 22 Novembre 2014 @ Freakout (Bologna)
– sabato 6 Dicembre 2014 @ Circolino (Vercelli)
– venerdi 12 Dicembre @ Beat Cafè V4V-Night (San Salvo Marina)
– sabato 13 Dicembre TBA
– sabato 20 Dicembre 2014 @ Checkmate (Genova)
– domenica 21 Dicembre 2014 @ Onlyfuckinglabels (Macerata)
– sabato 10 Gennaio 2015 @ Condorito (Cuneo)
– giovedì 22 Gennaio 2015 @ Honky Tonky (Seregno)
– venerdì 23 Gennaio 2015 @ Dong (Recanati)
“Babel” è il primo singolo estratto da Iceberg dei Ruggine.
“Babel” è il primo singolo estratto da Iceberg, il nuovo album dei Ruggine, rei di aver portato la lezione reading/spoken word dei Massimo Volume ad un livello successivo con la loro amalgama di Math- Post-Rock a due bassi e liriche caustiche. L’album uscirà a novembre 2014, in cd digipack per V4V-Records, Canalese Noise, Vollmer e vinile gatefold per V4V-Records, Sangue Dischi, Escape From Today, Canalese Noise e Vollmer Industries. Il video vuole ricreare l’effetto e la dinamicità live attraverso il lavoro di luci effettuato da Marco Alonzo.
Lili Refrain – Kawax
Non c’è nulla da fare, se componi un certo tipo di musica a base di sinistre atmosfere, curiose melodie e riff sgargianti vuol dire che con la testa viaggi e sei veramente alla ricerca di qualcosa di nuovo e se viaggi e fai viaggiare vuol dire che sei un artista a trecentosessanta gradi e forse anche un po’ visionario. Lili Refrain lo ha dimostrato; la polistrumentista romana attiva dal 2007 è riuscita attraverso la sua voce, la chitarra e qualche loop a creare un disco che suscita mille emozioni. Kawax, questo il titolo dell’ album che tanto ha fatto impazzire il sottoscritto è un lavoro inspirato, a tratti angoscioso capace di emanare passione e trepidazione. Il disco ha suscitato sentimenti positivi fin dal primo ascolto, come si trattasse di un colpo di fulmine, immediato e contro il quale nulla si può fare. La capacità di Lili Refrain di miscelare Ambient, Gothic, Blues e teatralità è un qualcosa di eccezionale; la giovane artista è riuscita nell’intento di creare un album introspettivo e riflessivo allo stesso tempo. Kawax è un viaggio mentale, dal primo all’ultimo pezzo; il bello del disco anzi è proprio il lieve mutamento che subisce traccia dopo traccia, il tutto senza farci accorgere di nulla.
Venendo proprio alle canzoni, quelle che si fanno notare da subito sono “Kowox” che ha un fascino e uno sprint tutto suo con dei suoni elettronici a dir poco fenomenali; la successiva “Goya” con i suoi arpeggi di chitarra, i suoi cori e la cupa atmosfera che trasmette un senso d’inquietudine fuori da ogni canone; un’altra traccia da segnalare è “Nature Boy”, padroneggiata da un clima che si addice a un film horror grazie anche alle grida di sottofondo che fanno il loro effetto. Non sono da meno “Echoes” e la conclusiva “Sycomore’s Flame”. La prima citata lascia un senso di quiete, è rilassante, il pezzo giusto da dedicare al famoso Caronte, il traghettatore di anime; “Sycomore’s Flame” è molto probabilmente la canzone più melodica del platter, una chiusura in bellezza se si considera il suono degli effetti e della chitarra.
Kawax è una perla di disco e il 2013 non poteva concludersi meglio che con un uscita del genere. Parlando invece di Lili Refrain, non possiamo fare altro che elogiare questa giovane artista dotata di coraggio e altruismo; la sua vena artistica è di quelle introvabili e, detto sinceramente, penso che sarebbe capace di creare una colonna sonora per i film di Dario Argento sulle streghe; insomma, “La Terza Madre” del noto regista avrebbe avuto un altro colorito con il tocco di Lili Refrain.
Meteor – Có Còl e Raspe
Digital Hardcore oppure Noise Punk, questi sono i generi che mi vengono in mente per inquadrare questo duo bresciano, ma forse il buon vecchio Edgard Varése avrebbe detto “Organized Sound”. Oggi però siamo lontani dal purismo espresso dal padre della musica elettronica e l’analogico ha lasciato spazio alla moderna era digitale ed a contaminazioni che includono anche strumenti “convenzionali” nell’equazione della musica sperimentale. Quindi tutto cambia, oppure il principio resta uguale ma si aprono nuove possibilità, insomma ognuno si faccia la propria idea perché fondamentalmente tutto é relativo, specialmente nel panorama musicale. Tornando a noi, i Meteor fanno pezzi brevi, crudi e caotici, ed in Có Còl e Raspe ci aggiungono una buona dose di idealismo interpretativo nel dare i nomi alle tracce. Si, perché i titoli sono unicamente delle X in progressione che posso assumere significati differenti a seconda di cosa questi viaggi sonori suscitano nell’ascoltatore. I Meteor utilizzano synth, batteria, chitarra, ed effetti come strumento per parlare al mondo.
Nel concreto ogni pezzo – “X”, “XX”, “XXX”, “XXXX”, “XXXXX”, “XXXXXX”, “XXXXXXX” – è un evoluzione del brano precedente ed è caratterizzato da un tempo musicale veloce scandito da chitarre distorte e batterie, ed invece un tempo assestante per i suoni glitch che creano quel caos tanto caro a chi prova piacere nell’impazzire. Dunque una buona dose di random, grida, distorsioni, rumori e sottofondi incazzati sono ciò che caratterizza queste sette tracce veloci e talmente brevi che non ti lasciano neanche il tempo di riflettere. Ma dato che la rabbia non è l’unica virtù di Andrea Cogno e Giuseppe Mondini, il duo ci tiene a condividere con il pubblico anche la parte gioiosa e buongustaia che li contraddistingue. Ecco quindi che se andrete a vederli dal vivo oltre a farvi una scorpacciata sonora, potrete gustare salame, vino, polenta ed altri prodotti tipici della campagna bresciana. Quindi buon appetito!