Savages Tag Archive
Flamingo – Komorebi
Se l’intento era quello di mostrarci una metamorfosi, direi che il debut di Flamingo centra il bersaglio.
Continue ReadingLa musica italiana che gira il mondo || Intervista a GIUNGLA
GIUNGLA è Emanuela Drei, cantautrice di base a Bologna, già voce e chitarra di Heike Has The Giggles ed ex bassista di His Clancyness. Dallo scorso anno, il suo progetto solista ha raccolto sempre più interesse e consenso, portandola a varcare i confini del bel paese e affrontare nuove ed emozionanti esperienze internazionali.
Tindersticks – The Waiting Room
Nei quattro anni che separano questo nuovo lavoro da The Something Rain, i Tindersticks non si sono mai fermati avendo prodotto la sonorizzazione per Ypres, mostra sulla prima guerra mondiale dell’omonima città belga, la colonna sonora Les Salauds per il film Bastards dell’amica Claire Denis, ed il gradito dono Across Six Leap Years, a dimostrazione di una vena creativa che forse supera persino quella di inizio carriera. The Waiting Room è un lavoro ancora più cinematografico di quanto un disco del francofilo gruppo di Nottingham possa già essere di per sé, infatti ogni canzone presente è accompagnata da un cortometraggio che propone un contro punto di vista più aperto rispetto a quanto proposto su disco dalla band, gli undici lavori raggruppati insieme (faccio comunque notare che non si tratta di un concept album e che di conseguenza i video non hanno nessuna connessione tra loro) formano The Waiting Room Film Project, progetto prodotto in collaborazione con il festival del cortometraggio di Clermont-Ferrand sul quale al lavoro troviamo diversi registi indipendenti tra i quali, ovviamente, Claire Denis, oltre che il vincitore del César, Pierre Vinour, il fotografo Richard Dumas (sua la malinconica immagine in copertina), e lo stesso leader del gruppo Stuart Staples. Dopo tale premessa l’apertura con l’ottimo strumentale “Follow Me”, rilettura di uno dei temi del film Gli Ammutinati del Bounty del 1962, può risultare pressoché perfetta, anche perché il brano che segue, “Second Chance Man”, parte subito con la voce di Staples senza un’introduzione musicale, il che forse sarebbe stato troppo d’impatto in apertura di disco, in questo brano il cantato è accompagnato da una batteria spazzolata e da note d’organo che per quanto appena accennate sono capaci di scaldare molto, ad accrescerne ancora il sapore l’ottimo lavoro degli ottoni del collaboratore Julian Siegel che si comporta anche meglio in “Help Yourself”, un fosco Funk Swing in cui troviamo anche una splendida linea di basso oltre che uno Staples in gran spolvero. Tra questi due brani dimora il terzo singolo fin qui estratto, “Were We Once Lovers?”, che ha preceduto di pochi giorni l’uscita del disco, brano tra i più trascinanti del lotto, anche qui troviamo un gran lavoro di Dan McKinna al basso, una chitarra ben più vistosa che altrove, e, tanto per cambiare, un’altra ottima orchestrazione, drammatica e claustrofobica. Come spesso capita nei lavori della band non mancano ospiti, in questa occasione ne troveremo due, la prima che incontreremo sarà Lhasa de Sala (già ospitata per “Sometimes it Hurts” in Waiting for the Moon) in una registrazione del 2009, pochi mesi prima della sua prematura scomparsa, con un brano fin qui segretamente custodito, “Hey Lucinda”, dove da un invito ad uscire per bere qualcosa da parte della voce maschile nasce una riflessione che va ben oltre il rapporto uomo-donna, and these dirty little cigarettes we smoke/and the liquor it just throws/a plug where the feelings we should show dichiara la voce femminile, per poi offrirci un I only dance to remember how dancing used to feel nel momento, a livello strumentale, più spensierato. A questa piccola perla resa pubblica dopo sette anni segue un altro ottimo strumentale (gran lavoro del tastierista Dave Boulter, sempre, ma soprattutto in queste occasioni) , “Fear of Emptiness” col suo abbraccio ovattato ed avvolgente; e spetta ad un altro strumentale, il quasi meditativo “Planting Holes”, il compito di separare due dei momenti più tesi del disco: la title-track e “We Are Dreamers!”, il primo è un brano quasi a cappella dove il corposo baritono di Staples è accompagnato solo dalle poche note funeree di un organo che vanno a creare un’atmosfera decadente e dall’altissima emotività, nel secondo troviamo l’altra ospite del disco, Jehnny Beth delle Savages presta infatti la sua potenza e le sue sfumature alla feroce “We Are Dreamers!”, brano dall’altissima intensità, scuro, angosciante, minaccioso, che rappresenta indubbiamente un altro punto di altissimo livello di questo nuovo lavoro della band. Il disco va a terminare con la successiva “Like Only Lovers Can”, ballata romantica nel più classico stile del gruppo. The Waiting Room è un disco che cresce ascolto dopo ascolto e seppur meno audace del suo predecessore è un disco dei Tindersticks in tutto e per tutto, anzi, di più, forse siamo di fronte al perfetto autoritratto di una band che per l’ennesima volta si conferma, con un lavoro che trasuda dolore e romanticismo (come d’abitudine siamo dalle parti di Nick Cave e Leonard Cohen), ed è capace di trasmettere impeccabilmente e con forza e raffinatezza passionali tutto quel che ha da dire e da dare, incertezze (esistenziali) comprese.
Savages – Adore Life
Le Savages sono una band londinese, benché la cantante Jehnny Beth, pseudonimo di Camille Berthomier, sia in realtà francese, attiva ormai dal 2011. Dopo aver ottenuto discreta attenzione e successo con l’esordio, Silence Yourself del 2013, tentano di fare il grande balzo in avanti con la loro seconda fatica, Adore Life. L’intento della band è quello di prendere il Noise Rock di inizio anni 90 ed il Post Punk anni 80, shakerarli, attualizzarli al 2016 ed elaborarli in forma personale; tant’è che all’ascolto, se volessimo fare dei paragoni, le somiglianze più evidenti sono quelle con i Sonic Youth e Siuxsie & the Banshees e proprio al cantato di Siouxsie Siux si ispira la Berthomier. Proprio in questo tentativo di attualizzazione risiedono sia i (molti) pregi che i difetti del disco e dell’intera band. Parliamoci francamente: i revival non mi piacciono e non mi sono mai piaciuti. Esiste una sottilissima linea che li separa dalla semplice ispirazione/ammirazione; se la si sorpassa, si rischia un vero e proprio disastro citazionistico che può piacere unicamente a qualche appassionato del genere e gettare un “buon” disco nel grande calderone del cult. Benché all’interno di Adore Life le Savages rasentino spesso questo rischio, riescono a non superare quella linea. Il loro secondo album è palesemente un buon disco, coinvolgente, energico e rivolto alla conquista di un pubblico il più ampio possibile. Ciò che c’è di più positivo è poi proprio da ricercarsi nei brani che più nettamente si liberano dallo stile retrò e riescono a suonare attuali; il primo caso è “Adore”, scelto come secondo singolo; pezzo nel quale la band decide di abbassare la velocità in favore della ricerca di un vero e proprio climax emotivo ascendente all’interno della canzone. Apprezzabile, da chi ha dimestichezza con la lingua d’Albione, anche la profondità del testo; nota di demerito invece per il video: sembra strano che per un pezzo di questo tipo non si sia riusciti a fare qualcosa di meglio. Non che sia brutto, per carità, ma sicuramente mi aspettavo di più, dato anche che non mi sembra che alla band manchino le risorse. La prestazione più riuscita è poi da ricercarsi nella traccia otto, misteriosamente non ancora scelta dalla band come singolo, “Surrender”, che più di ogni altro brano dell’album si conforma al significato della parola “canzone”. Divertente, dotata di tiro, coinvolgente ed ispirata. Tutto ciò che invece manca in “I Need Something New”, la traccia meno riuscita che rasenta il limite del fastidioso a causa della sua monotonia e ridondanza. Anche l’ultimo brano “Mechanics”, benché sia evidente che avrebbe dovuto mostrare un lato differente della band, non riesce ad emergere e, schiacciato forse anche da un minutaggio eccessivo, finisce ben presto nel dimenticatoio. Escludendo queste due note fuori registro, il disco è compattamente positivo, risulta divertente, ed ogni brano è evidentemente studiato con attenzione, in modo da risaltare la sua musicalità. Una produzione assolutamente all’altezza ed un suono impeccabile e scelto con cura fanno da contorno ad un album la cui valutazione non può che andare ampiamente sopra la sufficienza. Le Savages si apprestano ad affrontare un tour europeo di promozione dell’album che dovrebbe toccare l’Italia ad aprile. Per loro il 2016 dovrebbe essere l’anno della consacrazione.
Il nuovo videoclip degli Invers: “Montagne”
E’ visibile su Youtube il nuovo videoclip degli Invers “Montagne”, girato dal regista Stefano Poletti, premiato nel 2010 al Mei di Faenza come “Miglior videomaker” dellʼanno. Il brano è stato registrato e mixato al Moscow Mule Studio (Biella) da Vina Bros, e masterizzato al The Exchange (Londra) da Mike Marsh (Franz Ferdinand, Kasabian, Savages).