Eccellente esordio per i catanesi Loveless Whizzkind, bel frastuono ed intimidatorio indie-rock in nove tracce “We were only trying to sleep” che suggerisce essenze elettriche diafane, a tratti spalmato da psichedeliche Beckiane “Jassie’s Disappeared”, “Cousin Lizard” con i Pavement come portafortuna e il broncio scazzato di una certa wave, un piccolo brivido lungo la schiena che si conficca nella spina dorsale a mò di spillo alternative.
Un lavoro che vive tutto sulla spontaneità dell’ispirazione dei tre musicisti coinvolti, la glabra e nuda bellezza di melodie storte e di suggestione che, al di fuori di una spigolosità espressiva, sanno modulare una estetica slegata da tante “strizzatine d’occhio”, una fulminante e corrosiva list che fa battere le mani per tanta baldanza fresca e stilosissima; se vogliamo usare parole che più vanno a catturare l’immaginazione di questa band potremmo dire “una grezza e devastante maturità sonante” che solo in un esordio brucia tutto, è già grande e pronta per palchi d’ascolto allargati e per creare una personale linea guida nell’affollatissimo circuito indipendente italiano. E non si può non essere sottoposti brillantemente alla compiutezza di questi brani, scorrevoli e diretti che non disattendono nemmeno la più audace espansione in certi ambiti brit “Lovely Ball Of Snot” come nelle slabbrate sensazioni garage di “Hail To The “Lil” Gorilla”, praticamente tutto il minimo indispensabile per un ascolto a tutto gas e con l’argento vivo sotto i piedi.
Cinquanta minuti di vero talento che, spalleggiati da chitarre multiformi, un cantato densamente “out” e dal rombo di motori rigeneranti dell’irriducibilità indigena al 100% “Blue Butted Baboons”, costituiscono una piccola opera imponente per qualità e quantità, e se poi ci mettiamo dentro la “pazzia” incontrollata di “The Golden Cockroach’s Pinball Song”, la matrice sonica che questo trio vuole imprimere a pelle è inestimabile come un tattoo di un vecchio amore onnipresente.
L’ascolto di questo debutto è una dichiarazione all’estro armonico della sconnessione, una squisita naturalezza che è già realtà fondamentale se si vuole ancora considerare persuasiva la scena “trasversale” cosiddetta indie di testa e dal corpo dinamico.
Strafico!