Seahorse Records Tag Archive

Loveless Whizzkid – We Were Only Trying To Sleep

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Eccellente esordio per i catanesi Loveless Whizzkind, bel frastuono ed intimidatorio indie-rock in nove tracce “We were only trying to sleep” che suggerisce essenze elettriche diafane, a tratti spalmato da psichedeliche Beckiane “Jassie’s Disappeared”, “Cousin Lizard” con i Pavement come portafortuna e il broncio scazzato di una certa wave, un piccolo brivido lungo la schiena che si conficca nella spina dorsale a mò di spillo alternative.

Un lavoro che vive tutto sulla spontaneità dell’ispirazione dei tre musicisti coinvolti, la glabra e nuda bellezza di melodie storte e di suggestione che, al di fuori di una spigolosità espressiva, sanno modulare una estetica slegata da tante “strizzatine d’occhio”, una fulminante e corrosiva list che fa battere le mani per tanta baldanza fresca e stilosissima; se vogliamo usare parole che più vanno a catturare l’immaginazione di questa band potremmo dire “una grezza e devastante maturità sonante” che solo in un esordio brucia tutto, è già grande e pronta per palchi d’ascolto allargati e per creare una personale linea guida nell’affollatissimo circuito indipendente italiano. E non si può non essere sottoposti brillantemente alla compiutezza di questi brani, scorrevoli e diretti che non disattendono nemmeno la più audace espansione in certi ambiti brit “Lovely Ball Of Snot” come nelle slabbrate sensazioni garage di “Hail To The “Lil” Gorilla”, praticamente tutto il minimo indispensabile per un ascolto a tutto gas e con l’argento vivo sotto i piedi.

Cinquanta minuti di vero talento che, spalleggiati da chitarre multiformi, un cantato densamente “out” e dal rombo di motori rigeneranti dell’irriducibilità indigena al 100% “Blue Butted Baboons”, costituiscono una piccola opera imponente per qualità e quantità, e se poi ci mettiamo dentro la “pazzia” incontrollata di “The Golden Cockroach’s Pinball Song”, la matrice sonica che questo trio vuole imprimere a pelle è inestimabile come un tattoo di un vecchio amore onnipresente.

L’ascolto di questo debutto è una dichiarazione all’estro armonico della sconnessione, una squisita naturalezza che è già realtà fondamentale se si vuole ancora considerare persuasiva la scena “trasversale” cosiddetta indie di testa e dal corpo dinamico.

Strafico!

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Droning Maud – Our Secret Code

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C’è voluto del tempo, c’è voluto il tempo necessario, i Droning Maud registrano ufficialmente il loro disco d’esordio Our Secret Code. Se ricordate le loro precedenti produzioni  Promo (2007) e The World of  Make Believe (2008) cercate di dimenticarle, non vi serviranno assolutamente da esca per l’ attuale lavoro in promozione, negli anni ci sono stati cambiamenti di line up, sperimentazioni sonore e fortunati incontri artistici che hanno dato vita ad una band completamente rigenerata nel sound e nella mente. Adesso è il tempo di Our Secret Code, è tempo di una nuova vita. Hanno conservato quella vena New Wave Post Rock di matrice nettamente britannica, i toni si abbassano e la produzione dei Dronig Maud prende strade Shoegaze con punte avvelenate di elettronica. Poi lo zampino dell’ormai sempre presente Amaury Cambuzat impreziosisce e di molto l’importanza del disco ( prima di questo vengo dall’ascolto di Oslo Tapes quindi le affinità riesco a sentirle tutte nonostante il risultato prenda strade diverse), le soluzioni sanno di freddi paesaggi incontaminati come la musica dei Sigur Ròs se proprio dobbiamo cercare un paragone (e che paragone) plausibilmente valido e preciso, senza dubbio dobbiamo lasciare da parte la musica italiana per entrare a stretto contatto con Our Secret Code. Le chitarre viaggiano incontrastate verso l’ignoto manipolando le menti di chi vorrebbe seguire l’esecuzione con attenzione, le ritmiche (senza basso) dettano tempi degni degli ultimi Radiohead, un continuo picchiare dritto e lineare con improvvise sterzate. La voce si amalgama al tutto giocando molto di squadra, intuizioni elettroniche non fanno mai sentire il vuoto sotto la struttura. Un disco pieno e deciso quello arrangiato dai Droning Maud, la volontà di avere tra le mani un prodotto esclusivo di cui andare fieri senza strani pensieri per la testa.

Un album pulito nei suoni con forti dosi di rock all’avanguardia, pezzi come “Nimbus” rendono molto bene l’idea di un lavoro comunque sia molto variegato nelle soluzioni sonore, uno studio valido e l’esperienza non fanno arrancare mai a fatica i Droning Maud lanciati a tutta velocità. Poi ci sono pezzi come “Ghost” che rendono leggera l’aria intorno, le chitarre girano e rigirano come fossero maledette da una profezia, l’intenzione surreale de Our Secret Code è subito chiara, non lasciare la ragione a chi si dedica all’ascolto del disco. Anche questa volta mi trovo a elogiare una band dai suoni nettamente nord europei, quasi come fossimo a corto di un identità italiana, come se non fossimo in grado di permetterci una propria e definita personalità al di fuori del cantautorato. I Droning Maud conoscono la ricetta della felicità artistica e registrano un album sopra le righe della decenza, maturo e completamente godibile in ogni sua sfumatura. Dieci pezzi che non mi metto qui a citare tutti sullo stesso livello compositivo, voglio invitare all’ascolto ripetuto de Our Secret Code per far cogliere le infinite scelte presenti, più si ascolta e più vengono fuori cose nuove e maledettamente belle. Una band che trova la propria maturità artistica non perdendo comunque l’entusiasmo della prima volta. Un disco che sinceramente ci voleva proprio.

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De Grinpipol – Earworms

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Ultimamente la Sardegna in fatto di musica alternative sta dando buoni numeri, tante le proposte sonore che sbarcano nel “continente” con l’intima intensità di scardinare finalmente le porte degli ascolti ad di la del mare, certamente non per svernare i vecchi simulacri delle cose ritrovate, ma per una eventuale presa di storia, illuminazione e terra tanto da far si che si possa uscire da una routine oramai logora e lisa che castra enormemente l’underground tutto.

I sassaresi De Grinpipol  – qui al secondo lavoro della loro corta carriera con “Earworms” –  fanno da apripista ad un gusto alternativo che chiazza di colori vivaci  un pop-psichedelico e una wave vestita di indie che una volta attaccato bottone con gli orecchi, difficilmente poi scende a patti col silenzio; una scaletta che si muove nei territori cari a Modest Mouse e più in la alle fibrillazioni degli Arcade Fire, ma anche una scaletta che afferma e dona la piacevolezza brillante di un lotto sonante mai scontato, dalla dimensione dichiarata e allargata senza nessun compromesso facile, una formazione fiera del loro senso variegato, ibrido di suonare e cantare frivolezze e tosti profili d’avanguardia, senza dubbio fuori dagli schemi per quello che siamo portati a sentire dalla mattina alla sera.

Tastiere 80’s, refrain vagamente radiofonici, corde elettriche shuffle, pimpanti ed epilettiche dal piglio punk “Minoli”, la ballata beatnik che smuove “Keep up prices”, “We try together” e le onde Bowieane che in ordine sparso abbracciano “A fur on summer”, “Mellow led”  caratterizzano i sentimenti e i desideri di una evoluzione prodiga a far si che si stia ascoltando una autentica emozione dalle tinte forti, e non un mero banco di prova per misurare a freddo “il secondo parto” di una band, e su questo i De Grinpipol non hanno bisogno di puntualizzare nulla che sia in più, la loro è una estensione estetica che apporta nella nuova scena rock quel tocco preciso di “innaturalità organizzata” che attraversa la filiera come una immaginaria fiorettata; cori e melodie fanno il resto, mischiando gioiosità e punte di amarezza poetica, punte di quella sostanza tenera e regolare che va ad intubare le prospettive aeree della lontananza “The reckless”.

Nove tracce di razza, una band indissolubilmente legata ad un futuro.

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