Immaginatevi una Los Angeles assolata in un caldo pomeriggio di un giorno qualunque, un pc, un portale di annunci di lavoro. Purtroppo non è l’incipit della mia opera prima, ma quello della mirabolante storia dei Capital Cities. Il duo Elettro Pop che sta spopolando su molte classifiche internazionali, nato per caso dall’incontro on line di Ryan Merchant e Sebu Simonian. Dopo anni di lavoro insieme dedicato alla composizione di musiche commerciali hanno pubblicato il maggio scorso il loro primo album In a Tidal Wave of Mistery. L’album interamente autoprodotto dai due apre letteralmente le danze con il tormentone “Safe and Sound”. Questa canzone, come i Capital Cities, ha una storia curiosa: pubblicato nel 2011, il brano è passato in sordina al grande pubblico finché un marchio di telefonia ha deciso di usarla, probabilmente per il basso costo dei diritti e l’orecchiabilità del pezzo, come jingle per la sua campagna pubblicitaria.
Da questo momento in poi il brano ha conseguito consensi e successo esponenziale tanto da essere incluso nel videogioco FIFA14 e in altre campagne pubblicitarie. Ma se una rondine non fa primavera, una hit da classifica non fa un album da urlo. Le dodici tracce sono genericamente orecchiabili e sicuramente influenzate dalla “mano invisibile” della major, che se per le teorie economiche rappresenta qualcosa di provvidenziale e auspicabile, in questo frangente smorza e appiattisce le potenzialità espressive dei due Hipsteroni californiani. Su tutto aleggia un’aurea dal sapore fortemente 80 che ammicca allo slow disco fatta da synth preponderanti e voce effettata, con chiare citazioni a icone Pop del periodo come Farrah Fawcett e Michael Jackson. Quindi, indossati leggings e scaldamuscoli, per non sentirsi inadeguati all’atmosfera, ci lanciamo in pista con “I Sold my Bed, but not my Stereo” dall’anima furbescamente Dance alla maniera del navigato Will.I.Am, per poi fare un balzo più in là e lasciarci corteggiare da “Center Stage” e “Kangoroo Court” di indiscutibile stampo Daft Punkiano. C’è spazio anche per le sonorità Funky di “Origami” e i suoni vintage di “Chartreuse”,che a primo acchito richiamano le idee dei primi Phoenix ma non riescono però a reggere il confronto, nonché la classica ballad melodica “Lazy Lies”.
Non manca niente, nemmeno la comparsata di un riesumato André 3000 degli Outkast in “Farrah Fawcett Hair”, che sa più di esigenza contrattuale, che di vera collaborazione, poiché non riesce minimamente a imprimere il proprio sound Funky e la sua proverbiale ecletticità al pezzo. Il duo californiano, ben accompagnato per mano, sa cogliere il momento e s’incanala ottimamente nel filone musicale del momento e di cui si nutre la gran parte della musica commerciale degli anni 2000, cercando comunque attraverso testi meno banali rispetto alla media di imprimere un po’ di personalità. In a Tidal Wave of Mistery suona felicemente Pop, ritmato, ben arrangiato, ma senza grandi eccellenze, insomma un successo di pubblico assicurato, cha fa del matrimonio tra Dance e Pop la carta vincente. Per quanto sono certa che molte delle dodici tracce scaleranno le classifiche di molti paesi e che le ritroveremo a più riprese in spot, video e programmati sulle frequenze di molte radio, a mio giudizio quest’album d’esordio, anche dopo ripetuti ascolti, lascia una sensazione che rispecchia in maniera fedele il titolo prescelto: una marea di mistero.