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Il Magnetofono – S/T

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Ottima ricerca e raffinato pathos in questo diamantino d’altri tempi, un ammiccante registrato che porta la polvere in bocca e il seducente delle cose ritrovate, ha il nome della formazione che lo a creato, Il Magnetofono, Alan Bedin, Emmanuele Gardin e Marco Penzo, un trio e un disco che fa luce lontano dai moderni riflettori ed ingentilisce di molto, straordinariamente, il timbro di ascolto fino a  piegarlo delicatamente sotto la sua “saudade” pregevole.

Canzone d’autore per traiettorie estranianti, un piccolo lusso uditivo che trascina all’indietro tra nebbie jazzly, Buscaglione, amarezze e disillusioni da tabarin, tratteggi alla Sergio Bruni e Arigliano, un Tenco discostato “Finezze” e tutte le atmosfere di un tempo andato e che ritorna in punta di piedi per far “rumore di classe” tra tanti ascolti roboanti e scalcagnati, tracce dove la staticità vibrazionale non è rintracciabile, tutto scorre come un magone nella gola dei ricordi, dei bei ricordi.

Il disco ospita a bordo Capovilla, Freak Antoni e Vincenzo Vasi mentore di Capossela “La Merenda Del Mago”, una registrazione da centellinare in notturna, in quel lasso di tempo in cui tutto riaffiora e si condensa dentro l’animo, magari con un qualcosa dentro un bicchiere e con gli occhi fissati al soffitto di una stanza vuota, tanto alla riempitura ci pensano queste micidiali tracce, queste dolci schegge musico/teatranti che una volta entrate nell’immaginario si prendono tutto quello che non si sospetterebbe mai di possedere; anni Cinquanta e prosceni messi su traccia,  sogni, deliri e un sustains di sana egocentricità circense Felliniana “La  Dichiarazione Del Mago” fanno bagaglio stupendo da sdoganare a chi vuole un senso musicale e di parole tra il setoso e il grezzo del tessuto da balla, poi man mano che il tempo passa questo disco si dichiara in tutto il suo intento, quello di stregare (facendolo) con una devastazione poetica sublime.

Appena ascoltata la bella rivisitazione di “It’s A Man’s, Man’s, Man’s, World di James Brown e che prende il nome di “Mondo Di Uomini”, altri sono i punti di contatto con la bellezza come la filologia di un Carmelo Bene che Capovilla marca alla voce in “Non Ho Finito” e le mosse di un tip-tap degno delle “sciantoserie” da Belle Epoque dove un Vasi si fa giocoliere di parole, storie e intrecci da film quasi-muto, poi il resto è elogio puro alla creatività di una voce, pianoforte e contrabbasso che, come dentro una capsula del tempo, ci fa suggestionare e assaporare, in perfetta solitudine, un incastro musicale sfacciatamente stupendo.

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Valter Monteleone – Hill Park

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Oggi mi trovo a recensire un polistrumentista, Valter Monteleone,  con un esperienza pluriennale come session musician. Ma che pluriennale, decennale è l’espressione giusta. Si decennale. La sua carriera da chitarrista, bassista e batterista ha inizio nellontano 1967 quando comincia la sua esperienza da turnista in varie formazioni pop italiane di spicco come:  Nada Malanima, The Showmen, Nini Rosso, Ombretta Colli, Carmen Villani, Lucio Dalla, Sergio Bruni, Aurelio Fierro, Rita Pavone, Teddy Reno, Betty Curtis.Sicuramente anni di formazione e di pura esperienza visti i nomi e visti i tempi, d’oro appunto. Personalmente la musica leggera Italiana fa inacidire il mio stomaco e mi chiedo cosa mai possa venir fuori da questo disco. Ma soprattutto, perché l’ hanno inviato a Rockambula?!?! Non capisco cosa c’entriamo noi Rocker con la musica pop per l’aggiunta italiana. I dubbi mi assalgono e l’unico modo per toglierli dalle scatole è infilare il CD, Hill Park,nell’HiFi e pigiare su play.
OK allora parto. La prima track è Bossando, il richiamo al latin jazz è immediato. Subito, i primi accordi in levare lasciano alla fantasia lo spazio di una calda spiaggia sudamericana con l’aria calda che ti sfiora la pelle e il tempo inizia a dilatarsi intorno. E’ Jazz, altro che musica leggera italiana, altro che pop. Questo è jazz!!!
Nel 1994, il nostro Valter, inizia la sua avventura jazz che lo porterà a suonare la batteria in varie formazioni, da una Big Band, la Taras Jazz Forum Orchestracondotta dal maestro Domenico Rana all’Academy Jazz Trio.Non faccio elenchi ma la storia continua ed è piena di partecipazioni rilevanti. Inizia a uscire fuori lo spessore di quest’artista, di queste note. L’armonia di questa composizione. Il disco di una vita lo definirei a primo acchitto. Dentro c’è tutta la passione per la musica, lo studio, l’impegno. Roba seria insomma. La tracklist procede con Castle in cui una voce profonda (alla Paolo Conte) accompagna la musica che ci trasporta sempre più dentro questa esperienza. Si prosegue con Hill Park, traccia che titola l’album, che inizia con un temporale in sottofondo, tuoni e acqua a catinelle danno il la alla tastiera e alla chitarra. Molto New Age. Tutto accompagnato dalla sua calda voce. Scorre così quest’album, splendidi giri d’accordi che creano la perfetta atmosfera per qualcosa di intimo, di personale.
Tutto nei minimi dettagli. Note che scorrono lisce senza intoppi e ritmi studiati a pennello. Forse manca qualche virtuosismo di quelli da far drizzar la pelle. Forse si potrebbe anche dire che qualche “notaccia” in più sarebbe stata più viscerale. Ma alla fine che cos’è il jazz?! Nessuno può dirlo e solo l’ascolto può illuminarci.

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