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Shide – Between These Walls

Written by Recensioni

Ci sono nuove speranze per mantenere in vita il rock a 100 pistoni, non il metal ortodosso, ma  quello metallizzato da grandi occasioni. La prima dimostrazione ce la danno i Baresi Shide e la controprova “Between These Walls”, il loro esordio in pompa magna, undici inediti e due strabilianti cover (Anybody seen my baby degli Stones e la mitica Born to be wildBonfire Mars)  che – grazie alla produzione di Micael C Ross e Stefano Giungato (chitarrista della band) –  riescono a trovare uno splendido compromesso tra la scena Nu-metal di Little Rock (Evanescence tanto per interderci) e le scorribande tutte rose e lame di Sandra Nasic ed i suoi Guano Apes, la dolcezza appuntita di Anouk ed i battiti primordiali degli Skunk Anansie, ed il tutto riuscendo a non fare prevalere un elemento sull’altro, un giusto equilibrio tra sonorità dure e melodiche che non mostrano mai ruffianeria e tantomeno inesperienza.

Il quartetto pugliese, capitanato dalla voce di rosa ribelle di Red – al secolo Renata Morizio – esprime ancora nei retrogusti i micidiali attacchi sonici che l’anima e lo spirito di chi per anni ha suonato il suono degli Dei, quel rock bastonante e guerriero che vuole fondersi con gli epici atmosferici del progressive, ma la svolta vincente appunto è quella che hanno saputo conferire nella loro musica, fondersi con una certa melodia e “scendere finalmente in terra” per ancorarsi alle stimmate distorte della primordialità del rock, ed è questo che fa dell’album una bomba di straordinaria e deflagrante ghiottoneria elettrica.

Ovvio, che qui dentro la spensieratezza poppy è fuori prerogativa, qui si fa sul serio, gli Shide diventano un vero e proprio progetto di gruppo che arriva per amplificare un convincente stare sulla scena che da ampio respiro al rock nazionale, quella scena che si guadagnano subito senza cedere invischiati nella prevedibilità dello stile proposto, ma che con quel “giocattolo esplosivo” sanno cosa farne, come modificarlo e alla fine come farlo “scoppiare” in tutte le sue traiettorie e dissolvenze; divino il cardiopalma amministrato in “The price of the stake”, lo wah wah grunge che morde in “Wake up”, fenomenale il sussulto agguerrito e dolce di “Sir and master”, autentiche le fasi doommate che perseguono Words” prima di perdersi nei gorghi in cui scivolare, abbandonarsi e morire per rinascere è una summa di libidine disumana “New era”.

I nostri forse non rimarranno scolpiti nella storia come tanti loro colleghi “maggiori”, non smusseranno le vette acuminate dell’Olimpo degli dei del furore, ma una tosta e tenace scalfittura –  a sentire da questa bestiale prima volta – alle buone asperità metallifere tricolori ci sta tutta.

Comunque buona la prima!

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