Quando uscì The 2nd Law, penultimo album degli inglesi Muse, le recensioni e i commenti dei fan non furono generosi. “Si sente troppo l’influenza dei Queen”, “statico e pacchiano”, “perché i riferimenti alla dubstep?”, “si sono allontanati troppo da quello che erano”. Sì, forse non era un album del tutto a fuoco, ma c’è qualcosa di peggio per una grande band del provare ad evolversi e non fare immediatamente centro: ripetere la versione standard di sé stessi per tentare di riacquistare punti agli occhi degli ammiratori mediocri. Drones non è un album brutto – d’altronde non potrebbe esserlo del tutto essendo i Muse a suonare-, ma non è un album che può farli stimare di più di prima, anzi. “Dead Inside”, “Mercy”, o “Defector” sono pezzi molto prevedibili per i Muse, ben confezionati ed eccellentemente suonati, percarità, ma di cui si possono trovare omologhi anche di miglior fattura nei primi album della band. Musicalmente il fil rouge dell’album, che ancora una volta è un concept su disumanizzazione, indottrinamento da parte del sistema e conseguente ribellione, è la potenza del suono, tiratissimo in pezzi come “The Handler”, e il ritorno alle chitarre. Con risultati alterni però: se “Reapers” rappresenta il pezzo migliore dell’album nonostante gli eccessi barocchi e virtuosistici, “Revolt” coi suoi riff potrebbe figurare anche in un album di Bon Jovi. Nell’ultima parte l’album rallenta un po’, lasciando spazio ad “Aftermath”, che suonerà come il perfetto inno da concerto in uno stadio (quando i Muse torneranno a farne), oppure “Drones”, unica traccia esclusivamente vocale ma soprattutto versione riarrangiata di Sanctus et Benedictus del rinascimentale Giovanni Pierluigi da Palestrina. Anche questo riferimento ad un periodo musicale tanto definito non è una novità nelle composizioni dei Muse. Sulla buona fede del progetto e del ritorno al Rock inteso in maniera più classica da parte della band non ci sono dubbi ma insomma, riassumendo, in Drones troviamo: il falsetto di Matthew Bellamy, suoni epici e piacevolmente tirati, riferimenti alla musica rinascimentale e barocca, strumenti suonati magistralmente, numerosi cambi di tempo e di tono, testi che invitano alla ribellione contro il sistema. Un settimo album che è un bignami dei Muse. Ma non un bignami della loro creatività, bensì di ciò che ci si può aspettare mediamente da loro.