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Beppe Malizia e I Ritagli Acustici

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Il Rap italiano non è quello che vedete su Mtv; su strade più o meno battute camminano artisti capaci, dopo tanti anni dalla genesi del genere, di riscoprirne alcuni dei valori fondamentali, musicisti in grado di ridare al Rap la dignità che merita, scavando nella sua essenza. Signore e signori, Beppe Malizia e I Ritagli Acustici.

Ciao ragazzi, come state?
Ics!

Mi permetto di iniziare con una domanda banalissima ma non posso non farvela. Beppe Malizia posso capirlo, ma I Ritagli Acustici che diavolo di nome è?
I ritagli acustici sono la prerogativa di questo progetto, perché in tutti i brani ci sono collaborazioni con musicisti differenti che hanno partecipato alla stesura musicale cantando o suonando strumenti diversi sui campioni assemblati da Beppe e prestando il loro operato, a loro volta come veri e propri “campioni”, al libero arrangiamento della produzione; ognuno di loro é stato uno dei ritagli acustici del progetto. In poche parole “ritagli acustici” é stata un’ esigenza di produzione e vuole diventare l’attitudine del gruppo. Poi suonava bene!

Da dove viene questo progetto (possiamo chiamarlo cosi?), quale è la sua storia, la sua genesi e dove pensa di poter arrivare?
Questo progetto (fai bene a chiamarlo così) è figlio di una collaborazione nata nel 2010 fra Beppe Malizia e il produttore Andrea Narratore, nello studio di quest’ultimo, il Bunker Café, studio dove fino a poco tempo prima Beppe ha registrato tutta la sua produzione musicale, antecedente quella dei Ritagli Acustici, fin dal 2002, sotto lo pseudonimo di Matiz Mc e, per il momento, la meta è sempre il disco a divenire.

Musicalmente siete molto vicini agli artisti che avete affiancato sui palchi italiani, da Frankie Hi Nrg a 99 Posse, da Mondo Marcio a Brusco. Eppure suonate comunque tanto diversi. Quanto Rap c’è nella vostra musica e cosa vi distingue dagli altri?
Il Rap é il comun denominatore di tutti i brani, per quanto riguarda questo progetto, e si distingue dagli “altri” per le caratteristiche capacità di adattamento ai diversi arrangiamenti musicali, un po’ come hanno fatto i Movits! in Danimarca.

Nello specifico, come descrivereste la vostra musica, quale ne è il suo processo creativo?
Ricollegandoci alla domanda precedente il rap nella nostra musica è proprio un processo creativo e, nonostante l’uso di musicisti, il workflow produttivo si discosta molto da quello di una band.

Oltre a I Ritagli Acustici, Beppe Malizia si fonde con The Acousticutz. Chi sono costoro?
The Acousticutz è stata una band nata circa tre anni fa, dall’esigenza di poter suonare live questo disco, anche all’infuori dei soliti spazi dedicati al Rap, di cui sopra. Questa formazione, cambiata ed evolutasi nel tempo, è ora la base dei Ritagli Acustici.

Quale ruolo avete occupato nel panorama indipendente italiano? Riuscite a vivere solo di musica?
Non viviamo di ruoli e non moriamo di musica. Lavoriamo per mantenerci e manteniamo la nostra musica. Stiamo investendo su noi stessi e non è detto che smetteremo mai di farlo.

Oggi sembra che le band emergenti possano imporsi solo attraverso le esibizioni dal vivo eppure, in alcune realtà, suonare live è diventato quasi impossibile. Locali minuscoli e non strutturati per la musica, impongono spesso situazioni fuori dalla consuetudine della band (come unplugged) a cachet ridottissimi, magari pretendendo anche che sia la band a fare promozione. Come uscire da questo tunnel?
Se parliamo di soldi, parliamo di commercio e quindi non più di musica fine a se stessa. Dunque a domanda segue risposta e di conseguenza molti gruppi dovrebbero suonare in spazi creati più per fare musica che per vendere aperitivi. Se non si porta un servizio non è giusto essere pagati. Quindi, per quanto riguarda gli spazi culturali, dovrebbero essere di più e meglio sostenuti, e chi vi suona essere ripagato anche dalla possibilità d’esprimersi in determinati contesti mentre, per quanto riguarda gli spazi commerciali, questi seguono la domanda ragion per cui il musicista che vuole camparci deve fare in modo di essere l’offerta, promozione compresa.

Tuttavia credo che sia anche giusto che la band si renda capace di crearsi un seguito; perché un locale dovrebbe spendere mille euro per un artista se poi non viene nessuno a vederlo? Come riuscite voi a crearvi un pubblico?
Da questo tunnel non se ne esce se non evitando d’entrarci. La band che non porta trecento persone non deve prendere mille euro, indipendentemente dalle capacità tecniche. Noi solitamente ne portiamo molte meno e infatti veniamo pagati molto meno. Quando non ne portiamo suoniamo anche gratis e, per suonare in un bel posto pieno di gente che non abbiamo portato noi, siamo disposti anche a pagare. Basta mettersi d’accordo prima del tunnel.

Molti collegano questo problema alla crescente presenza sulla scena di pseudo Dj e Tribute Band, capaci di riempire i locali senza troppi sforzi. Quanta colpa hanno loro? Veramente alla gente non frega nulla della Musica (con la M)?
Dj e cover band han solo la colpa di vendere il prodotto giusto e, credo, non con pochi sforzi e pochi investimenti. Chi invece dedica studio e creatività alla composizione della Musica (con la M maiuscola), non dovrebbe farlo per soldi.

Altra questione da affrontare è quella dei Talent Show. Non voglio mettere in dubbio il loro valore nella creazione di spettacolo e monetizzazione (le case discografiche hanno trovato la loro gallina dalle uova d’oro) ma piuttosto mi chiedo. Come fare per evitare che lo show venga confuso con la Musica? Come far capire ad un diciottenne pieno di talento che per arrivare in alto, la strada migliore non è quella di X Factor, che anzi può rovinarti per sempre?
Sia nel caso dei Talent Show che in quello della musica tradizionale o indipendente, la ricerca del successo comporta gli stessi rischi o le stesse scorciatoie; ciò che cambia è solo la rapidità con cui il processo si svolge. Un diciottenne PIENO di Talento non ha di questi problemi. Più talenti ai Talents.

Tornando a voi e parlando di talento. Cosa significa questa parola? Pensate che abbiate più talento o più cose da dire o i due concetti sono legati tra loro?
Il talento é una particolare predisposizione a fare una determinata cosa quindi, finché avremo qualcosa da dire ci toccherà farlo.

Perché in Italia sappiamo fare cosi bene Musica Leggera ma siamo quasi incapaci a fare Pop?
Ormai non crediamo più che sia così.

Che strada avete scelto per promuovere la vostra musica, trovare date, vendere cd, ecc…?
Dal digitale al territorio passando per Facebook, Twitter, Myspace, Souncloud, iTunes, Youtube, website, web radio, radio, riviste, webzine, associazioni, circoli, comuni, festival e rassegne. Ci manca solo l’agenzia ma stiamo valutando.

Di cosa parlano le vostre canzoni? E pensate che nel Rap come nella musica cantautorale i testi abbiano o debbano avere un ruolo più pesante che in altri generi, ovviamente non strumentali? La musica non dovrebbe parlare prima attraverso le note che le parole?
Le nostre canzoni parlano di bianco e di nero, di vita e di morte, di schiavi e di padroni, di odio e di amore. L’equilibrio della bilancia fra parole e musica per noi non ha regole. Balla di qua è di la.

Cosa vi distingue dalla nuova ondata di rapper per ragazzine, Emis Killa e tutti gli altri?
Ci distingue da questa ondata il fatto di non farne parte, per età innanzitutto e poi per tutto ciò che per età ne consegue.

Chi vive per la musica deve veramente inseguire il successo?
La nostra esigenza è quella di costruire la cosa migliore per le nostre capacità e rispetto ai nostri canoni e gusti, se sarà di successo tanto meglio, forse.

Nella scena Rap Underground di nomi ce ne sono tanti, alcuni validissimi come gli Uochi Toki, altri meno. Fate qualche nome, escluso quello di Beppe Malizia.
Non facciamo parte della scena Rap underground, ci escludiamo a priori, escluderei tanto più i Uochi Toki da qualsiasi etichettatura. Potremmo suggerire Kaos e Colle der Fomento, se si possono ancora considerare underground.

Fatevi un po’ di promozione. Un nuovo album dopo Bianco e Dal Cilindro, tanti  video e che altro in programma?
Un altro nuovo album, altri nuovi video e un nuovo sound, il tutto anticipato da un singolo rimasto nel cassetto con tanto di video ad illustrazioni.

A proposito, so che i tanti video non sono frutto del caso. C’è un filo conduttore che li lega. Spiegateci di che si tratta. E poi, come siete riusciti a far patrocinare i video di un rapper dal comune di Acqui Terme?
Abbiamo la fortuna di poter girare i video noi stessi avendo a disposizione il team bunker@work in casa. Il filo che li lega poi non è così spesso. In realtà sono legati gli uni agli altri da tante piccole scelte prese a priori: colore bianco e nero, location, personaggi del territorio, oggetti di scena e comparse dovevano ricorrere in più video. In più, invece che girare e montare ogni singolo video come al solito, prima li abbiamo girati tutti (ci son voluti 6 mesi) dopo di che siamo passati al montaggio.
Riguardo al patrocinio, beh, è bastato mostrare il nostro progetto e chiedere…

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto. Poi, se volete rispondetemi.
Vi ritenete più musicisti, cantautori, rapper o altro?
Risposta: ALTRO!

Ringraziamo Silvio Pizzica e tutta la redazione di Rockambula.

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No Love Lost

Written by Interviste

Come ci piace fare spesso, Rockambula è stato media partner dell’evento organizzato questo dicembre a Sulmona (AQ) denominato Soundwave Christmas Nights, festival dedicato alla musica originale indipendente. Pur non trattandosi espressamente di un contest, Rockambula ha voluto comunque istituire un piccolo premio che consiste in un mini pacchetto promozionale comprensivo di recensione e/o intervista più banner pubblicitario sul nostro sito per circa un mese. La band che abbiamo scelto in quanto protagonista con il progetto più interessante e originale anche solo in ottica potenziale è stata quella denominata No Love Lost. In questa intervista cerchiamo di capire meglio di che progetto si tratta, quale possa esserne il futuro e cercheremo anche di ragionare su alcune tematiche care sopprattutto alle scene di provincia.

Iniziamo da una domanda ovvia. Il vostro nome richiama alla mente la grande band capitanata da Ian Curtis e voi avete iniziato la vostra avventura proprio come cover band dei Joy Division. Aver fatto cover è più utile a scrivere e proporre pezzi propri o più un ostacolo dovuto al rischio “imitazione”?
Aver iniziato come cover band dei Joy Division ha sicuramente contribuito a creare amalgama e affiatamento nel gruppo. Il rischio imitazione volontaria non c’è mai stato perché in fase compositiva seguiamo le nostre idee e l’istinto del momento senza doverci preoccupare di imitare qualcuno o assomigliargli. Se ci sono delle affinità con altre band non sono volute e cercate ma sono solo frutto dei nostri ascolti e gusti giovanili. Quando abbiamo deciso di cominciare a proporre un nostro repertorio abbiamo iniziato come nuovi No Love Lost e non come costola della cover band che eravamo prima.

Perché avete scelto di iniziare con le cover e perché avete scelto di passare a proporre pezzi vostri? Suonate ancora brani dei Joy Division dal vivo?
Il gruppo inizialmente è nato come una sfida a proporre una band poco conosciuta ai più e comunque poco coverizzata. L’idea era di fare alcune esibizioni in pubblico e divertirci a suonare una musica che aveva sempre esercitato un certo fascino su di noi. Abbiamo deciso di cominciare a proporre brani nostri perché da sempre noi tutti abbiamo avuto un approccio compositivo alla musica, ci viene naturale. Ognuno di noi tre normalmente compone in proprio e a maggior ragione trovandoci tutte e tre insieme, idee vecchie e nuove si sono accumulate con una certa rapidità dandoci la possibilità di scegliere tra un materiale numericamente consistente ancora in fase di definizione e composizione. In eventuali serate dal vivo in cui avremo la possibilità di suonare per più di un’ora sicuramente riproporremo dei brani dei Joy Division.

La vostra formazione attuale non prevede batteria, o meglio batterista. Il suo ruolo è affidato all’elettronica. Quanto la batteria elettronica può essere un vantaggio (Albini ci ha costruito una carriera, passatemi il termine, con una certa Roland) e quanto un limite per la vostra proposta? E perché avete fatto questa scelta?
La batteria elettronica (ma le basi in generale) per noi e per il nostro sound è un vantaggio in quanto la nostra musica necessita di ritmi definiti e ben schematizzati; ci da la possibilità di far lavorare il basso in modalità non usuali (uso di ottave alte quando lavora in contemporanea con un basso synth) mantenendo una certa corposità del suono e avendo virtualmente una sorta di seconda chitarra. Inoltre la batteria elettronica permette al basso di esprimersi liberamente con riff definiti e di effetto e permette al cantante/tastierista di dedicarsi totalmente al canto. Attualmente non vediamo svantaggi nell’utilizzarla e non escludiamo neanche il ritorno di una batteria acustica in futuro quando e se necessario.

Vi ho ascoltato dal vivo durante l’esibizione a Sulmona (AQ) al Soundwave, un piccolo Festival di cui Rockambula è stato media partner (ndr I No Love Lost hanno vinto qui il premio Rockambula). Perché avete scelto di parteciparvi? È questa la strada migliore per la musica emergente? Cosa non vi è piaciuto?
Abbiamo scelto di partecipare al Soundwave Christmas Night per avere una vetrina e far sentire i nostri brani inediti a un vasto pubblico. Per i gruppi della scena Indie la via migliore per farsi conoscere è comunque soprattutto quella di partecipare a manifestazioni ad hoc come questa e ovviamente utilizzare la rete nei suoi numerosi canali e avere tanta voglia di mettersi in gioco credendo a quello che si fa. Più di quello che non ci è piaciuto, preferiremmo invece mettere in rilievo il fatto che questa manifestazione non era un concorso ma appunto una rassegna. È stata un’ottima idea in quanto nei concorsi è molto facile che a vincere sia la band raccomandata o che porta più pubblico; diverso è stato invece creare un premio per il progetto e l’idea espressa da una band come ha previsto il Soundwave con Rockambula.

Una cosa che, ad esempio, mi pare di aver notato è che, specie nelle piccole realtà cittadine, mancano vere e proprie scene e ognuno tenda a fare musica inseguendo, spesso scimmiottando, i propri idoli, senza alcuna voglia di sperimentare, osare, innovare. Uscire da questo tunnel credete sia possibile? Come?
Uscire dal tunnel delle imitazioni è possibile ma richiede apertura mentale, un discreto background culturale, creatività e voglia di mettersi in gioco. Il problema principale è che si tende, soprattutto nelle nostre realtà, a giudicare l’operato di un musicista solo ed esclusivamente dal punto di vista tecnico senza mettere in rilievo che la creatività costituisce un elemento fondamentale per chi fa musica.

Una delle soluzioni potrebbe essere una certa apertura (date, concerti, festival, contest) alle band, anche poco note, che vengano da fuori (vedi il Progetto Streetambula di cui siamo co/organizzatori). Ma il pubblico dei piccoli centri è pronto a questa sorta di “rivoluzione”? Sembra piuttosto disposto ad ascoltare solo i propri amici, di là dell’interesse ridotto verso la musica.
Finché i piccoli centri ragioneranno con la logica bigotta e culturalmente ristretta, non ci sarà alcuna rivoluzione. La rivoluzione va stimolata e secondo noi, molti in questa valle (Valle Peligna, provincia de L’Aquila ndr), a partire da chi organizza eventi musicali e si occupa di band emergenti come voi di Rockambula, stanno lavorando bene per creare un circolo virtuoso in tal senso.

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Cambiamo discorso ma non troppo. Perché i musicisti vanno con tanta fatica ad ascoltare i colleghi?
Molti musicisti (non tutti), disertano le serate dei loro colleghi, semplicemente per mancanza di umiltà, attenzione, informazione e forse anche invidia. È una costante fra colleghi, Morrisey ci ha scritto anche una canzone.

Passiamo a voi. La vostra musica è fortemente influenzata dal Post Punk dei Joy Division. Quali altre influenze vi si possono ascoltare?
La nostra musica è influenzata da diversi artisti del passato e del presente. Sicuramente i Joy Division hanno avuto un’influenza importante ma non principale. Prima di loro vorremmo citare Gary Numan, Depeche Mode, New Order, Asylum Party, Pj Harvey e Massive Attack senza dimenticare le forti influenze Punk che arrivano dalla nostra chitarrista Francesca Orsini e in particolare in brani come “Closer”, “Torture” e “The Party’s Over” che speriamo avrete presto la possibilità di ascoltare su disco.

Che progetti avete per scoprire il vostro peculiare sound e renderlo più moderno?
Premesso che oggi parlare di suono vecchio e nuovo risulta un po’ difficile in ambito Indie, vista la varietà e le molteplici combinazioni sonore tra i vari decenni e tra i vari generi, stiamo valutando di “svecchiare” il suono cercando, in fase di registrazione, di applicare con astuzia quelle caratteristiche sonore che possono far risultare il prodotto più moderno e muovendoci all’interno di questo impianto sonoro per mantenere il nostro suono volutamente vintage.

Oltre al limite dovuto dall’ovvia somiglianza con i padri del genere, ho notato che, dal vivo, c’è ancora qualche imprecisione soprattutto in chiave vocale e andrebbe attuata anche una più attenta ricerca melodica. Come pensate di muovervi in tal senso? Credete di dover lavorare ancora anche sulle canzoni ormai già ascoltate live?
Per ciò che riguarda la voce stiamo lavorando continuamente per perfezionare quanto già ascoltato dal vivo. Sicuramente un paio di brani richiedono una maggiore attenzione melodica e rivisitazione da parte nostra, per molti pensiamo che la soluzione attuale sia soddisfacente ma sappiamo che un gruppo deve essere sempre alla ricerca di novità’ e aperto a rivedere le soluzioni già date per stabili se necessario e se rispondono a una reale esigenza dei compositori. Pertanto anche le versioni live che avete ascoltato sono suscettibili di qualche cambiamento in fase di registrazione.

Uno dei modi migliori per superare i propri limiti è distruggere quelli mentali che ci portano ad ascoltare sempre le stesse cose. Per questo credo che per tutti, e ancor più per i musicisti, sia importante ascoltare tanta musica, vecchia e nuova, e sempre molto diversa. Qual è il vostro modo di approcciare alle nuove sonorità, alle nuove band? Chi vi piace tra le nuove proposte italiane e straniere e consigliateci un paio di dischi di questo ormai andato 2013?
È essenziale uscire dagli schemi mentali acquisiti, pertanto ci poniamo sempre con grande interesse all’ascolto di quanto di nuovo viene proposto dal mercato discografico soprattutto indipendente. Del 2013 ci sono piaciuti il nuovo dei Soviet Soviet e degli Arcade Fire senza dimenticare The National ma anche in ambito Pop ci sono molte produzioni di valore.

Sul palco si nota una certa spensieratezza alle chitarre (basso incluso) mentre Fabrizio D’Azzena (voce) mantiene un’aria seriosa, tesa, quasi preoccupata e ansiosa. Studiate attentamente le vostre performance, anche per quanto riguarda l’immagine oppure suonate cosi, come viene?
Sinceramente abbiamo ancora forse poca attenzione per l’immagine globale del gruppo ma ciò’ deriva principalmente dal fatto che per ora non è la priorità e pensiamo che sia la nostra musica a dover trasmettere sensazioni emotive a chi ci ascolta. Indubbiamente il nostro cantante è tipo ansioso ma la sua espressione seriosa è risultato di forte concentrazione e passione.

Per ora non avete nessun album pronto. Tra le varie motivazioni che ci hanno spinto a dare a voi il premio Rockambula c’è: “una delle band di cui ascolteremmo molto volentieri il prossimo disco”.  Ce n’è uno in cantiere?
Attualmente stiamo per entrare in studio per registrare il nostro primo cd; vi diamo qualche anticipazione, si chiamerà Lust e sarà composto di otto o nove brani, sette li avete già ascoltati live e due che stiamo selezionando tra il corposo materiale a nostra a disposizione.

Vi faccio il nostro “in bocca al lupo”.

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Le Top 3 italiane del 2013 dei singoli redattori!

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Silvio “Don” Pizzica
InSonar/Nichelodeon – L’Enfant et le Ménure / Bath Salts
Due creature distinte, una neonata, InSonar, l’altra vecchia conoscenza dell’Avant Prog, Nichelodeon, ruotano entrambe attorno alla figura di Claudio Milano. Uno split composto di quattro cd per due parti. I primi due firmati InSonar sono avvolti in un booklet contenente alcune opere di Marcello Bellina (in arte Berlikete) e quindi mosaici di Arend Wanderlust. Il progetto di Claudio Milano e Marco Tuppo vede la partecipazione di sessantadue musicisti da tutti i continenti. Il terzo e quarto cd, a firma Nichelodeon, vedono un booklet che contiene i dipinti e le poesie visive di Effe Luciani e le foto di Andrea Corbellini. La musica che è contenuta è un tripudio di Rock Sperimentale, Jazz, Progressive, Pop, Cantautorato, Ambient, Psychedelia e tanto altro. Difficile spiegarlo in poche parole.
Deadburger Factory – La Fisica delle Nuvole
Il collettivo work in progress, definito in questa circostanza “factory”, confeziona tre dischi sensazionali, ognuno vivo di una propria essenza, eppure capace di collimare nell’altro con efficacia. Musica sperimentale per gente normale.
Twomonkeys – Psychobabe
I due fratelli bresciani affermano il loro ruolo nel panorama elettronico italiano, rivelandosi come l’alternativa tricolore agli Animal Collective. Il loro è un album che deve tanto alla psichedelia di Panda Bear e soci ma disdegna incursioni nel mondo Indie e Garage Revival e nella sperimentazione matmosiana.

Marco Lavagno

Albedo – Lezioni di Anatomia
Un disco geniale. Ogni brano è un organo del nostro corpo. Indie rock che suona fresco, dinamico, melodico, forte come una voce che risuona nella nostra cassa toracica. Un lento viaggio emotivo dalla testa ai piedi.
Nadar Solo – Diversamente Come?
Potenza e testi generazionali. Il suono della band torinese è senza fronzoli, incredibilmente moderno. Canzoni per sognatori che si schiantano a terra ma non perdono mai il coraggio di sognare ancora. Nulla di più necessario al giorno d’oggi.
Perturbazione – Musica X
E’ stato etichettato, ancora prima di uscire, come il disco “elettronico” di un gruppo che ha sempre integrato le corde (non solo quelle della chitarra) al suo tratto somatico. Max Casacci entra prepotentemente nel sound e lo “perturba” senza snaturare la sua semplicità. Un applauso al coraggio e alle grandi canzoni che questi ragazzi riescono ancora a scrivere dopo 25 anni.

Diana Marinelli
Carmilla e il Segreto dei Ciliegi – Anche Se Altrove
La musica come essenza di infiniti mondi mentali. Anche se Altrove è una porta, un varco che se attraversato porta ad un’esistenza parallela fondamentale per ricominciare un nuovo viaggio, sulle vie e sulle emozioni di una vita già vissuta, forse da cui prendere esempio. Un lavoro molto interessante, studiato e soprattutto vissuto nel tempo.
ILA & The Happy Trees – Believe it
Roba da donne. E se questo significa bel timbro, bella musicalità e bell’intonazione, sia in italiano che in inglese, allora sì, è roba da donne. Tante persone, tanti colori e tante esperienze che si incontrano per un album per certi versi solare, dove protagonisti siamo tutti noi con la voglia di fare tanto e di lavorare per cambiare ciò che ci sta stretto. Una musica che lascia addosso belle sensazioni e belle emozioni.
Bruno Bavota Ensemble – La Casa sulla Luna
Il fascino di una melodia malinconica e di un pianoforte senza tempo, che però il tempo ce l’ha eccome e non solo uno preciso di metronomo ma un tempo di un determinato momento storico musicale, quello minimale/contemporaneo. Un lavoro che impone tanti interrogativi ma che ho rivalutato nel corso del tempo grazie alle sensazioni che lascia addosso. Sensazioni sincere.

Simona Ventrella
Fast Animals and Slow Kids – Hybris
I ragazzacci perugini hanno confezionato un secondo album esplosivo nel quale non mancano talento, energia e passione a tutto gas. Probabilmente quest’album rappresenta per loro un vero salto di qualità, che li ha portati in giro per l’Italia con un lungo tour e li ha fatti conoscere e apprezzare ad un pubblico maggiore.
Appino – Il Testamento
Primo lavoro solista del frontman degli Zen Circus da dieci più, testi profondi e mai banali, cantautorali al punto giusto conditi da un sound deciso, cupo e decisamente Rock.
Green Like July – Build a Fire
Terzo album per il gruppo milanese  che ci offre un lavoro ricco e variegato impreziosito dagli arrangiamenti di Enrico Gabrielli. Una tavolozza di colori e atmosfere che ti catapultano in altrettanti mondi sonori. Il cambiamento rappresenta per questo lavoro il leitmotiv che giuda le nove tracce verso un Pop fresco e moderno.

Riccardo Merolli
Soviet Soviet – Fate
Fate è ipnotico, avvolgente, straniante, di quei dischi in cui perfino le imprecisioni ti sembrano messe ad arte. I Soviet Soviet dimostrano appieno di aver digerito la lezione New Wave e Punk.
Cosmo – Disordine
Immaginate Lucio Battisti catapultato negli anni dieci sopra una DeLorean con tutte le diavolerie tecnologiche di questo periodo storico e l’intenzione di incidere Anima Latina, il risultato sarà un disco terribilmente Elettro Pop.
Albedo – Lezioni di Anatomia
Disco bomba. Arriva dritto dentro lo stomaco, Post Rock emozionale e testi bellissimi. Meritano veramente tanto gli Albedo.

Marco Vittoria
Appino – Il Testamento
Difficile staccarsi dal cordone ombelicale, soprattutto se “la mamma” in questione è un’entità chiamata Zen Circus formata da tre validi musicisti che insieme formano un vero e proprio treno sonoro… Tuttavia Appino esprime a pieno la sua creatività artistica in questo lavoro, suo esordio da solista, non rinnegando il passato ma gettando anche le basi per un nuovo futuro… Mi chiedo quindi… Come suoneranno i nuovi Zen Circus nel 2014?
Gazebo Penguins – Raudo
Il trio emiliano torna ad imporsi come una delle realtà sonore migliori italiane a soli due anni di distanza dal precedente lavoro, “Legna” con una potenza e una grinta senza eguali che si distinguono sin dalla prima traccia “Finito il caffè”, pubblicato anche come singolo in contemporanea all’album. Messaggio per le generazioni di oggi: lasciate perdere gli artisti che emergono dai talent in tv e ascoltatevi un prodotto genuino e vero dell’underground.
Lolaplay – La Città del Niente
Loro ironicamente dicono in una canzone del disco: “non comprate questo disco e non ascoltate i Lolaplay o ucciderete anche voi la buona musica!”. La buona musica è invece tutta qui, sempre in bilico fra il Noise dei Marlene Kuntz, la New Wave anni ottanta e il Rock dei Dandy Warhols… Interessante vero?

Lorenzo Cetrangolo
Ministri – Per un Passato Migliore
Il Rock popolare italiano come dovrebbe essere oggi. Spigoloso e orecchiabile, potente e sentimentale. Una produzione ruvida per un disco da consumare.
Selton – Saudade
Brasiliani trapiantati a Milano, i Selton creano un disco veramente pop, nel senso più alto del termine. Non c’è una nota fuori posto, tutto scorre liscio e comodo, ma senza banalizzare nulla. Una delle migliori band in circolazione.
In Zaire – White Sun Black Sun
L’underground italiano, quello che spacca tutto. Tribali, energici, psichedelici. Un disco strumentale che ti rivolta il cervello come un calzino.

Vincenzo Scillia
Sophia Baccini’s Aradia – Big Red Dragon
Un disco proposto da un artista dalle mille sfaccettature. Particolare su ogni fronte, una ventata di freschezza ed un cavallo di battaglia dell’ etichetta.
Corde Oblique – Per le Strade Ripetute
La musica di Riccardo Prencipe è ormai un manifesto del Sud, di Napoli, dei Campi Flegrei. Questo un lavoro ispirato e sviluppato con tanta passione. Tutto ciò non fa altro che assegnare punti ai Corde Oblique oramai una certezza.
Lili Refrain – Kawax
Kawax di Lili Refrain è un disco sperimentale, atmosferico. E’ un irrefrenabile viaggio mentale accompagnato da colori neri come l’ oscurità, rosso come la passione ed un sinistro verde scuro. Insomma una perla di questo 2013.

Giulia Mariani
Luminal – Amatoriale Italia
Distorti, veloci ed incazzati, con Amatoriale Italia i Luminal hanno fotografato e descritto al meglio lo scempio di quest’Italia marcia, corrotta, bigotta e intrappolata tra luoghi comuni inutili e finti alternativi contornati d’oro. Una botta di adrenalina pura!
Ekat Bork – Veramellious
Di origine russe ma stabilita nella svizzera italiana da una vita, Ekat Bork crea atmosfere elettroniche ispirate ad ambienti naturali come boschi e fiumi, condendo infine il tutto con una voce alla Florence Welch. Un album unico, che si contraddistingue per un’innegabile ricerca sonora, cura dei dettagli ed arrangiamenti complessi che rendono Veramellious un’esperienza d’ascolto dentro e verso un’altro mondo, un mondo fantastico ed etereo.
Miranda – Asylum: Brain Check After Dinner
Il trio fiorentino ritorna dopo quattro anni sfornando un concept album per reclusi e disadattati, tra grida di rivolta, suoni sintetizzati ripetitivi, attitudine punk, e chaos organizzato. Non so, sara’ perchè mi piacciono i piu’ internazionali Atari Teenage Riot, ma il fatto che Asylum: Brain Check After Dinner mi spacchi la testa ogni volta che lo ascolto mi fa impazzire!

Maria Petracca
Umberto Maria Giardini – Ognuno di Noi è un po’ Anticristo
Un viaggio psichedelico all’interno di sé stessi, sottoforma di EP. Severamente vietato a chi ha paura di guardarsi dentro fino in fondo, a chi non ha il coraggio di scoprire che non siamo né Santi né Eroi, come amiamo dipingerci. Perché c’è del bello e del brutto in ognuno di noi. In fondo, “Ognuno di Noi è un po’ Anticristo.
Dimartino – Non Vengo più Mamma
Anche in questo caso di EP si tratta. Chi aveva ancora dubbi sulle capacità cantautorati di Dimartino, con questo disco vedrà svanire ogni forma d’ incertezza. In più avrà modo di stupirsi di fronte ad un lavoro ricco di sperimentazioni: elettronica e cantautorato che vanno a braccetto per strada. A mio parere un esperimento riuscito. Fortunato chi ha potuto goderselo anche in versione live.
Perturbazione – Musica X
Ancora un sound più elettronico rispetto a quello dei dischi precedenti, ancora un esperimento riuscito per chi, da anni, propone una forma di Pop Rock d’autore capace di affrontare in modo leggero, ma mai banale, le varie tematiche legate alla vita quotidiana (e allo scazzo che irrimediabilmente ne deriva) e non solo. Nel 2014 avremo modo di ascoltarli anche a Sanremo.

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Le classifiche di fine anno di Silvio “Don” Pizzica

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2013

Doverosa premessa. Tutti gli album citati sono stati ascoltati almeno una volta per intero. Ovviamente ci saranno certamente album più affascinanti o più disgustosi di quelli citati ma purtroppo o per fortuna non li ho ancora ascoltati. Inoltre è doveroso avvertirvi che ogni classifica, per quanto possa, come nel mio caso, cercare di utilizzare parametri di valutazione più oggettivi possibile sarà sempre legata alla soggettività di chi la scrive. Dunque, prendete l’articolo non molto più che come un gioco e al massimo anche come un modo per scoprire qualche disco interessante che magari non vi è ancora passato tra le mani. Eccovi la Top 30, la Flop 10 e qualche speciale “award”.

Top 30

  1. InSonar / Nichelodeon – L’Enfant et Le Ménure / Bath Salts  (Avantgarde)
  2. These New Puritans – Field of Reeds  (Art Rock)
  3. Arcade Fire – Reflektor  (Alternative Dance/Rock)
  4. Fuck Buttons – Slow Focus  (Electronic, Neo Psychedelia)
  5. Bvdub & Loscil – Erebus  (Ambient)
  6. Everything Everything – Arc  (Art Pop)
  7. Tripwires – Spacehopper  (Brit Pop, Shoegaze)
  8. KK Null, Israel Martinez, Lumen Lab – Incognita  (Noise Drone)
  9. Stara Rzeka – Cień Chmury Nad Ukrytym Polem  (Drone)
  10. Tim Hecker – Virgins  (Ambient Drone)
  11. Julia Holter – Loud City Song  (Art Pop)
  12. Eluvium – Nightmare Ending  (Modern Classical)
  13. The Knife – Shaking the Habitual  (Electronic)
  14. Ventura – Ultima Necat  (Post Hardcore)
  15. Dennis Johnson – November (R. Andrew Lee)  (Minimalism)
  16. Oblivians – Desperation  (Garage Punk)
  17. Sigur Rós – Kveikur  (Post Rock)
  18. Vampire Weekend – Modern Vampires of the City  (Alt Pop)
  19. My Bloody Valentine – m b v  (Shoegaze)
  20. The Drones – I See Seaweed  (Punk Blues)
  21. Anna Calvi – One Breath  (Art Rock)
  22. Deadburger Factory – La Fisica delle Nuvole  (Avantgarde)
  23. Live Footage – Doyers  (Dream Pop)
  24. Vàli – Skogslandskap  (Dark Folk)
  25. Twomonkeys – Psychobabe  (Electronic)
  26. Autechre – Exai  (IDM)
  27. Mark Kozelek & Jimmy LaValle – Perils From the Sea  (Slowcore)
  28. The National – Trouble Will Find Me  (Alt Rock)
  29. Powerdove – Do You Burn?  (Experimental Rock)
  30. Trupa Trupa – ++  (Alt Rock)

Flop 10

  1. La Tosse Grassa – Tg3
  2. The Blood Arm – Infinite Nights
  3. L’Officina Della Camomilla – Senontipiacefalostesso
  4. Inigo & Grigiolimpido – Controindicazioni
  5. I Cani – Glamour
  6. Reveille – Broken Machines
  7. Blevin Blectum – Emblem Album
  8. Midas Fall – Fluorescent Lights
  9. Fates Warning – Darkness in a Different Light
  10. Macelleria Mobile Di Mezzanotte – Black Lake Confidence

Top 10 Italia

  1. InSonar / Nichelodeon – L’Enfant et Le Ménure / Bath Salts
  2. Deadburger Factory – La Fisica delle Nuvole
  3. Twomonkeys – Psycho Babe
  4. OvO – Abisso
  5. Massimo Volume – Aspettando i Barbari
  6. Electric Sarajevo – Madrigals
  7. Borghese – L’Educazione delle Rockstar
  8. Aedi – Ha Ta Ka Pa
  9. Faz Waltz – Back On Mondo
  10. NaNa Bang! – NaNa Bang!

Miglior artista maschile

Brock Van Wey (bvdud)
Kazuyuki Kishino (KK Null)
K. [Jakub Ziołek aka Kuba Ziołek] (Stara Rzeka)

Miglior artista femminile

Julia Holter
Anna Calvi
Alela Diane

Migliore Ristampa

The Colla – Ad Ovest di Paperino
Monuments – Age
Pavlov’s Dog – Pampered Menial

Miglior Album Pop/Rock, Shoegaze, Dream Pop e simili

Arcade Fire – Reflektor
Everything Everything – Arc
Tripwires – Spacehopper

Miglior Album Garage, Noise Rock, Punk e simili

Ventura – Ultima Necat
Oblivians – Desperation
The Drones – I See Seawed

Miglior Album Sperimentale, Art Rock, Avantgarde, Ambient e simili

InSonar / Nichelodeon – L’Enfant et Le Ménure / Bath Salts
These New Puritans – Field of Reeds
Bvdub & Loscil – Erebus

Miglior Album Elettronica, Synth Pop, House, Dance, Dubstep, ecc…

Fuck Buttons – Slow Focus
The Knife – Shaking the Habitual
Twomonkeys – Psycho Babe

Miglior Esordio

Tripwires – Spacehopper
Stara Rzeka – Cień Chmury Nad Ukrytym Polem
Twomonkeys – Psycho Babe

Miglior Album Straniero (non britannico)

KK Null, Israel Martinez, Lumen Lab – Incognita   Giappone/Messico
Stara Rzeka – Cień Chmury Nad Ukrytym Polem   Polonia
Ventura – Ultima Necat  Svizzera

Miglior Album Live

Mount Eerie – Live in Bloomington, September 30th, 2011

Migliore Raccolta

Subterfuge – Reflect < < Rewind

Migliore Album Remix

Father Murphy – Anyway, Your Children Will Deny It (Remix Series)

Miglior Compilation

DJ Sprinkles – Queerifications & Ruins

Miglior Compilation Aa. Vv.

Aa. Vv. – Tutto da Rifare, un Omaggio ai Fluxus

POLLICE VERSO (GIU’) Delusione non implica brutto disco ma solo sotto le mie aspettative

Le delusioni italiane

Macelleria Mobile Di Mezzanotte – Black Lake Confidence
Diaframma – Preso nel Vortice
Bachi da Pietra – Quintale

Le delusioni straniere

AGF – Source Voice
Murcof & Philippe Petit – First Chapter
Tomahawk– Oddfellows

Buone feste a tutti!!!

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Afformance – The Place

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Già dalle note che spalancano questo nuovo Ep targato Afformance è manifesto come la loro musica riesca a suonare rigorosamente senza tempo. Nelle peculiarità nostalgiche di un piano che produce una vibrazione svogliata sullo sfondo di rumoristiche ambientazioni lisergiche oscure, quasi extraterrestri, è facile scorgere le pieghe del tempo che svelano una necessità d’immediatezza, di contemporaneità connaturata alla natura umana. Le arie che aprono “Dough Claws” paiono la commistione di suoni che affollano la stanza che ospita lo stargate aperto su un mondo antico, dal quale la musica scivola via come per scappare.

Solo con l’incedere cadenzato di “Stride” e poi con “Covered in Scales” entra in scena un Rock concreto, strumentale, vagamente cosmico e psichedelico, dalla struttura più precisamente tracciata, che richiama gli stilemi e i cliché del Post Rock più classico, evitando le esemplarità matematiche eccedenti degli Slint, prediligendo strade eteree come quelle battute dai Mogwai nei momenti più Film Score. La sperimentazione è ridotta all’osso tanto che la musica si dondola teneramente tra Ambient, sogno e l’asprezza di qualche accelerata nebulosamente metallica. Nel finale si mostra un ponte che ricorda un brano dei ben meno noti ma non per questo meno talentuosi Suricates, somiglianza che si ferma quasi compiutamente alla parte iniziale del pezzo e che fa sorridere per quanto probabilmente solo frutto della coincidenza ma che avrebbe provocato scalpore se notata in due band più mainstream. Il brano, per quanto ripetitivo e poco articolato, è anche il più interessante, il più trascinante; la musica cresce in maniera impetuosa, le chitarre si accavallano in modo maniacale, ora rallentando ora accelerando evocando un’esplosione sonica che mai finisce per compiersi.

Come dico spesso, il Post-Rock, passatemi la definizione come genere nonostante la vaghezza, è un modo di fare Rock tanto passato quanto affascinante, che, se fatto con cura distoglie l’attenzione dall’eccessiva riproposizione di se stesso. Questo è esattamente il caso di un Ep Post-Rock creato con dedizione, che non suona remoto pur proponendo qualcosa di vecchissimo, ormai superato. I pezzi, specie “Narcoleptic”, avrebbero potuto essere di più se si fosse lavorato con maggior attenzione a fornire loro una densità costitutiva diversa dal solito. La scelta della band greca è stata invece quella di lasciare i lavori secchi, scheletrici e il risultato è un buon Ep Post-Rock, di quelli che magari non riascolteremo mai più, anche se ora, proprio ora, ci ha fatto più che piacere origliare.

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Niton – Niton

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Ci ho provato in tutti i modi, ho messo su le cuffie, l’ho piazzato nello stereo dell’auto gironzolando di notte per le strade che fiancheggiano le campagne, l’ho fatto scorrere tra le pareti della mia stanza mentre mi distraevo con un romanzo sulla Colonia medioevale, l’ho usato come sottofondo per un momento di riposo e testa vuota. Ho cercato in tutti i modi di far smuovere le mie emozioni da questo omonimo dei Niton ma poco è successo, poco più del normale defluire della mia vita. Eppure il fragore che ha dato il via a tutto pareva potermi spostare da un certo assopimento emotivo nel quale mi sento rovinare negli ultimi tempi ma niente di ciò che auspicavo è poi capitato. Andiamo con ordine.  Niton è la testimonianza di un confronto fra tre musicisti che suonano congiuntamente lasciandosi sopraffare dagli accadimenti, una sorta di jam session d’avanguardia non inquinata da alcun tipo di elaborazione di post produzione. Il risultato di questa commistione di stili personali, d’improvvisazione, di estemporaneità e naturalezza, di archi classici che volteggiano in incubi sonici con tastiere digitali e arnesi che divengono musica è un agglomerato di Ambient, Noise ed Electronic Music sperimentale.

Le menti genialoidi (?!) che stanno dietro a questo progetto sono di Xelius ed El Txyque. La materia della loro proposta è chiamata Drone Nights. Si tratta di ostentazioni dal vivo di musica intuitiva che si dipanano in luoghi sempre differenti. Il pubblico compartecipa con ascetismo, contemplazione quasi religiosa e abbandono pungolando il trio alla creazione attraverso flussi di energia. La scelta della strumentazione è libera e varia di volta in volta interessando artisti ospiti. Nell’occasione del 3 ottobre 2013 (da cui quest’album) presso le Officine Creative di Barasso (Varese) l’ invitato è stato Zeno Gabaglio, sistematosi tra Xelius ed El Toxyque senza alcun accordo schematico, planning o consultazione a proposito della musica che si sarebbe andati a scandire. Tutto deve essere partorito come frutto imprevedibile dell’interazione ricettiva di ciascuno, spettatori compresi. Come potete immaginare il risultato è un mix di droni e rumori di sottofondo (palese l’influenza di Cage), senza alcuna struttura precisa e una strumentazione più tradizionale che prova soltanto a dare una parvenza di classicismo alla musica che in realtà galleggia in una ricercata deformità sostanziale. Innegabilmente s’intuisce che la partecipazione attiva/passiva come pubblico a uno spettacolo del genere debba rivelarsi esperienza unica, quasi mistica e capace di rivelare una profondità dell’arte per eccellenza altrimenti impossibile da scovare nelle sue forme più banali. È anche vero però che, se il risultato è inciso su un supporto fisso, la possibilità di rendere pienamente l’idea di viaggio nel silenzio, nel se, nella meditazione, è ridotta. E, infatti, accade solo parzialmente, perché per gran parte dei quasi trentanove minuti di Niton, l’orecchio tende a tediarsi, distrarsi o lasciar scivolare le note lungo la sua pelle impenetrabile.

Tre artisti eccelsi, un progetto validissimo con enormi potenzialità, un’idea sostanziale assolutamente affascinante ed entusiasmante e uno spettacolo che non mi vorrei perdere per nessun motivo al mondo. Questo c’è dietro il self titled dei Niton. Quello che ascoltate nelle casse mentre gira il cd è solo un’immagine sgranata di quello che deve essere, solo una foto scattata con un pessimo cellulare di un paesaggio che immagino essere paradisiaco, celestiale come un sogno.

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She Owl – She Owl

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Come nella migliore tradizione Neo Folk occidentale (non poteva essere altrimenti) nell’esordio della polistrumentista e cantastorie Jolanda Moletta con la band She Owl e il loro disco omonimo, tanto spazio è lasciato al simbolismo, al mistero della natura, al romanticismo e all’occultismo. Già nel nome scelto, l’indicazione di un animale come il gufo non fa altro che gonfiare di allegorie la sua opera. Animale enigmatico e dalla simbologia ambigua, il gufo è stato considerato negli anni emblema di oscurità, malaugurio e morte ma allo stesso tempo di chiaroveggenza e comprensione. Nel simbolismo celtico la dea della natura Gyffes aveva la sua forma ma il gufo connoterebbe anche il passaggio dalla vita alla morte, in altre parole una guida per gli uomini nei periodi di cambiamento oltre a essere depositaria di molta e antica saggezza. Nell’opera è la stessa Jolanda Moletta a prendere le sembianze della creatura, generando un legame simbiotico con la natura, gli alberi e tutti gli esseri viventi che affollano il bosco e instaurando con essa un dialogo pieno di magia. Per rendere al meglio questa necessità compositiva, la band si è affidata a diversi musicisti della Bay Area (Jolanda Moletta vive e lavora tra l’Europa e San Francisco) oltre che a Dave Mihaly, batterista della songwriter texana Jolie Holland e il risultato è una tracklist di dieci pezzi che suonano splendidamente come il rumore che accompagna una fiaba che scivola nel vento tra le fronde.

Pur essendo presente una strumentazione variegata (nel live la stessa artista suona tastiere, chitarra, autoharp, kalimba e percussioni) le canzoni scivolano via con naturalezza, attraverso una spina dorsale nervosa fatta di piano e voce. Quest’ultima non spicca per qualità, intensità, e neanche per una timbrica particolarmente originale eppure riesce a vibrare perfetta dentro le note, nella sua cupezza, nei suoi sospiri e negli acuti intensi. La sezione ritmica è essenziale, martellante ma non specificatamente marziale e si limita a esaltare la portata emotiva della voce. Discorso simile per il piano che però alterna momenti più enfatici con altri d’atmosfera. Tutto questo genera una proposta precisa eppure variegata e differenziata con cura, tra Vocal Jazz in stile Ella Fitzgerald o Nina Simone (“Hide and Seek”) però con uno spirito da Patti Smith, rimandi quasi gotici di memoria Siouxie e un Pop da camera degno del Michael Andrews di Donnie Darko (“December”). Una sorta di Nico (“Nightingale”) in chiave più vitale e moderna, tra l’Art Pop etereo di Bat For Lashes (“Fisherman Queen”) e il Dark Cabaret dei Dresden Dolls (“Over The Bones”, “December”, “Belong”) anche per una certa similitudine vocale con Amanda Palmer.

Un disco denso di ottime canzoni, con un obiettivo preciso, un’inequivocabile necessità espressiva che forse pecca, non tanto (o non soltanto) per la scarsissima originalità ma piuttosto per una certa piattezza sonora. Questo sia nella parte strumentale (del resto penso che sia lecito aspettarsi di più da artisti che suonino tastiere, chitarre, autoharp, kalimba e percussioni) e sia nella vocalità, che, in quanto a timbro non eccelle anzi pare arrancare forse per l’eccessiva necessità di toccare le note più evocative che la musica richieda; ma anche in quanto a composizione pura che si dimostra poco coraggiosa e convenzionalmente sempre a metà tra la vivacità, la gioia, la spensieratezza e l’angoscia, la tristezza, la decadenza. She-Owl è stato un ottimo modo per passare qualche ora del mio tempo ma difficilmente andrà a custodirsi in uno dei cassetti della mia memoria.

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Rockambula manda in studio gli Alaf.

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acmealafart

Vi farei la promessa di non ripetervi più cosa sia Streetambula ma non posso. Posso però farla più breve possibile. Semplicemente si tratta del braccio di Rockambula, quello che muove le sue pedine sul territorio, organizza eventi, contest, aiuta le band emergenti a sfruttare tutte le occasioni che potrebbero presentarsi, le sostiene cercando di tenerle nel cuore della scena e mettendo tutti in relazioni, i soggetti interessati a una nuova rinascita culturale musicale del paese, dalle terre nelle quali Rockambula ha sede. Un modo per mettere insieme tante realtà che operano tutte per lo stesso scopo. Come dice Davide Rosati, che tra pochissimo conoscerete bene, “Streetambula è l’evoluzione naturale di un percorso fatto in più di dieci anni dall’underground della nostra zona”.

Lo scorso 31 agosto si è tenuto il primo grande contest/festival a marchio Streetambula e a vincere (anche se, come rileva lo stesso Rosati, “Al di là della competizione in quella serata ha vinto la Musica”) sono stati i De Rapage, i quali hanno scelto come primo premio un servizio fotografico offerto da Giuseppe Zaccardi. In realtà, anche se tutti i premi in palio (otto per otto band) sono stati scelti per essere d’aiuto alle formazioni in gara, come dice Francesco Bernabei degli Alaf: “A caval donato non si guarda in bocca…tutti i premi erano validi, anzi validissimi. Una registrazione di un brano poi, è il massimo!”), il premio principale era quello offerto da Streetambula e dagli Studi Acme Recordings di Raiano (AQ). Molto semplicemente, lo stesso consiste nella registrazione di un singolo presso gli stessi studi e comprende alloggio e un’attenta e costante partecipazione di Davide Rosati (la mente degli studi) alla realizzazione del prodotto, dal primo momento in cui la band avrebbe messo piede nelle stanze dell’Acme, fino a quando sarebbe andata via, col singolo in mano. E forse anche oltre.

Ad aggiudicarsi quello che era il premio più ambito per ogni band desiderosa di crescere e ricca di ambizione sono stati i ragazzi de À L’Aube Fluorescente e noi tutti ne siamo felicissimi perché dopo aver regalato una performance da brividi sul palco di Streetambula, hanno visto sfuggire il primo premio solo per un cavillo del regolamento che li ha visti secondi nonostante il pari merito sostanziale nel punteggio. Felice doppiamente anche Davide Rosati: “Vedi, sono tanti anni che metto a disposizione un po’ del mio tempo in studio a favore di concorsi più o meno grandi, l’idea di “catturare” nuove band attraverso questo metodo mi ha sempre stimolato e portato buoni risultati stavolta però, a vincere è stata una band con la quale avevo già lavorato e questa nuova esperienza insieme ha fatto si che si consolidassero i legami e si aprissero nuovi orizzonti”.

A distanza di qualche mese è giunta l’ora per Paride, Jacopo, Francesco e Alberto di entrare in studio e noi di Rockambula non potevano non andare a vedere quello che hanno combinato. Ad accoglierci c’è una struttura non solo attrezzatissima ma che trasuda musica e speranza da ogni poro, da ogni demo appoggiato alla scrivania, da ogni angolo del mixer. A farci entrare non è solo “uno che con la musica lavora” ma una persona che la Musica la ama e sa come aiutare i musicisti; questo rende gli studi Acme diversi dagli altri. “Collaboro con diverse Etichette indipendenti alle quali propongo tutti i progetti interessanti che mi passano in Studio, spesso sono loro ad affidarmi la produzione artistica delle loro Band, forse questo è quello che mi contraddistingue dagli studi dove si fa semplicemente “Play/Rec” (ndr v’invito a visitare il sito per avere maggiori dettagli www.acmerecording.it)”.

Tutto questo non è mancato neanche nella registrazione del singolo con À L’Aube Fluorescente: “Quando mi piace un progetto (e gli À L’Aube Fluorescente sono molto interessanti) cerco di fondermi con gli elementi della band; i ragazzi sono arrivati con le idee chiare in studio ma a me non piace limitarmi ad avere l’ultima parola sulla scelta dei suoni e degli strumenti ma anche e sopratutto sugli arrangiamenti finali; con loro è stato così al nostro primo incontro, una demo registrata qualche mese fa’ e stavolta non è stato diverso. Devo dire che io e Jacopo Santilli in questa sessione ci siamo davvero sbizzarriti con le voci”. E del resto non solo il sound della band è tra i più interessanti del panorama alternativo emergente locale ma spettacolare è anche la vocalità del frontman, Jacopo Santilli, difficile da accostare a grandi nomi del passato proprio perché gonfia di una personalità straripante. Un sound che si rifà alla scena underground statunitense anni 90 ma che non si pone limiti, come ci hanno dimostrato anche nell’ultima esibizione live (organizzata proprio da Streetambula) che li ha visti protagonisti di un concerto in acustico pieno di Spoken Word che ha rivelato l’anima artistica della loro musica. Ovviamente anche la band si è dimostrata soddisfatta: “Davide è un vero professionista, eravamo già stati nel suo studio a maggio 2013 per registrare il nostro primo demo “Soar”. Siamo stati felici di esser “dovuti” tornare da lui, in quanto è nata da subito un’affinità. Il brano registrato è “Gloom”, una vera bomba! Lo ascolterete a breve. Davide, con la sua esperienza, riesce a far emergere la parte migliore di ogni band, sa dar vita a una forma che comunque è già ben definita, dire che è stato all’altezza è riduttivo”. E a proposito del brano, noi lo abbiamo ascoltato nella sua versione (quasi) definitiva e confermiamo che è proprio una bomba. E su questo ci giochiamo tutta la nostra credibilità. Quando ascolterete, magari scriveteci il contrario, se ne avete il coraggio.

Dove andrà Streetambula, dove andrà l’Acme e dove gli Alaf lo dirà solo il tempo. “Se i ragazzi di Streetambula saranno soddisfatti del mio lavoro, sarò felicissimo di accettare nuove e più ampie collaborazioni future. Con gli À L’Aube Fluorescente ci sarà sicuramente un futuro insieme, per ora non vorrei sbilanciarmi troppo ma, se avete capito come lavoro vi sarà chiaro che per questa band è solo l’inizio di un cammino che stiamo pianificando insieme, sono sicuro che il 2014 porterà tante novità”.

Non vi resta che lasciarvi con le parole dei protagonisti, che ci riempiono di orgoglio: ”Abbiamo creduto fin da subito nel progetto Streetambula, e continueremo a farlo.” Firmato À L’Aube Fluorescente.

Versione live @Streetambula del brano scelto per il singolo

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White Mosquito – Il Potere e la sua Signora

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La seconda prova dei genovesi White Mosquito si apre (“Candido”) con esigue note spirituali, tenui, estatiche che lasciano presagire ambientazioni cosmiche e psichedeliche molto retrò, ma già con l’ingresso autoritario (“Solite Parole”) di sezione ritmica, voce e taglienti sferzate elettriche sono messi sul piatto ingredienti acidi e possenti anch’essi molto stagionati ma con uno spirito certo più battagliero di una semplice lisergia introspettiva. Sia nei testi, sia in timbrica e impostazione la voce di Sergio Antonazzo si mostra in tutta la sua aitante bellezza che permette di varcare confini dell’irriverenza beffarda, molto teatralmente Progressive, ma anche di sterzare insolentemente verso territori più aspri, indemoniati e rabbiosi. L’opening track, esclusa l’intro, è un sensazionale manifesto per la band, che racchiude in poco più di cinque minuti tutta una serie di prerogative e caratteristiche che poi contraddistingueranno tutta l’opera.

L’ascolto di questo Il Potere e la sua Signora è anche la chiave di lettura per comprendere pienamente il perché, dopo l’Ep d’esordio 20 Grammi, i White Mosquito abbiano potuto aprire una delle date live dei Deep Purple. Proprio la band di Ian Gillan pare uno dei punti di riferimento più evidenti ma non mancano certo paragoni sia con l’Hard Rock tendente al Folk/Blues con sottigliezze in stile Led Zeppelin (“Dimmi”) e sia con quello più robusto alla maniera degli australiani Ac/Dc (“Demone”). Eppure anche la tradizione italiana più datata di scuola Litfiba (“Forme”, “Non Smetto”) come la più attuale aperta dagli Afterhours (“Stato Confusionale”) è omaggiata in quanto a stile e forma espressiva e la stessa scelta di accompagnare con la lingua nostrana un sound tanto anglosassone è sintomo della necessità per i liguri di legarsi alla propria terra, in qualche modo cantandone le contaminazioni, la storia e il presente.

Quella lisergia e quelle ritmiche ripetitive che paiono elevare un muro sonico nello stile dei Pink Floyd più istrionici si ripresentano con la traccia numero quattro (“Manifesto”) nella quale, oltretutto, la vocalità di Antonazzo può sbizzarrirsi scivolando di volta in volta in meandri poetici e colleriche sfuriate che si chiudono con un inquietante fischiettio che richiama un noto motivo che non vi svelo, anzi vi sfido a riconoscere. Un intermezzo giocoso (“Anche Qst è Rocchenroll”) dalla difficile interpretazione apre la parte finale del disco che talvolta (“In Faccia”) nasconde delle miscele tra un moderno Alt Rock e un più classico Progressive, racchiudendo delle infinite possibilità per un genere forse messo nel cassetto con troppa solerzia. Se “Le Solite Parole” suona come un programma che evidenzi le qualità di Il Potere e la sua Signora, al contrario “Nuvola” ne mostra i limiti. I White Mosquito azzardano un testo aggressivo che sfocia nell’inverosimile, propongono un’effettistica e cenni di sperimentazione che restano solo degli abbozzi di qualcosa che sarebbe potuto essere, ma non è. Caricano le materie di veleno ma non riescono a suonare con la stessa veemenza, forse troppo attenti a non oltrepassare i limiti.

Un album di pregevole fattura quanto ad esecuzione e pieno anche di buone idee. Un disco che, per quanto peschi a piene mani dal passato, riesce a non suonare vecchio lasciando intravedere alcuni spunti potenzialmente affascinanti. I White Mosquito scelgono la strada più difficile per non apparire obsoleti, la strada più difficile per suonare originali e per farsi apprezzare dai più giovani ma dimostrano anche di avere i mezzi per scavare nuove vie di fuga dagli anni andati. Magari iniziando dalla stupefacente, per versatilità, voce di Sergio Antonazzo. Per quanto di pregio palese non avremmo avuto bisogno di un album come Il Potere e la sua Signora ma potremmo avere bisogno di band come i White Mosquito.

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Blevin Blectum – Emblem Album

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È da tempo che ci ribadiscono che il futuro del Rock è nell’Elettronica e qualcuno ci aveva pure creduto. A distanza di tredici anni da Kid A già cominciano a fare dietrofront in tanti e il futuro del Rock diventa, di volta in volta, “il vintage”, “la riscoperta degli anni 80”, “il revival Rock’n Roll”, “la sperimentazione cinese”, “gli Arcade Fire”, “la Dubstep”, “il Pop”, “il Blues Rock classico”, “il Lo-Fi”, “il Minimalismo”. Sono passati quarantacinque anni dall’omonimo album dei Silver Apples e a quanto ho inteso l’Elettronica non è mai stato il futuro ma solo uno dei tanti mezzi con i quali il Rock si è confrontato e allo stesso tempo una realtà a sé stante, disgiunta dalle dinamiche di mercato e dalle tensioni emotive del Rock. L’Elettronica è un mondo a parte nel quale, di tanto in tanto, i protagonisti della scena Rock si inabissano per cercare nuove vie d’ispirazione (vedi Reflektor). Il futuro è la contaminazione e la distruzione delle classificazioni. Forse e forse lo sottoscrivo ma forse farò dietrofront anch’io, un giorno.

Tuttavia, c’è chi sembra calarsi perfettamente in questo ruolo dell’Electronic Music di secondo interlocutore e prosegue per la sua strada cercando non di scoprire come sostituire corde e pelli nelle nostre orecchie ma come spalancare nuovi varchi stilistici per un settore che ha ancora tanto da dire. Una di loro, di questi neo romantici dell’astrattismo musicale, si chiama Blevin Blectum (voce in A Chance to Cut Is a Chance to Cure e The Civil War, entrambi album degli straordinari Matmos) e da fine millennio cerca una formula ideale miscelando sostanze, spesso con scarsi o modesti risultati, ma che, nelle ultime cose, pareva aver trovato l’ingrediente segreto mancante.

Anche questa volta, giunta al quinto album solista, Blevin Blectum edifica tutto un mondo sonoro (con un utilizzo minimo delle parole) che regge su strutture artificiali ben delineate procedendo lungo la scia di Gular Flutter, album del 2008 nel quale l’artista sembrava essere riuscita a indovinare e rendere a pieno il senso della sua proposta. In apertura scoviamo le due parti di “Cromis” le quali, nella loro semplicità, figurano come l’inizio esemplare di una tanto attesa risposta a chi chiedesse all’Elettronica di cambiare il suo ruolo. Ritmiche e suoni scomposti ma ossessivi fanno da contraltare a una vocalità destrutturata ma puntuale. Manca una melodia precisa eppure le ritmiche poggiano su solide basi tanto da rendere il brano orecchiabile nella sua sventatezza. Ben presto però il sound si altera, perde consistenza, diventa un’accozzaglia neanche troppo articolata di suoni (“Nanofancier”) elettronici alternati in maniera metodica su uno sfondo di illusorio caos che richiama in maniera netta lo stile dei Matmos (“Deathrattlesnake”) ma non riesce a eguagliarne l’intelligenza e la complessità sostanziale. Poche cose, non troppo interessanti e mescolate maldestramente e una delusione evidente in chi, come me, si apprestava ad ascoltare un gioiello, dopo Gular Flutter e dopo l’ascolto dell’opening track. Mi attendevo una strada piena di ritmiche incalzanti, di voci straniate e stranianti, di suoni compositi, variegati e cangianti e per quasi cinquanta minuti subisco un attacco furioso da un quasi nulla sonico buono solo ad annoiarmi senza neanche riuscire a farmi addormentare.

Emblem Album è un passo indietro per Blevin Blectum, greve e in parte inatteso ma è solo un insignificante passaggio a vuoto per il mondo dell’elettronica intelligente che forse non sarà il futuro del Rock, ma di certo ne ha uno tutto suo, pieno di accecanti colori al neon.

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Connect-icut – Crows & Kittiwakes & Come Again

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L’uomo che si annida dietro lo pseudonimo Connect-icut altri non è che un produttore di musica elettronica di Vancouver, non nuovo ai cultori del genere più attenti alle uscite del sottobosco underground e poco devoti alle facilonerie del mainstream. L’artista canadese è una new entry in casa Rev Laboratories ma non è in ogni caso un esordiente, avendo già pubblicato, per vie diverse, Moss del 2005, poi LA (An Apology), They Showed Me the Secret Beaches e Fourier’s Algorithm, quest’ultimo tre anni fa. Se, come abbozzato, non è certo il pubblico ad aver sancito il successo di Connect-icut, non sono mancate lodi da parte del mondo Alternative, su tutte quelle di Thurston Moore dei Sonic Youth.

Cosa c’entra un produttore/compositore di musica elettronica con le guide spirituali del Noise Rock è presto detto. Se il punto di partenza e lo scheletro che poi sostengono tutto l’impianto sonico di Crows & Kittiwakes & Come Again è il Glitch, a metà tra Fennesz, Murcof e soprattutto Oval (“Imperial Alabaster”, “Port Shale”), queste deformità tecniche del suono sono talvolta esasperate in chiave rumoristica, quasi Noise appunto, ma con una naturalezza irreale, del tipo che, nel corso degli anni, abbiamo apprezzato ad esempio nello Shoegaze, specie strumentale, dei My Bloody Valentine (“Fading Twice”). Una mistura di brividi elettrici, rumore, vibrazioni, martellamenti, esplosioni soffuse che invece di plasmare suggestioni industriali e apocalittiche concepiscono un flusso naturale, suonando con la stessa genuinità dell’esistenza. Rumore ed elettricità che divengono sinonimo di paradisiache atmosfere eteree.

Certamente non scarseggiano passaggi di Minimal Synth e Ambient (“Carrion Pecking”) densi di tenebre, foschi, inquietanti, che tuttavia non fanno altro che dare ancor più vitalità all’opera, come fossero il fianco oscuro dell’esistenza, orribile ma inevitabile, e, allo stesso modo, Connect-icut utilizza gli strumenti della Drone Music (“Pratice Rot”) per squarciare l’impianto emozionale tirato su dall’ascolto della prima parte del disco. Tutti gli ingredienti sottolineati non devono tuttavia essere intesi come spaccature nette tra i brani, in quanto ogni materia che da forma alle canzoni è presente in ognuna di esse anche se in modo diverso, con difforme intensità. Ciascuno dei sei brani, compreso il conclusivo minimale “Again Now (For Matt)”, esalta l’impianto Glitch, le atmosfere Ambient e le pulsioni Noise, evocando apparati scenici irreali ed estatici su orizzonti neri e da incubo. Non c’è mai, in nessun momento di Crows & Kittiwakes & Come Again una precisa linea di demarcazione tra quello che è il bene, evocato dalle note più solerti, e quello che è il male ma tutto si confonde, si miscela, ora smascherandosi ora celandosi in una sonora ed estatica trasposizione occidentale dello yin e yang.

Un album inappuntabile per chi volesse immergersi totalmente nel fluire della propria coscienza, per chi cerca strumenti leciti e sani per valicare le barriere dei sensi. Un album ineguagliabile per chi volesse cimentarsi a dovere con un’elettronica da ascolto di spessore, ma non è mai riuscito ad andare in fondo ad un lavoro del precettore Oval o si annoia dopo cinque minuti di droni ronzanti nella testa. Un disco perfetto per iniziare ad ascoltare musica elettronica di qualità senza il timore di dover abbandonare per manifesta incapacità di ascolto.

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Midas Fall – Fluorescent Lights

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Non sono proprio tra i più accaniti ammiratori dell’arte canora pura. Certo, non resto impassibile all’ascolto di esecutori capaci e incantevoli e ammetto che taluni timbri mi hanno fanno innamorare in un passato remoto ma anche, con meno enfasi, negli ultimi mesi. Il mio approccio alla musica non eleva la voce rispetto agli altri interpreti o meglio valuta in base al peso che la stessa ha all’interno delle canzoni e mi rende capace di apprezzare non solo e necessariamente tecnica e timbrica ma anche intensità emotiva, assonanza con il brano, rispetto degli obiettivi sostanziali ed emozionali. È questo modo di ascoltare che mi permette di seguire voci tanto distanti con la stessa gioia, con lo stesso entusiasmo, consapevole delle differenze di peso che le qualità canore dei diversi artisti possono avere nelle opere.

È per questo che riesco a sognare ascoltando Tim Buckley e piangere sotto le note sbilenche di Daniel Johnston; ed è per questo che non resto affascinato dai tre pezzi che compongono l’Ep Fluorescent Lights dei Midas Fall, che segue il secondo album Wilderness. Un lavoro che si presenta come Alt Post Progressive ma, nella realtà, si riduce a un esercizio di stile per i Midas Fall tutti e per la vocalist Elizabeth Heaton soprattutto. La musica non mostra alcuna variante rispetto alla proposta passata della band britannica, con qualche chitarra velatamente sferzante che si staglia su una sezione ritmica martellante e cenni di piano enfatici e il tutto si mette al servizio della voce della Heaton la quale certo non mancherà di trovare l’apprezzamento degli appassionati ma non entusiasma me per l’eccessiva banalità timbrica e una linearità e un’omologazione che non nobilitano le sue strofe rispetto a una qualsiasi interprete Pop, anche di casa nostra. Un Ep Rock come potrebbe esserlo quello di una cantante Pop italiana come Elisa, che si gioca il suo all in puntando quasi esclusivamente sulla voce ma torna a casa con le tasche vuote e qualche gadget di consolazione.

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