Silvio Don Pizzica Tag Archive

Midnight Faces – Fornication

Written by Recensioni

Le due facce di mezzanotte che stanno dietro a questo progetto arrivato direttamente dalla capitale dello stato capitalista per eccellenza sono Philip Stancil e Matthew Warn. Warn inizia ben presto a fare musica con un amico d’infanzia, Jonny Pierce, poi voce dei The Drums (con lui Jacob Graham, Adam Kessler e Connor Hanwick), band Indie Pop in orbita dal 2009, con all’attivo due full lenght, l’omonimo esordio e “Portamento” del 2010, oltre a numerosi singoli, Ep e partecipazioni a compilation. Dopo un primo album pubblicato con l’amico Pierce, Warn fonda insieme a Josh Tillman (dall’anno scorso ex batterista dei Fleet Foxes, oggi più noto come Father John Misty), i Saxon Shore, formazione Post Rock di buonissimo livello.

I Midnight Faces nascono dall’incontro di Warn con Philip Stancil, anche lui cresciuto con la musica intorno, giacché la sua è proprio una famiglia di musicisti. Warn aveva già realizzato le parti strumentali e invitò quello che ne è il compagno artistico ad aggiungere le sezioni vocali. Prese cosi vita questo Fornication.

Dieci tracce, dieci canzoni melodicamente Pop ma dai mille retrogusti. Si passa da alcuni momenti più oscuri, quasi Darkwave, specie nella sezione ritmica e negli echi delle chitarre (“Fornication”, “Kingdome Come” “Turn Back”), ad altri nei quali la vocalità e l’approccio cantautorale di Stancil prendono il sopravvento (“Identity”, “Heartless”). Tanti sono i passaggi nei quali l’Alt Rock (“Crowed Halls”) si addolcisce per seguire strade più popolari e di più facile ascolto (“Give In Give Out”, “Now I’m Done”), grazie anche a un’attenta e puntuale ricerca melodica e moltissime sono le congiunture nelle quali tutta la vita di Warn e quindi le sue conoscenze personali, più o meno dirette (abbiamo detto The Drums, Fleet Foxes, Saxon Shore), sono riportate in musica. I brani più riusciti sono quelli nei quali il Dream Pop particolarmente sintetico si sposa con l’elettronica creando suggestive ambientazioni filmiche, a tratti danzereccie quasi eighties (“Feel This Way”, “Give In Give Out”, “Kingdome Come”) in uno stile perfetto che richiama il grande Anthony Gonzales (M83) ma anche, volendo ampliare il proprio spettro di vedute, i Depeche Mode (“Holding On”), cosi come gli Slowdive, ovviamente con ritmi più dinamici.

Un disco che miscela quindi atmosfera e melodia, con cura ed eleganza, puntando forte sulla voce ma senza tralasciare l’aspetto strumentale, elettronico soprattutto. Sceglie melodie orecchiabili e non calca troppo la mano su artifizi di alcun tipo finendo però per sprofondare nell’altro versante della questione. Eccessiva semplicità che si trasforma in povertà d’appeal e melodie che, per quanto gradevoli, finiscono per essere di facile oblio, perché troppo simili le une alle altre. Dieci episodi che si presentano, in linea di massima, tutti ugualmente apprezzabili e facilmente godibili, senza però riuscire a suscitare un interesse che vada oltre la semplice amabilità sonora. Per chiudere, se avete difficoltà a trovare mezze misure, questo è il disco perfetto per affibbiare la vostra sufficienza, niente di più, niente di meno, almeno per questa volta.

Read More

La Band Della Settimana: Nhenia

Written by Novità

Nhenia
Energia in un Contatto

Il gruppo nasce nel 2005 da un’idea di Riccardo Galati e Massimiliano Zazza; successivamente si unirà alla band Claudio M.
Tra le pareti spoglie di un garage di Centocelle (Roma) il gruppo si cimenta nella composizione di testi prima in inglese, poi finalmente in italiano. La ricerca che li motiva è la sperimentazione del suono che diventa oblio di ogni forma e, come spiega Riccardo Galati, voce del gruppo, oblio di se stessi, un perdersi e dimenticare ogni identità e ogni appartenenza per fondersi con la musica, con la magia del suono e delle sue potenzialità, suonando per ore e ore in sala prove. Dopo questo periodo, a far parte della band, rimangono solamente Riccardo e Massimiliano. Nel 2011 decidono di realizzare un progetto serio, in italiano: prende vita Orbite Ep. Successivamente alla realizzazione dell’ep inizia la ricerca di un terzo elemento che dura più di un anno. Finalmente entra a far parte della band Adriano Ladogana (basso). Il salto successivo è mettere da parte i fondi, con non poche difficoltà, per tentare un’ambizione più ampia, il disco Contatto, che verrà registrato nel 2012 a Roma con Paolo Panella presso gli Studi Altipiani, ad eccezione della batteria, ripresa in una cantina. Alla registrazione seguiranno mixaggio e mastering presso il Dub The Demon Studio di Madaski, degli Africa Unite, a Luserna San Giovanni (TO). I leitmotiv che percorrono i 12 brani del cd, caratterizzato da un sound graffiante e aggressivo, da un flusso continuo di distorsioni isteriche che non danno fiato e sembrano non allentare mai la presa, sono i due sentimenti esistenziali della rabbia e della rassegnazione che si alimentano a vicenda, si compenetrano e infine liberano energia creativa. Più si è arrabbiati più ci si rassegna e la rassegnazione alimenta la rabbia, rabbia che però può sprigionarsi in vita, in atto creativo. “Noi facciamo musica – spiegano i Nhenia – perché non possiamo non farla. Essa è un bisogno, permette di esprimere un potenziale, un grido interiore, esistenziale ma anche vitale, creativo”. Contro una realtà che annichilisce i Nhenia cantano la loro “nenia” creativa, e invocano il contatto che supera la rabbia e la rassegnazione.

*fonte bio facebook

Sito Ufficiale

Pagina Facebook

Read More

Filmare i concerti coi cellulari? È da cazzoni!

Written by Articoli

In una piccola video-inchiesta di NME, alcuni musicisti sono stati intervistati circa la loro opinione sulla moda vigente di filmare o fotografare concerti per la loro intera durata. Tra gli altri (Miles Kane, Foals, Alt-J), Johnny Marr è quello che c’è andato più pesante, definendolo «un atteggiamento da cazzoni» e «una perdita di tempo», che distoglie completamente l’attenzione dal momento che è la vera essenza del live. Come dargli torto. Non importa, infatti, quale sia l’artista sul palco, non importa la location, non importa che l’uomo con lo smartphone sia in prima, seconda, ennesima fila o gradinata che tenga. Non importa che si stia seduti, in piedi, larghi, stretti tanto da avere addosso il dna di tot persone sconosciute sotto forma di sudore, impronte digitali, capelli. Non importa che sia un concerto meditabondo o da pogo. Non importa che si abbia in mano un telefono con una fotocamera da 2 megapixel (la stragrande maggioranza) o una compatta che passa i controlli ma ha uno zoom digitale coi controcoglioni che anche se sei dietro il mixer riesci a riprendere persino i punti neri del tuo beniamino (roba per pochi eletti, nerd patologici del caricamento del dayafter su YouTube).

La situazione si ripete sempre. Tu vai a un concerto, paghi un biglietto, sei di un’altezza media e non basta che puntualmente tu davanti abbia lo spilungone due metri di altezza per due metri di spalle con ragazza al seguito che comunque si erige quei dieci centimetri buoni più di te. No. Da quando siamo entrati nell’era smart, social o semplicemente in quella dell’esistenza attestata non dall’ontologia ma dal post, ai concerti non si alzano le mani con le corna, con l’indice dritto, con il pugno. Non si ondeggia, non si poga, non si salta (se non per sovrastare l’uomo col prolungamento telefonico). Ai concerti si filma. O si fanno centomila foto tutte uguali perché il raggio d’azione di gente pressata tra la folla di un live non permette certo varietà di tagli e inquadrature. Il risultato poi è, nelle migliori occasioni, una registrazione di qualità bassina, o per immagine o per audio, che il giorno dopo – se non addirittura dopo poche ore – si può rintracciare su YouTube. Oppure un bell’album fotografico pieno di pixel tra i quali dovresti intuire che il tuo amico di social network è stato a un concerto della madonna che tu ti sei perso. Ah, bella roba. Additato come uno dei comportamenti più noiosi che si possano tenere durante un live dalla rivista Rollingstone (insieme all’urlare per tutto il tempo il titolo del pezzo che si vuole sentire, ubriacarsi come se non ci fosse un domani e a fine concerto lamentarsi perché il brano per cui si era andati non è stato suonato), abbiamo pensato di chiedere un’opinione a chi sta anche davanti e non solo dietro le macchine fotografiche in questione, ovvero ad alcuni musicisti del panorama indie ed emergente nostrano.

 

Danilo De Nicola (The Incredulous Eyes): “Liberi di farlo, anche se le emozioni devono essere sonore, quelle che ti rimangono dall’ascolto; quelle sono insostituibili. Se stai tutto il tempo a riprendere non so che ti rimane veramente della musica che ascolti. Forse e’ anche un modo del pubblico di essere protagonisti.”

Francesco Capacchione (The Last Project): “Parto dal presupposto che ero uno di quelli che voleva il ricordo del concerto, quindi filmavo di tutto, fino a che mi son detto “tanto c’è qualcuno che lo metterà su youtube” e da li non filmo più nulla, penso a godermela e me la salto, me la canto, me la ballo. Se ti metti a filmare non ti godi nulla.”

Andrea Di Lago (Le Fate Sono Morte): “Da una parte per noi emergenti può esser un modo per darci più visibilità dall’ altra parte si fa meno casino rispetto ad anni fa; per ora rimango un po’ a favore, è pur sempre un modo nuovo col quale lo spettatore dimostra il proprio gradimento. Io per primo non riprenderei mai qualche artista che non stimo.”

Luca Brombal (Lazy Deazy): “Penso la stessa cosa delle persone che passano la propria vacanza a fotografare qualsiasi cosa: con la smania di documentare e di poter rivivere quei momenti non li vivono nemmeno!”

Fabrizio Giampietro (Christine Plays Viola): “Mi sembra la moda del momento. Una volta nei concerti la gente era totalmente rapita dalle emozioni, pogava, ballava si lasciava trasportare dalla musica. Ora invece sono diventati tutti registi. Nessuna telecamera o cellulare ti darà mai la possibilità di catturare quei momenti e riviverli con la stessa intensità a casa tua o altrove. Secondo me in questo modo si perde l’essenza del live e a casa ti riporti solo una sbiadita testimonianza digitale.”

Eugenio Rodondi: “Probabilmente ci troviamo in un momento in cui consideriamo una cosa esistente e reale solo se possiamo dimostrarla agli altri. Dunque solamente se viene filtrata e catturata da un video o da una fotografia, e tendenzialmente pubblicata su social network. La concezione del ricordo di un emozione sta prendendo una deriva insolita. Direi che si tocca il paradosso quando si riprende un concerto puntando il cellulare sul megaschermo. Se un concerto te lo godi immergendoti nella serata e utilizzando una buona dose di concentrazione, quel ricordo sarà sicuramente più valido di una riproduzione figurativa.”

Giacomo Ficorilli (Remains in a View): “Io sono uno di quelli della vecchia generazione , che vanno ai concerti solo per ascoltare buona musica e pogare quando ne capita l’occasione. Purtroppo i tempi sono cambiati e i ragazzi di oggi, ossessionati dalla tecnologia e dai social network che ti permettono di far sapere cosa stai facendo e dove, non sanno più apprezzare il fascino di un concerto e tutte le emozioni che ti può trasmettere una band dal vivo; io consiglio alle nuove generazioni di fare una bella foto e poi godersi il concerto a pieno piuttosto che passare la serata con il cellulare in mano!”

Alessio Premoli: “Prenderei la cosa da due punti di vista. Chi riprende e chi è ripreso. Nel primo caso è un fatto tutto personale. Se qualcuno ha il desiderio di passare tutto il concerto a registrarsi un video, ben venga: personalmente preferisco godermi lo show interamente, lasciarmi travolgere e coinvolgere dallo spettacolo. Questa attività può avere una sua utilità: documentare un live per chi non ci è andato, dare un assaggio dello show a chi vorrebbe andarci, ma è ancora indeciso. Questo atteggiamento ha una sua utilità “sociale”. Nel secondo caso ci sono un migliaio di sfaccettature diverse. So di molti artisti che non tollerano sapere di essere registrati. E molti li capisco. Mi riferisco a personaggi come Brad Mehldau (che prima di ogni live chiede di non fare video nè fotografie) o come Keith Jarret. Il jazz è una musica improvvisata, volubile e temporanea per natura. La sua anima è l’improvvisazione e, specie quella live, tale vuole rimanere: una conversazione senza schema, su strutture minime e con possibilità infinite. Per altri non voglio pronunciarmi: ogni artista ha il diritto di chiedere determinate condizioni quando suona dal vivo, il punto di incontro sta sempre a metà tra la ragionevolezza di quest’ultimo e il rispetto del pubblico.”

Read More

Live Footage – Doyers

Written by Recensioni

Un album imponente. Questo è più di ogni altra cosa il secondo lavoro del duo di Brooklyn Topu Lyo (cello, sampler) e Mike Thies (drums, keyboards). A distanza di tre anni dal buonissimo esordio di Willow Be, tirano fuori un’opera costruita su ben diciassette tracce, rigorosamente strumentali, per la durata limite di quasi settanta minuti. Un disco che vi permetterà di godere pienamente del loro estro e vi giustificherà le parole di una certa critica che li pone tra i migliori compositori di colonne sonore surreali in circolazione. Corde ed elettronica, batteria e tastiere, realtà e sogno si mescolano alla perfezione per creare una suggestione sonica indimenticabile, resa ancor più umana dall’aspetto dell’improvvisazione esecutiva.

“L’assenza di limitazioni è nemica dell’arte”. Parte da quest’aforisma di Orson Welles il duo statunitense per mettersi a realizzare Doyers. Sono queste parole del genio della regia (ma non esclusivamente) che fanno da mantra al lavoro dei Live Footage, durante le registrazioni e la creazione delle diciassette (numero che in terra di Obama non genera gli stessi gesti scaramantici) gemme in questione.
Le limitazioni amiche dell’arte, in questo caso, possono essere tante e riferite a una miriade di diverse questioni tecniche, creative e non solo, ma quelle che saltano più all’orecchio, sono quelle dirette delle note, che sembrano spaziare e volteggiare nell’infinità del cosmo ma in realtà, alla fine dell’ascolto, vi renderete conto essere parte di una precisa galassia, uniforme e delimitata, pur se enorme. Tutto ha limite, anche se nella sua apparente illimitatezza e sta solo nel punto di vista dell’osservatore che tali limiti si rendono in parte visibili.

La musica dei Live Footage passa con disinvoltura da eteree e riverberate atmosfere lisergiche e Psych Rock (“Broklyn Bridge”, “Asian Crane”, “Lucien”) a un sognante Dream Pop più stile Beach House che Sigur Ròs utilizzando spesso le stesse forme del Post Rock mogwaiano, fatto di crescendo continui e muri di chitarre, o dello Slowcore Glitch (“Purgatory (The Storm Has Passed)”, “Broklyn Bridge”). L’ossessione ritmica dell’inizio di “Foresight” anticipa altri punti di vista, tendenti al Jazz e non mancano divagazioni addirittura nei territori della Dub Music (“Mortality”), della Drum’n Bass (“Going Somewhere”, “New Breed”), della musica sudamericana (“Caipirinha”), dell’elettronica di chiara matrice Kraftwerk (“Korean Tea Shoppe”, “Computer is Free”) o anche il Rock alternativo contaminato da ritmiche Funky, ovviamente sempre in combutta con un liquefatto e caldo Ambient (“Secret Cricket Meeting”) o il più fumoso e oscuro Trip Hop (“Ant Colony”). Eccezionali i passaggi più spiccatamente Film Score/Soundtrack (“Just Moving Parts”, “Airport Farewell”) nei quali si rende ancor più palese e chiaro il concetto di surreale applicato all’opera dei Live Footage.
Ovviamente, se ancora non avete ascoltato Doyers, vi starete chiedendo come possa io parlare di limiti ma poi tirare in ballo una quantità di generi musicali sconfinata. Come già vi ho detto, dovete ascoltare per capire. Ogni influenza sembra schizzare qua e là, apparentemente senza controllo ma in realtà, se provate ad allontanare per un secondo l’anima dalle note, noterete che la musica dei Live Footage, si ammorbidisce, quando deve suonare più forte e s’indurisce quando invece mira alla leggiadria. In questo modo, si crea una linea imprecisa che, come il volo d’un uccello, apparirà più armonica, con l’allontanarsi dello sguardo.

Per chiudere, non posso che rinnovarvi le mie promesse. Ascoltate e poi ditemi, basta leggere le mie parole, o impazzire dietro ad esse. Citando Welles, le promesse sono molto più divertenti delle spiegazioni. Quindi, buon divertimento.

Read More

Faz Waltz – Back On Mondo

Written by Recensioni

Il ritorno dei comaschi Faz Waltz, dopo Life on The Moon, è ancora una volta più che convincente, almeno sotto l’aspetto estetico e caratteriale. Convince la copertina (opera dello stesso Faz La Rocca) in bianco e nero che mostra il power trio alle prese con un cannone da circo e tanto fumo; convince il nome dell’album, Back On Mondo, semplice, diretto, ironico e magniloquente al tempo stesso. Convince la scelta di legare le tredici tracce in tracklist con un concetto portante, la ricerca di una propria dimensione, umana o aliena, lavorativa o geografica, senza per questo appesantirne il risultato e sminuire la potenza dei brani presi nella loro singolarità.

Il terzo lavoro dei Faz Waltz, con una line up rinnovata e registrato in analogico su nastro a due pollici, è un frullato di Rock’n Roll, Psych Rock anni Sessanta, Glam, Pop-Punk e Blues Rock. Una miscela esplosiva di energia, come polvere da sparo, come un cannone pronto a mandarti in orbita. Uno degli elementi più forti nell’album è il Blues Rock, in stile Black Keys (“The Fool”, “I Wanna Find my Place”, “Cannonball Blues”, “Little Home”, “Get Poison”), che starebbe da dio in una pellicola di Tarantino e Rodriguez, reso perfettamente dal lavoro a voce e chitarra di Faz La Rocca; me le parti che più mi convincono sono le sfuriate Glam dei padri T-Rex o New York Dolls, ancor più che David Bowie (“Pay Your Dues”, “Leave Her Alone”) che, anche se povere di originalità come tutto questo Back On Mondo, quantomeno propongono una formula meno abusata negli ultimi anni. Saranno certamente gradite agli ascoltatori legati alla melodia messa al servizio della furia sonica le esplosioni Garage Rock Revival (“Looking For a Ghost”, “Baby Left me”, “Get Poison”) tanto care a Hives, The Libertines o The Strokes. Altro rimando importante è ai Sixties, alle sonorità sia Pop stile Beatles o Kinks (“Clown On The Scene”, “Wrong Side of The Gun”, “Get Poison”), sia psichedeliche e Blues, alla maniera degli Stones, magari i più romantici (“King of Nowhere”), e questa vena di passato sarà udibile, anche se non sempre con la stessa pulsione, dalla prima all’ultima traccia.

Ancor più interessanti i momenti in cui questi influssi si abbracciano con vigore, generando brani che sfruttano i punti di forza di tutte le svariate influenze della band. Esempio il secondo pezzo, “Fingers in my Brain”, in cui la spinta del Garage prende fuoco sotto le note folli del piano di Faz La Rocca, ma anche la splendida “Leave Her Alone”, danza Glam che diventa uno spettacolo per le orecchie grazie ad una melodia semplice quanto accattivante, piazzata sopra ritmiche incandescenti. Un ottimo lavoro sia in fase esecutiva sia in fase compositiva che ha il solo enorme difetto di suonare vecchio già dalle prime note. Avete presente un oggetto creato oggi in uno stile retrò? Oggi è una modernità vintage, tra dieci anni sarà solo vecchio. Allo stesso modo, se il revival Blues Rock di decenni fa aveva un sapore vintage, la sua riproposizione quasi identica puzza di vecchio. E non basta mettersi a correre sui binari delle note Garage o ubriacarsi di Glam per apparire diversi da quello che si è.

All’inizio vi ho detto che Back on Mondo è una miscela esplosiva di energia, come polvere da sparo, come un cannone pronto a mandarti in orbita. Ricordate la copertina? Back on Mondo non è un cannone da guerra e non ha polvere da sparo ma uno di quegli aggeggi da circo il cui fumo è solo finto e a spararti in aria in realtà è un’inoffensiva molla. Back on Mondo è un cannone che ti spara in aria solo un po’, ti fa sorridere, ti fa smuovere il culo ma di certo non fa paura e non fa male a nessuno.

Read More

À L’Aube Fluorescente

Written by Interviste

À L’Aube Fluorescente è la band vincitrice di AltrocheSanRemo Volume4. Nella nostra home potete vedere il loro banner e cliccandolo visitare la loro pagina Facebook mentre a breve avrete la possibilità di leggere la recensione del loro nuovo lavoro e vedere il primo videoclip proprio del pezzo che li ha portati alla vittoria. Nel frattempo Silvio “Don” Pizzica li ha intervistati e il risultato, che potete leggere di seguito, è una bella chiacchierata che spazia dalle curiosità del progetto, alla loro formazione, da qualche incomprensione (vedi domanda in cui si citano i MaDeDoPo, che volevano essere presi solo come esempio di band che ce l’ha fatta non solo grazie alla musica e non un riferimento stilistico), alle critiche e i complimenti della nostra redazione, per passare agli Smashing Pumpkins e a Steven Wilson, fino alle critiche alla critica musicale. Una lunga chiacchierata, una intervista vera in cui scoprirete l’anima di una band giovanissima che prova a fare le cose da grandi, districandosi con eleganza anche tra le questioni più spinose. Signore e signori, À L’Aube Fluorescente.

Ciao a tutti. Per prima cosa come state?
Ciao a te ed a tutta la redazione di Rockambula che ci ha concesso questa intervista. Siamo tutti carichi al punto giusto, pronti per i prossimi live!

Partiamo dalla domanda più banale di questo mondo. Come è nato il nome À L’Aube Fluorescente? Cosa significa, oltre il mero significato letterale? Perché il francese, visto che non c’entra molto con il vostro stile “anglosassone”?
Diciamo che la risposta che cerchi è all’interno della domanda che hai posto. Il nome si basa proprio su questa voglia di distaccarsi, almeno per quanto riguarda il primo impatto, da quello che è lo standard dei gruppi alternative rock italiani e stranieri. Ormai siamo abituati ad una marea di termini inglesi che sono entrati costantemente nel nostro vocabolario (e non fraintenderci, è assolutamente un bene) ma semplicemente ne eravamo un po’ stufi. È stato anche un modo per rinnovarsi, per respirare aria fresca. È dunque più che altro un’esigenza personale, senza nulla di particolarmente pretenzioso. Inoltre crediamo che in un certo senso la musicalità della lingua francese si sposi in maniera perfetta con la musica che cerchiamo di proporre, nonostante i testi siano scritti in inglese. È una sorta di assonanza inconscia che ci è venuta naturale sin da subito, già dalle prime prove quando lavoravamo ai primi arrangiamenti. Per quanto riguarda il significato preferiamo rimanere piuttosto coperti a riguardo, proprio per non togliere la possibilità a nessuno di associare il nome a quello che sente quando ascolta i nostri pezzi. Possiamo solo dirti che per noi esprime un profondo senso di rinascita, musicale e non.

Raccontateci molto brevemente come nasce questo progetto, cosa avete fatto fino ad ora e quali sono le strade artistiche percorse dai vari membri.
Le nostre strade artistiche sono molto simili; pur ascoltando generi di musica a volte molto distanti, abbiamo sempre avuto un’enorme passione per quella che suoniamo, eccezion fatta forse per Alberto, il nostro batterista, che dopo l’incontro con Paride (chitarra) in una cover band antecedente a questo progetto, si è avvicinato in modo prepotente all’alternative rock (che poi nella nostra musica ha un infinità di sfumature per i motivi sopra citati), entrando dunque nella line up definitiva. Jacopo (voce e basso) porta avanti diversi side project, come i Sixty Drops (l’ep uscirà ad Ottobre) e l’Articolo Il (duo con Lorenzo Lucci ormai super affermato in zona). Francesco (chitarra) lo trovate a suonare ovunque ci sia bisogno di un chitarrista, ci dorme pure con la chitarra, anche se ormai abbiamo abbastanza monopolizzato la sua attenzione!

Come descrivereste la vostra musica?
Beh domanda da un milione di dollari. Facciamo molta fatica anche noi a classificarci e a dire il vero non ci piace nemmeno molto. Sicuramente possiamo essere inquadrati in quell’enorme calderone che è l’Alternative Rock ma è un po’ come dire tutto e dire niente. Per far riferimento ad una cosa un po’ inusuale diciamo che in ogni arrangiamento cerchiamo sempre di essere il più raffinati possibile, evitando quelle che secondo noi sono scelte vistose, atte a far emergere il singolo strumento penalizzando il risultato finale. Facciamo tutto in funzione del pezzo. Se un chitarrista deve fare due accordi tutto il tempo per la miglior riuscita del brano non c’è nessun problema. La voglia di emergere come singoli non ci appartiene. In questo senso definiamo la nostra musica raffinata (non tanto per chi ascolta, quello è un giudizio che spetta agli altri) ma proprio per il modo che abbiamo di lavorare.

Parlateci del vostro ultimo lavoro in studio. Credo sia anche il primo, giusto?
Si è il nostro primo EP e si chiama Soar. Sarà anticipato dall’uscita del videoclip di Brand New Stupid Words, che avete già avuto modo di ascoltare. È stato registrato durante il maggio di quest’anno presso l’Acme Recording Studio di Davide Rosati, che è stato anche a tutti gli effetti un produttore artistico. Quello che ne è venuto fuori è un qualcosa ben oltre le nostre aspettative proprio perchè in studio si è creata subito una forte alchimia tra noi e Davide, che ci ha permesso di lavorare molto bene e senza nessun timore di esprimere in modo sincero la singola opinione su ogni arrangiamento. Questo aspetto è stato molto importante per dare ad ogni pezzo quel qualcosa in più che temevamo mancasse alla fine delle registrazioni. Siamo molto soddisfatti.

Come nasce una vostra canzone e cosa ritenete che sia una canzone?
Molto spesso Jacopo costruisce quelli che ci piace chiamare “scheletri”; si tratta sostanzialmente di bozze di testo e linea vocale su una melodia di basso o pianoforte. Da lì cominciamo a costruire gli arrangiamenti e ne prepariamo diversi per ogni strumento, finché non troviamo la combinazione ottimale. Altre volte si parte da riff o giri di chitarra molto semplici che vengono man mano resi più articolati, sempre nel rispetto del registro stilistico del pezzo. Poi Jacopo fa un lavoro altrettanto meticoloso di completamento dei testi, accompagnato da discussioni che spesso facciamo tutti insieme sul loro significato . Siamo piuttosto pignoli sulla questione grammatica e pronuncia, è un aspetto a cui teniamo tantissimo, forse spesso sottovalutato da molte band nostrane. Una canzone è nient’altro che un’evasione dal concetto di tempo per noi. Viviamo le nostre giornate scandite in un certo modo e molti non sanno nemmeno bene perchè. Una canzone è quell’elemento che messo nell’equazione dello scorrere del tempo quotidiano la scombina, la sbilancia.

La vostra dimensione ottimale è quella “elettrica” ma non disdegnate serate live in acustico. In fondo è uno scendere a compromessi per poter avere più spazio possibile, no? A cosa sareste disposti a rinunciare e a cosa non rinuncereste mai per un pezzo di successo. Cosa sareste disposti a fare per diventare i nuovi Management Del Dolore Post Operatorio (perdonatemi la provocazione)?
Ma no, non si tratta di scendere a compromessi, anzi. Amiamo profondamente l’acustico, siamo cresciuti col mito di quegli unplugged straordinari che solo gli anni 90 hanno saputo darci ed è logico che ne siamo allo stesso tempo estasiati ed affascinati. Ci piace (ri)arrangiare i pezzi, trasformarli e dargli una nuova luce. È quello della musica che più amiamo. Gli acustici per noi non sono uno scendere a compromessi, ora come ora sono quasi un’esigenza. È bello ritrovarsi in intimità e far ascoltare i propri pezzi come sono nati: con un basso praticamente spento, la porta della camera socchiusa ed una chitarra acustica. Per quanto riguarda il discorso delle rinunce è una politica che non ci appartiene. Noi sappiamo fare musica solo in questo modo, non conosciamo altre strade. Speriamo di riuscire a piacere per quello che siamo, è l’unica cosa che possiamo augurarci. Un pezzo pop non sapremmo nemmeno farlo! Per quanto riguarda la domanda sui Management la risposta è molto semplice: nulla. Ma non è una risposta dettata da gusti personali. Oggettivamente non abbiamo proprio nessun elemento che possa essere di contatto con una realtà come quella del gruppo abruzzese che hai citato (a parte essere abruzzesi, è ovvio!), non vediamo dunque come possa essere possibile seguire un percorso artistico simile. Sicuramente le strade che dobbiamo battere sono altre, e sono quelle che vogliamo perchè ce le siamo scelte.

Siete i freschissimi vincitori del nostro concorso AltrocheSanRemo Volume4. Perché avete scelto di parteciparvi e cosa vi è rimasto di questa esperienza?
Ci sembrava un’ottima vetrina per poter far ascoltare il singolo prima che uscisse ufficialmente, per testarlo diciamo, ed è andata molto bene. È stata un’esperienza che ha consolidato in noi ancor di più la consapevolezza riguardo l’importanza che ha oggi il web nel proporre musica.

Vincere un concorso come questo non è solo questione di qualità ma anche di conoscenze. Quanto è importante per voi avere un pubblico di affezionatissimi, spesso amici, che vi supporta? Non pensate che avere sempre quel gruppo di supporter della porta accanto ai vostri concerti, possa trasformarsi negativamente in un’ancora che vi lascia agganciati ad una dimensione provinciale?
Beh per una band che esiste ufficialmente da qualche mese (dato che siamo stati per molto tempo in sala prove ad arrangiare la scaletta che oggi proponiamo dal vivo) è già tantissimo avere un gruppo di supporter della porta accanto. Basta rendersi conto di dove si vive, di che situazione musicale c’è e quali possibilità di suonare in giro. Non abbiamo paura di confrontarci con realtà estranee alla nostra, basti pensare che siamo stati selezionati per suonare al Voci Dal Sud music festival a Salerno dove apriremo , insieme ad altre band, il concerto di Meg, Ettore Giuradei e Valerio Jovine. Un risultato assolutamente stupefacente se si pensa che la nostra prima data insieme ufficiale è stata il 4 maggio scorso ( se escludiamo una breve apparizione “confusionaria” nei primi mesi di sala prove).

Passiamo alle domande più “toste”, derivanti anche da alcune considerazioni scaturite dalla vostra partecipazione alle preselezione di Streetambula (p.s. complimenti, siete tra le 8 band finaliste che suoneranno il 31 agosto a Pratola Peligna (AQ)). La redazione di Rockambula ha evidenziato in voi alcuni limiti e alcuni punti di forza importanti. Ad esempio hanno criticato la poca originalità e l’eccessiva somiglianza con band come Placebo o con Melissa Auf Der Maur; qualcuno non ha apprezzato l’apparente necessità di scandire le parole da parte di Jacopo e la troppa povertà del suono delle chitarre. Particolarmente apprezzata invece la capacità di ricerca melodica, cosi come la tecnica vocale (evidente che Jacopo non si sia improvvisato cantante), e anche la pulizia sonora. Rispondete voi, come preferite, alle critiche e ai complimenti. P.s. uno solo dei redattori è stato particolarmente duro affermando che “non sono di nessun impatto e dovrebbero rivedere l’intera struttura sonora”.
Beh essendo una primissima uscita era ovvio che le critiche non potessero mancare. Sicuramente già ora, rispetto a quando abbiamo preparato i pezzi per l’ep ci sentiamo musicalmente molto cresciuti;di certo non credevamo di arrivare sulla top ten americana con un primo ep, registrato in 4 giorni. Ha ovviamente tutti i limiti che un primo lavoro , fatto molto in fretta, può avere. Ci sono delle cose da migliorare e da correggere, certo prima di esprimere giudizi di una certa rilevanza si dovrebbe tener conto delle tempistiche in studio che una band agli inizi può avere. Per quanto riguarda il sound delle chitarre è una scelta fortemente voluta. Non siamo i primi a farla e non saremo gli ultimi, è una questione di gusti di chi ascolta. Alla fin fine è solo il gusto personale che determina il successo o l’insuccesso di un brano, i tecnicismi servono a chi fa le recensioni, ma non sono quelle che fanno andare bene un singolo. Potrei dirti che il suono di Slash a me personalmente non piace, così come quello delle chitarre dei My Bloody Valentine (quasi vuote) mi faccia impazzire. A critiche e complimenti va dato il giusto peso. Siamo consapevoli di dover lavorare, le critiche ci aiutano a capire dove e come possiamo alzare la qualità.

Sul discorso dell’originalità, non siete certo gli unici che hanno guardato alle strade sicure e già battute del passato. È cosi pericoloso rischiare e provare a fare qualcosa di nuovo o semplicemente è impossibile essere considerati se si prova a sperimentare?
Questa è una domanda che leggiamo spesso nelle interviste di molte band. Molte webzine battono su questo discorso dell’originalità pensando che sia ancora una domanda “scomoda”. In realtà non lo è affatto. Seguendo questa linea di pensiero non avrebbero senso il 90% dei movimenti musicali che oggi esistono e vengono portati avanti. Dovremmo far chiudere baracca a tutto il Punk, a tutto il Post Punk, il Black Metal, il Post Grunge ed a tutti quei generi che vengono costantemente riproposti. Basti pensare che perfino i Sigur Ròs sono riusciti a diventare banali agli occhi della stampa musicale. Senza nulla togliere al grande lavoro che Rockambula fa per la musica emergente è una questione su cui c’è veramente poco da dibattere. Se c’è il talento emergi, qualunque sia il genere che proponi. Questo discorso poi in Italia vale doppio, proprio perchè rispetto agli altri paesi del mondo, a parità di genere, serve molto più talento.

Torniamo a cose più leggere. Abbiamo parlato di Placebo e Melissa Auf Der Maur. Ma quali  sono le band che più vi hanno influenzato e a cui più somigliate?
Beh due le avete già citate, le altre sono tantissime. Sarebbe impossibile farti un sunto. Diciamo che i punti fermi sono due: Smashing Pumpkins e A Perfect Circle. Non sappiamo quanto le ricordiamo, ma sicuramente ci hanno influenzato tantissimo.

Consigliatemi due band esordienti, una italiana e una straniera e quello che ritenete sia il miglior disco del 2013, italiano e straniero.
Beh in Italia gli About Wayne sono riusciti ad avere un grande seguito, nonostante le critiche nei loro confronti fossero sempre le solite, riguardo l’originalità e la questione delle strade conosciute. Per quanto riguarda l’estero i Bwani Juction sono una realtà scozzese molto interessante (restando sempre nell’ambito di gruppi strettamente esordienti). Sul discorso del miglior disco la domanda si fa molto personale. Diciamo che possiamo consigliare quelli che secondo noi sono due buoni dischi: l’omonimo Giuradei dei fratelli Giuradei e The Raven That Refused To Sing (and other stories) del mitico Steven Wilson.

Non vi chiedo certo perché cantate in inglese ma invece sono curioso di sapere di cosa parlano i vostri testi. Pensate che a chi vi ascolta interessino veramente le parole? Sono cosi importanti i testi nella musica Rock soprattutto?
Non sono semplicemente importanti, sono importantissimi. Veicolare un messaggio è il primo obiettivo che qualunque artista dovrebbe porsi e non essendo un gruppo strumentale il testo assume un’ importanza primaria. I nostri testi riconducono esperienze spesso personali ad una dimensione più ampia, generalizzata, attraverso un forte processo di trasformazione che a livello del tutto teorico dovrebbe portare l’ascoltatore a poter dare il significato che vuol vedere all’interno di quel pezzo. Tutto questo ovviamente tenendo costante il messaggio di fondo che deve essere percepito in maniera inconscia. Diciamo che è un grande metodo per mandare un messaggio senza imporlo. Crediamo molto nella forza delle idee non imposte, ma condivise.

Perché un ascoltatore, un nostro lettore, dovrebbe dare fiducia e il suo tempo a voi, prima che agli altri, non potendo darli a tutti?
Ci piacerebbe che chi sceglie di seguirci e supportarci possa avere il tempo per fare la stessa cosa con tutti i gruppi emergenti che ritiene meritevoli. È proprio il fenomeno delle “tifoserie” che ha contribuito ad uccidere la qualità della musica in Italia. Che trovi il tempo allora per tutti quelli che vuole supportare; la musica restituisce sempre molto più di quello che chiede.

Dove pensate di poter arrivare, in concreto? Quale è invece il vostro sogno e il vostro incubo di musicisti?
Per ora, molto in concreto, vogliamo solo arrivare alla realizzazione del nostro primo full length Non facciamo piani decennali. Il nostro sogno è quello di fare un buon disco ed entrare nella casa di qualche sconosciuto che decide di accendere lo stereo ed ascoltarci. Niente di più. Di incubi al momento non ne abbiamo, solo tanta voglia di fare e di fare bene.

Per un attimo non parliamo di voi. Come sempre, provo a farmi dare un nome. Quale è la band o l’artista Indie italiano più sopravvalutato in circolazione?
Dai, diciamo che tu ci hai provato e il tuo dovere l’hai fatto! Noi manteniamo il silenzio stampa per adesso, è troppo presto per giocarsi qualche nome. Metti che poi ci tocca suonarci, che si fa?!

Come detto, il 31 agosto parteciperete alle finali di Streetambula, music contest organizzato dalla nostra testata in collaborazione con Nuove Frontiere. Tanti premi importanti in palio, presenza garantita di etichette come la Indelirium Records, la V4V, la To Lose La Track (e tante altre) e rappresentanti di webzine importanti come Rockit, Ondarock, Mola Mola, Stordisco, ecc… Voi perché avete scelto di partecipare? E avete avuto modo di conoscere le altre band in gara? C’è qualcuno che vi ha colpito?
Beh che domanda! Abbiamo voluto partecipare proprio perchè avete fatto un lavoro straordinario di organizzazione e di coesione. Un’occasione che un gruppo emergente come il nostro non poteva farsi sfuggire. Abbiamo avuto modo di conoscere la musica dei Too Late To Wake in maniera approfondita e sono davvero una grande band. Sarà un piacere conoscerli e condividere il palco con loro (così come con tutti gli altri). Nei prossimi giorni ascolteremo per bene anche tutti gli artisti in gara. Non sentiamo la competizione, solo una grande voglia di confrontarci e imparare magari qualcosa dagli altri. È sempre bello passare delle giornate con dei musicisti.

Cosa avete in programma per l’immediato futuro? Album, live, video, qualunque cosa!
Intanto è imminente l’uscita del videoclip di “Brand New Stupid Words”. Sarà un videoclip animato realizzato da Tonino Bosco. Non vi diciamo di più per adesso. Poi gireremo a breve un altro video per promuovere un secondo singolo, dobbiamo ancora definire diversi dettagli. Sotto il punto di vista live avremo un agosto stra-pieno e ne siamo ben felici. Gireremo davvero parecchio e appena possibile pubblicheremo un calendario ufficiale. Poi sicuramente ci rimetteremo per bene a lavoro su tutti i pezzi che faranno parte del nostro primo album. Per ora non ci siamo dati una scadenza, vediamo come va la promozione dell’ep e poi decideremo il da farsi. Insomma, tanto lavoro e tanta strada da fare, ma tanta voglia di farla!

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Diciamo che essendo la nostra prima intervista non siamo abituatissimi a parlare, e per ora, ci sembra di aver parlato fin troppo! Speriamo che le canzoni possano essere per tutti una spiegazione più che sufficiente in merito a tutto quello che ci riguarda!

Ciao Rockambula e grazie di tutto! Stay alternative!

Read More

Tre Tigri Contro/Amelie Tritesse – Tre Tigri Contro Amelie Tritesse 7” split

Written by Recensioni

Partiamo dall’occasione. Record Store Day. Nato nel 2007 dalla mente di Chris Brown è molto semplicemente una giornata (terzo sabato di aprile) celebrativa per tutti i negozi musicali indipendenti, durante il quale le band realizzano ristampe, dischi ad hoc, remix e tutte le possibili prelibatezze e rarità che ogni buon collezionista sognerebbe di possedere. L’occasione di questo split è proprio il Record Store Day, sesta edizione. Un 7”, 200 copie in vinile nero e busta di cartone pressato, 100 copie in vinile colorato in scatole di cartone ondulato con copertine dipinte a mano. Già immagino i collezionisti folli con la bava alla bocca. Oltre al feticismo c’è però la musica e ci sono due formazioni di punta della scena alternativa abruzzese, due band che hanno diviso palchi, sudore e gioia. Da un lato Amelie Tritesse (Teramo) con “L’Agnello di Dio” e il loro classico Read’n Rocking, una miscela di parole e suoni, musica e testo, di Spoken Word e Alt Rock che si piazza a metà strada tra Massimo Volume e Art Brut. “L’Agnello di Dio” non aggiunge nulla a quello che gli Amelie Tritesse ci hanno spiegato essere già due anni fa con l’uscita di Cazzo ne Sapete Voi Del Rock’n Roll. Una storia, raccontata più che cantata, ironica e surreale per certi versi, con una timbrica, un’impostazione vocale (Manuel Graziani, l’artefice), un accento e una sonorità che sarà snervante, quasi insopportabile per alcuni, ma che, al tempo stesso, ha reso gli Amelie una creatura dalla firma distintiva. Il secondo brano dello split è invece una sorpresa. Loro sono i Tre Tigri Contro (Giulianova), power trio emergente che, nel brano “I Lunedì al Sole (Io Non Voglio Lavorare Più)”,  unisce l’ironia di un certo cantautorato italico, tra Rino Gaetano e il Claudio Baglioni di “Portaportese”, all’energia, l’irriverenza e la follia dei più attuali Zen Circus. Del circo Zen sembrano ricalcare anche lo stile dei testi, che, per quanto possano far storcere il naso agli ascoltatori più intellettuosnob, è innegabile riescano a strappare più di un sorriso (“Io non voglio lavorare più! / Davanti al televisore ventidue ore al giorno / e le altre due le vivrei solamente di porno”). I due brani di Tre Tigri Contro Amelie Tritesse, sono molto diversi uno dall’altro ma stanno benissimo insieme, come i due risvolti della stessa medaglia, come due modi diversi di affrontare la vita, diversi e eppure simili perché legati da un sottile filo di disillusione. E alla fine aver avuto tra le mani una delle trecento copie dello split sarà un piacere anche per le orecchie, oltre che per il nostro spirito di feticisti incalliti.

Read More

La Band Della Settimana: TreTigriContro

Written by Novità

Power trio da Giulianova (TE) composto da Stefano Minelli (voce e chitarra), Alessandro Marini (basso), Francesco Amadio (batteria) e Sergio Pomante (sax) (già con String Theory, band che con 3Rooms è stata nella top three 2012 di Silvio “Don” Pizzica)  con un piede nel Cantautorato schizzato e l’altro nell’Indie-Rock traviato dal Garage dei ’60 e dai riffoni Seventies. Immaginate Ivan Graziani con gli Zen Circus come backing band. Immaginate Rino Gaetano fulminato da “Kick Out The Jams” degli MC5. Immaginate quello che vi pare.

Se volete saperne di più, su cosa ascoltare e dove vedere TreTigriContro, andate sulla loro pagina facebook.

Questa è “I Lunedì al Sole (Io Non Voglio Lavorare Più)” tratta dallo split (presto la recensione) realizzato con gli Amelie Tritesse, per il Record Store Day.

Read More

Pills linggo ng dalawamput-apat (consigli per gli ascolti)

Written by Articoli

“Le Pills sono l’armonia dell’anima”

Silvio Don Pizzica
The Black Dog – Tranklements    (Uk 2013)   Ambient Techno, Idm     3/5
Album magico, per quanto possa esserlo un moderno album Techno, in cui la storica formazione The Black Dog riversa tutta l’anima e tutta la propria ispirazione. Un lavoro che ogni appassionato del genere dovrebbe ascoltare ma che soffre il passare degli anni dei cuoi creatori, diventati The Black Dog nel lontano 1989.
The Black Heart Procession – 2   (Usa 1999)   Folk Rock, Slowcore    4,5/5
La coda dello Slowcore è diventato l’album che ha dato nuova vita al genere. Non solo fondamentale per la sua rinascita ma anche eccezionalmente suggestivo nella sua malinconia.

Max Sannella
Spaceman 3– Recurring   (Usa 1991)  Garage Rock  4/5
Vero manifesto della Garage-Psichedelic Wave inglese sempre sui binari di una stordita autodistruzione
The Seeds – Future   (Usa 1967)   Psichedelia  4/5
Scapigliatura a go go e bizzarrie elettriche, la California alcaloide in riscatto perenne
Shellac– Terraform    (Usa  1998)   Hardcore  5/5
La celebrazione urlata dell’odio, la comunione atea di uno Steve Albini con la furia high voltage.

Maria Petracca
Erica Mou – Contro le Onde   (Ita 2013)   Alternative Rock   4.5/5
L’intensità emotiva targata “Mou” che conosciamo benissimo, proiettata verso nuove sperimentazioni musicali ed una sonorità più elettro-rock. Imperdibile.

Lorenzo Cetrangolo
Sleep – Dopesmoker    (Usa 2003)   Doom Metal, Stoner    4,5/5
Poco da dire su questo disco dalla genesi complicata. Un’unica canzone lunga un’ora, un unico salto nel buio. Se siete fan della scena stoner/doom DOVETE ascoltarlo.
Damien Rice – Live From The Union Chapel    (Irl 2007)   Folk    4/5
Registrato nel 2003, non è mai stato messo ufficialmente in commercio, ma solo distribuito a scopo promozionale. Ascoltate i sussurri di “Delicate”, “The Blower’s Daughter” o “Vulcano” rigorosamente ad occhi chiusi.
Charlotte Gainsbourg – IRM   (Fra 2009)   Electro-Pop    3,5/5
Scritto quasi interamente da Beck, il terzo album in studio della figlia del grande Serge gioca abbastanza follemente con ritmi e melodie ipnotici e suggestivi. Un album particolare.

Ulderico Liberatore
Serge Gainsbourg – Histoire de Melody Nelson   (Fra 1971)   Cantautore   4,5/5
Dopo aver tamponato Melody Nelson con la sua Rolls Royce scoppia la passione fra i due che termina con la cruenta morte di lei in un incidente aereo. Gainsbourg riversa tutto il suo dolore nell’album e ne viene fuori un capolavoro che segnerà la storia della musica leggera.

Diana Marinelli
James Taylor – Walking Man   (Usa 1974)   Folk Rock   5/5
Un uomo che cammina con la sua chitarra e la sua musica rock, salutando i vecchi amici e migrando verso la terra promessa. La promessa di uno stile e una voce inconfondibile.
Marco Ligabue – Mare Dentro   (Ita 2013)   Pop Rock   2/5
La domanda sorge spontanea: non è che tutto questo interesse deriva dal fatto che lui è il fratellino di Ligabue Luciano? Anche a non saperlo si capirebbe comunque dato che lo stile, la voce e la musica sono una fotocopia.

Riccardo Merolli
Radiohead – Ok Computer    (Uk 1997)   Alt Rock   4/5
Rinnegato da tanti finti “intellettuali” musicali, anche dai Radiohead stessi. Un nuovo approccio al pop, una delle migliori band di sempre, un disco come pochi.

Marco Lavagno
Thirty Seconds to Mars – Love Lust Faith + Dreams   (Usa 2013)   Pop, Rock   2/5
Coretti fasulli e iperproduzione, putroppo tutto ciò di cui il rock oggi non ha bisogno. Le viscere sono ormai dei freddi robot.
Pierangelo Bertoli – A Muso Duro   (Ita 1979)   Cantautorato   5/5
Uno dei cantautori più sottovalutati e scomodi della storia italiana. Questo disco è contro. Questa è la corrente opposta di cui senti ancora il soffio se ti affacci alla finestra.

Read More

Sorrow – Dreamstone

Written by Recensioni

Dopo una serie di Ep, remix e interessanti collaborazioni con artisti quali Stumbleine, Asa e Submerse, finalmente il Dj e produttore britannico Sorrow presenta il suo primo full lenght, intitolato molto suggestivamente Dreamstone. Una miscela innovativa anche se non stravolgente di Dubstep, Garage, Elettronica e Ambient che mira dritta alla parte più emozionale dell’ascoltatore.

Ritmiche grevi tipiche del Dubstep si stagliano su echi vocali femminili e seducenti e su note leggere ed eteree che in alcuni momenti (“Supernova”, Maelys”) azzardano rielaborazioni di Bossa Nova. Abituato alle collaborazioni, queste non mancano neanche in Dreamstone. In particolare nella title track e in “Dalliance” si evidenzia la presenza di CoMa che riesce ad aumentare la forza delle atmosfere Ambient della musica di Sorrow mentre è la brezza Chill Out a dare all’opera un’aura di completezza, omogeneità e dinamicità.

Tutti gli undici brani per i cinquanta minuti dell’album vivono di un’alternanza naturale tra oscurità ora più dinamiche (“Gallows Hill”, “Flowerchild”) ora più lente (“Dreamstone”) e lucente speranza e ariosità (“Moodswing”) ma senza mai presentare spaccature nette. Le differenze tra un brano e l’altro si limitano a sfumature leggere e quasi impercettibili a orecchio distratto mentre è chiaro come la formula che mira a una miscela di Dubstep, Chill Out, Ambient ed elettronica, per quanto qualcuno possa essere considerata innovativa (hanno parlato di Dubstep Ambient) da alcuni, in realtà è una scelta senza troppi rischi, senza una reale voglia di cambiamento, rivoluzione sonora e nessuno, ascoltando questo Dreamstone, potrà certo parlarvi di un album rivoltoso o fuori dagli schemi, salvo mentirvi o palesare la propria impreparazione. Che lo si chiami Ambient Dub o Dubstep Ambient o come diavolo volete, Sorrow non fa che riprendere e ripresentare in chiave moderna le idee di The Orb, Scorn, Vladislav Delay o Woob ma invece che sperimentare le possibili diverse e stravaganti sfaccettature del genere, come hanno fatto ad esempio Miles Whittaker e Sean Canty ovvero i Demdike Stare, sceglie di lavare il tutto da ogni sporcizia, lasciando solo la parte più pulita, scorrevole, immediata e semplice.

Quello contenuto in Dreamstone è un Ambient Dub oscuro ma non troppo, pesante ma non troppo, melodioso ma non troppo. Insomma è tutto e il contrario di tutto; ma non troppo.

Read More

Una nuova legge per la Musica Dal Vivo

Written by Senza categoria

Stefano Boeri, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, lancia su change.org una petizione per salvaguardare la Musica dal Vivo al Ministro Bray. I Live sono sempre più soggetti all’ingarbugliato mondo delle autorizzazioni e la musica ne perde. Noi, con il nostro Don Pizzica, ne avevamo parlato nelle scorse settimane con un articolo e un’intervista a Aldo Minosse gestore del PinUp, se volete approfondire. Lo stesso Boeri ce lo conferma: “i Rolling Stones, gli Who, gli U2, ma anche i Beatles (nel mitico Cavern di Liverpool) hanno cominciato a suonare nei pub e nei locali dal vivo, per qualche decina di ascoltatore sparso tra i tavoli o in piedi con una birra in mano. La musica, come ben sappiamo, non è un prodotto preconfezionato”.

Non rimane che FIRMARE!!!!!!!!!!!!!

QUI: http://www.change.org/it/petizioni/una-nuova-legge-per-la-musica-dal-vivo-in-italia

Read More

Pills nädal kakskümmend kolm (consigli per gli ascolti)

Written by Articoli

“Le Pills rappresentano il piacere che la mente umana prova quando gode senza essere conscia di godere.”

 

Silvio Don Pizzica
Surfer Blood – Pythons    (Usa 2013)   Power Pop, Alt Rock     3/5
Un disco freschissimo, estivo e con melodie eccezionali. Perfetto per accompagnarvi per i prossimi tre mesi. Pop in salsa Smiths, Vampire Weekend e Strokes ma nessuna idea che possa dirsi minimamente nuova.
Human Thurman – Bye Bye Umani   (Ita 2013)   Alt Rock    3,5/5
Un disco che può sembrare confusionario per la moltitudine di influenze e diverse scelte stilistiche utilizzate ma che, con gli ascolti, rivelerà essere proprio questa sua diversità di spirito il punto di forza.

Max Sannella
Soul Asylum – Hang Time   (Usa 1988)   Rock  4/5
La favola di 4 adolescenti di Minneapolis che trovano l’asse personale sulla via degli Husker Du.
Soul Coughing – Ruby Vroom   (Usa 1994)   Ibrid Rock   4/5
Background dalle forti tinte off, un art rock accattivante quanto sperimentale. Seminali.
The Style Council –  Cape Bleu   (Usa  1984)    Pop Wave   3/5
Spregiudicatezza e nuovi sodalizi stilistici per una band retrospettiva e dal grigio doc.

Maria Petracca
The Muse – Showbiz   (Uk/Usa 1999)  Alternative Rock   4,5/5
Le origini. Il primo album in studio. Quando le chitarre distorte di Matthew Bellamy arrivavano come lance appuntite al petto, e là rimanevano, immobili. Sospese tra stupore e dolore.

Lorenzo Cetrangolo
Brunori Sas – Vol. Uno   (Ita 2009)   Cantautorato, Pop   4/5
Vincitore della Targa Tenco come miglior esordio, il Volume Uno (autobiografico, per la maggior parte) del cosentino Dario Brunori ha fissato su disco lo standard cantautorale “vintage” di questi anni: canzoni semplici, arrangiamenti retrò, recording lo-fi. Da suonare sulla spiaggia.
Transplants – Transplants   (Usa 2002)   Rapcore, Hip Hop   4/5
Piccolo gioiello a metà strada tra punk e hip hop, una creatura ibrida (un “trapianto”) che vede Travis Barker di Blink-iana memoria alle pelli e un caleidoscopico Tim Armstrong (dai Rancid) a quasi tutto il resto. Il disco scivola che è un piacere tra beat californiani, ironia sopra le righe e durezza da ghetto.
AFI – Sing The Sorrow   (Usa 2003)   Alternative Rock, Post-Hardcore   3,5/5
Gioiellino da quella scena americana di punk preciso, melodico, pettinato, un po’ plastificato. Alcune idee ingolosiscono (“Death of Seasons”), altre ci lasciano un po’ interdetti. Se siete rocker (o punx) duri&puri, girate alla larga.

Marialuisa Ferraro
Foals – Holy Fire   (Uk 2013)   Alternative   5/5
Praticamente da sola la tripletta Inhaler, My Number e Bad Habit fa la forza di quest’album. Suggestioni diverse per genere, ispirazioni, contenuti letterari, sensazioni.
Queens of The Stone Age – …Like Clockwork    (Usa 2013)   Stoner Rock    2/5
Ssssse. A me loro non fanno impazzire e ok, sarò partita prevenuta, ma questo disco pretende di essere ruffiano per piacere un po’ a tutti e finisce per non piacere a nessuno, per di più mi trasmette davvero molto poco…

Ulderico Liberatore
Gary Wrong – Knights of Misery   (Usa 2013)   Total Punk   4/5
Stufi delle solite canzonette Pop Punk?! Ecco una band singolare che potrà resuscitare in voi lo spirito
lo spirito antagonista e anarcoide distrutto dai Green Day.

Diana Marinelli
Genesis – Foxtrot   (Uk 1972)   Rock Progressivo   5/5
Bellissimo Rock targato Genesis per un album emblema degli anni settanta. Oltre che a consigliarne l’ascolto mi permetto di consigliare anche di ascoltarlo su vinile.
Myranoir – Ely è Leggiera   (Ita 2013)   Dark Psichedelico, Ambient   3/5
Myranoir nella realtà è Valentina Falcone, musicista che scrive musica dall’età di quattordici anni. Una musica Cantautorale, Psichedelica, con una puntina di Dark e soprattutto coraggiosa nell’affrontare temi importanti come l’anoressia.

Simona Ventrella
Fine Before You Came – Come Fare a Non Tornare   (Ita 2013)   Post Rock    4/5
Dopo una pausa di circa un anno e mezzo il quintetto milanese ritorna con un mini-album. Cinque brani che svelano una nuova veste del gruppo, più matura, cruda e ricca. Il disco è scaricabile gratuitamente dal loro sito, un motivo in più per ascoltarlo.
Omosumo –  Ci Proveremo a Non Farci Male   (Ita 2013)   Elettro Rock   3,5/5
Progetto b-side per Dimartino, Roberto Cammarata e Angelo Sicurella, che si cimentano in questo EP con attitudini e sonorità distanti dalle forma canzone ai quali siamo abituati. Elettronica , synth, chitarre indiavolate e ritmiche da dancefloor, e un bellissimo video del brano omonimo, tutto direttamente da Palermo.

Marco Lavagno
Goo Goo Dolls – Magnetic   (Usa 2013)   Pop Rock   2,5/5
Più ottimista e diretto del precedente “Something For The Rest of us”, ma anche più gommoso e molle. La formula spesso vincente questa volta si infrange in uno scontato sorriso. L’onestà per fortuna rimane intatta.
Lucio Dalla – Canzoni   (Ita 1996)   Pop, Cantautorato   3,5/5
Anche nei momenti meno ispirati Dalla tira fuori interpretazioni come “Ayrton” (pezzo scritto da Paolo Montevecchi). E con estrema naturalezza il pilota ora vola in cielo e persino il suo bolide prende corpo. Una di quelle canzoni per cui vale la pena comprare un album.

Read More