Silvio Don Pizzica Tag Archive
Kaouenn – Kaouenn
Scegliere un gufo come immagine simbolo per l’omonima opera di Kaouenn è opzione che, se da un lato permette di utilizzare tutta una serie di simbologie per spiegare la propria musica, dall’altro rischia di trasformarsi in una banalizzazione della stessa, visto l’eccessivo e talvolta superficiale uso che si fa di questa effigie. Il gufo, in un passato remoto associato al male, la morte, la sventura e l’oscurità è anche il simbolo della saggezza, a seconda di quali tradizioni si vadano a scandagliare e dunque, in una visione d’insieme, ha la forza di evocare una duplicità di allegorie, positive e negative, di rappresentare la complementarità dei contrari, che, nel caso specifico di questo disco, vogliono essere realismo e misticismo, auto distruzione e speranza. Come riesce Kaouenn a rendere, con la sua musica, tutto questo? A dirla tutta, semplicemente non ci riesce, perché il timore che questa simbologia fosse il pretesto per dare profondità a qualcosa che non riesce ad acquistarne con mezzi propri diventa una concreta realtà una volta passati all’ascolto. L’Electronic di Kaouenn è massimalista e protesa ad un Synth Pop senza troppe pretese, con sparute apparizioni di rimbombi Blues, tanta New Wave, Future Pop ed Electro Industrial come certi Covenant (“Black Owl”) e pochissime incursioni nelle asperità sperimentali del Trip Hop o nelle teutoniche atmosfere seventies. C’è qualche buona idea, soprattutto quando la voce cupa è accompagnata da ritmiche poderose e suoni grevi ma è la stessa voce uno dei primi problemi di quest’opera. Non convince e con lei non convincono le scelte di suoni e melodie, che per un genere di Elettronica che vuole mettersi addosso l’abito elegante della Pop star, la cosa diventa un problema enorme. Gli echi acuti ed elettrici dei Kratfwerk, le armonie vocali in stile Depeche Mode, l’offuscamento wave dei New Order, la severità Pop dei Pet Shop Boys, le stranezze rumoristiche e tribali stile The Knife (“Dog vs Fox”), diventano non tanto un dichiarato punto di partenza, una moltitudini di radici dalle quali innalzarsi per creare altro ma piuttosto uno scomodo metro di paragone che pesa come un macigno sulle spalle di un bambino. Non è certo tutto da buttare, diversi sono i passaggi in cui Kaouenn mostra di avere la possibilità di andare oltre quello che ha messo oggi sul piatto e la speranza è che sia capace di superare questa fase fin troppo confusa, magari lasciandosi alle spalle onanismi simbolistici e puntando dritto su una più coraggiosa e concreta scelta di suoni e melodie.
Tatum Rush – Guru Child
Pur cavalcando, anch’egli, l’onda anomala e prepotente di Neo Soul e R&B che sta sommergendo il vecchio continente, l’artista di San Diego riesce a darne tuttavia un’interpretazione personale e diversa, rinunciando alle contaminazioni consone, spesso però valide, dei suoi colleghi e conterranei e rileggendo il tutto con uno spirito più teso a un Pop minimale e leggero, di facile ascolto e predisposto a convincere sia i più attenti ascoltatori e raccoglitori di ogni sfumatura, sia chi lascia scivolare la musica sulla pelle con la stessa naturalezza con la quale fa cadere le gocce di acqua marina sulla spiaggia, appena fuori dall’acqua. L’R&B racchiuso nelle dodici tracce di Guru Child non ha molto a che vedere con la fisicità di un D’Angelo ma neanche con le vorticose divagazioni di Anderson. Paak, tanto per citare gli ultimi, più fortunati, interpreti del genere. Il polistrumentista e produttore statunitense rinuncia a quei punti di forza palesati dai già citati artisti, mostrando il lato più sexy di questo stile, rafforzato dall’uso, in chiave live, oltre che del batterista svizzero Domi Chansorn, di tutta una serie di disinvolte ragazze, nel senso più sensuale del termine, che lo affiancano sul palco. La carriera dell’ex leader dei Meadow, e bassista dei Great Black Waters, prende una strada del tutto inattesa ma soprattutto sorprendente, in senso positivo e, i quaranta minuti del disco sembrano volerci invitare a tenerlo d’occhio, in attesa del capitolo due.
La passionalità di brani minimali e incisivi come “Black Magic Queen” o “Get You” si alternano a nerissimi Blues (“Distractions”, “Burn Some Gas”) e folkeggianti cavalcate soniche (“Your Vacation”), curate ma non eccessive e che lasciano alla voce di Tatum Rush tutto lo spazio di cui ha bisogno per esprimersi al meglio. Le atmosfere vintage richiamate da brani come “Fertilizer” o dalla title track suggeriscono nuove chiavi di lettura che si aggiungono a quella sensibilità Pop cui ho già accennato (“Making it Look Easy”) e a incursioni in territori più ritmati e quasi spensierati (“Tenerife”). Non mancano episodi in cui, soprattutto grazie alle taglienti corde della chitarra, la musica di Tatum acquista energia (“Brother Wood”) ma è quanto scende nei territori della dance floor, a volte con reticenza (“Supercollider”) altre con evidente sicurezza e voglia di osare (“Space Perineum”) che diventa più sorprendente.
Guru Child è un disco che sa essere esemplare senza fare clamore, che riesce a unire la Dance al Blues, il Folk al Soul, la voglia di sobrietà compositiva alla necessità di un’estetica Pop. Un disco che ha tutte le carte in regola per arrivare a tanti ma che ha bisogno di una notevole dose di distensione mentale per essere afferrato fino in fondo, perché la semplicità immediata, troppo spesso, è scambiata per “mancanza”.