Siouxsie and the banshees Tag Archive
Television al Sexto’nplugged di Sesto al Reghena (PN)
MARQUEE MOON – “Full Electric Show”
MARTEDI 5 AGOSTO 2014
SESTO AL REGHENA (PN) – PIAZZA CASTELLO
Ingresso: 20,00 euro + dir prev
Prevendite: www.vivaticket.it – www.mailticket.it
Apertura biglietterie ore 19:30
Apertura porte: 20:00
Inizio concerto: ore 21:30
I Television, una delle band più innovative della scena underground della New York di metà anni 70, tornano in Italia per un unico concerto imperdibile dove riproporranno in versione integrale quello che è considerato il loro indiscusso capolavoro Marquee Moon. Un disco seminale che ha marchiato a fuoco l’epopea New Wave ed ha influenzato moltissimi artisti dai Joy Division agli Echo & The Bunnymen, dai Cure a Siouxsie and the Banshees, fino agli Smiths e Interpol. Un’occasione unica per rivedere dal vivo Tom Verlaine, Billy Ficca e Fred Smith accompagnati dalla leggendaria chitarra di Jimmy Rip, già al fianco di Mick Jagger e Jerry Lee Lewis.
“Diamanti Vintage” Killing Joke – S/t
Il loro è stato – sin dall’inizio – un gioco al massacro, una delinquenziale proposta elettrica ogni oltre limite che andò a “disturbare” in maniera oltraggiosa i malcostumi e le svenature tardo romantiche della new wave, la loro proposta – mai studiata a tavolino come si potrebbe assurgere – non era altro che frutto copioso di una schizofrenia sociale che batteva i pugni della rabbia ovunque. I Killing Joke di Jaz Coleman, in questo loro omonimo debutto infiammabile, stilano rasoiate che sanguinano un concentrato tossico di decadenza punk, Garage dei bassifondi ed un funky trasversale che abbraccia in un sol giro Pere Ubu, Siouxsie And The Banshees e quant’altro, nove tracce, nove tribalità che andarono a graffiare le pelli delicate di tantissimi gruppi refrattari al cambiamento.
Ovunque senso di ossessione, destabilizzazione, mal di vivere e disagio, una matrice elettrica quadrata di ritmi, scatti nervosi e la fredda intemperanza delle zone periferiche di una Londra sempre più in rivolta, sempre più coinvolta in cambiamenti rutilanti; le distorsioni si sprecano, la marzialità impera e lontani appannaggi percussivi africani si fanno audaci e battenti, come a rivendicare una sceneggiatura messianica, woodoo, ma sono sensazioni che schiaffeggiano e poi vanno via, ma la carnalità è tanta come pure le accelerazioni che la band inglese cerca di inserire anche in un abbozzo di una dance robotica “Bloodsport”. Coleman, Ferguson, Geordie e Glover – questi gli eroi dannati – partoriscono questa struttura primitiva di rock contaminato che è una esplosione di interesse e di critica, un disco negativo che attira positività da ogni parte, e tutto ciò da la spinta vitale a una falange di band che si vogliono – e lo faranno – appropriare dello stile e relativi dettagli.
Una parabola – appunto – che farà anche scuola per marchingegni sonici come futuri Ministry, NIN, Deftones e similari, una sequenza industriale di chitarre a machete, ritmi epilettici e voce sguagliatamente cool che crea atmosfere quasi luciferine, il battuto di “Tomorrow’s World”, “The Wait”, la wave saltellante “Complications” e il rock militante di “Primitive”, per arrivare al delirio finale di “Change”, brano in cui tutto si fa ancor più scuro, asciutto e pronto per un uso spasmodico delle pedaliere.
La loro musica diventa un must e che ancora fa cattedra, una formazione ed un disco che ha definito nuovi confini dove riferirsi una volta ingaggiata la lotta con la modernità.
“Diamonds Vintage” Siouxsie and the banshees – Juju
Le continue invenzioni in termini di look e di comportamento fanno degli anni 80 un turbinio d’elementi essenziali della mitologia punk; Siouxie and the Banshee ne sono l’esponenzialità acuta e oscura, un tetro e bel connubio tra E.A.Poe e oltraggioso potere, in cui la scena inglese alternativa si rotola avidamente.Dopo i necro-fasti del precedente Kaeidoscope (1980), e in seguito ad un forzato stop causa defezioni clamorose nella band originale, Susan Janet Dallion in arte Siouxie, John McGeoch alla chitarra, Steven Severin al basso e lo stravagantissimo Peter “Budgie” Clark – ex Big In Japan e Slits – alla batteria, danno fuoco alle micce, sotto consiglio amichevole di Robert Smith dei Cure, al quarto album della loro lugubre e fortunata carriera, Juju, uno dei vertici assoluti dell’arte visionaria di Siouxie.
E’ il disco che – per la primissima volta – presenta alcuni squarci nelle atmosfere oppressive e plumbee degli esordi, mettendo definitivamente in luce una Siouxie padrona della sua calda voce ed evocativa; e allineandosi alla nuova corrente del punk più sottomesso alle nebulose darkeggianti – che già sta portando nuovi illustrazioni sonore come giovanissimi Cure, Sister of mercy e Bauhaus – la band inglese si distende in sonorità malinconiche e tristi, depressioni stupende dettate dagli Joy Division, dei quali SETB ne aspireranno linfa vitale per tutta la loro carriera.Dunque linee di basso compressate, chitarre drogate d’acido e anfetamina, i menzionati Joy Division che barcollano visionari in Sin in my heart, e percussioni ossessive che cingono strette Halloween, Monitor ed Head cut; l’ombra della poetessa noir Patti Smith volteggia nell’aria, dove anche un sensoriale groove orientale padroneggia nelle retrovie sonore dell’intera track list, ma principalmente nella traccia Arabian knights, anticipazione “mediorientale” di un fermento che guarderà oltre confine dalla metà degli anni 80 fino alla fine.
Magnifico disco che tocca le sperimentazioni innovative e prende ancora risorse dai terreni malsani del punk, un banco di prova che consolida il marchio Siouxie and the Banshee tra i favori di un pubblico vastissimo e amante del nero come colore primario delle destrutturate asocialità della vita.
Tracks
Spellbound
Into the light
Arabian Knights
Halloween
Monitor
Night shift
Sin in my heart
Head cut
Voodoo Dolly